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mercoledì 15 gennaio 2014

Fotovoltaico anche la notte: nuova invenzione dagli USA

(Fonte:GreenStyle.it-Marco Mancini)
 
 
 
 
Il più grande limite dell’energia solare è che il sole non resta in cielo 24 ore su 24. Grazie però all’avanzamento tecnologico odierno, anche questo ostacolo sta per essere superato. Il grande salto però potrebbe avvenire non grazie a invenzioni futuristiche, ma a un sistema che esiste da milioni di anni: la fotosintesi delle piante.

Simulando lo stesso processo dei vegetali infatti, i ricercatori della University of North Carolina (UNC) hanno creato celle solari in grado di produrre energia anche di notte. L’ispirazione è arrivata come detto dalle piante, in particolare dal processo che vede la conversione della luce solare in combustibile per le cellule.

L’invenzione si chiama cella fotoelettrosintetica colorante sensibilizzata e funziona in parte come una normale cella solare (riceve energia dal sole e la trasforma in energia), ma in parte viene utilizzata anche per creare una reazione chimica nell’acqua tra idrogeno e ossigeno. La reazione ha come prodotto finale la creazione di idrogeno al quale attingere a seconda delle necessità.

Ogni cellula è formata da due componenti: una molecola e nanoparticelle. La molecola assorbe la luce solare in entrata e avvia un processo di assorbimento degli elettroni dall’acqua. A questo punto entrano in gioco le nanoparticelle che prendono gli elettroni e li utilizzano per produrre idrogeno.

L’ossigeno contenuto nell’acqua evapora, mentre il combustibile rimane sul posto, legato all’energia solare. Grazie a questo processo, dicono dall’università americana, è possibile che il pannello solare continui a produrre energia anche di sera o con il cielo nuvoloso.

Le buone notizie però non finiscono qui. I ricercatori anticipano che lo stesso principio potrebbe essere utilizzato anche per creare energia utilizzando l’anidride carbonica, la quale verrebbe trasformata in combustibili a base di carbonio. L’effetto benefico sarebbe duplice perché, oltre a produrre energia pulita, ripulirebbe l’aria da uno dei principali gas serra.

Se per questa applicazione ci vorrà però del tempo, la prima realizzazione è molto vicina dato che diverse agenzie di tutto il mondo sono alla ricerca di un modo per ottenere energia solare 24 ore al giorno e potrebbero investire in questa invenzione.

lunedì 9 dicembre 2013

Rinnovabili, Obama: triplicare produzione USA entro 2020

(Fonte:GreenStyle.it-Marco Mancini)

 
Barack Obama ci tiene a passare alla storia come il Presidente degli Stati Uniti più attento all’ambiente e dopo tanti fallimenti sugli obiettivi degli anni scorsi, adesso ha deciso di imprimere un’accelerazione alla sua politica ambientale.

In questi giorni Obama ha infatti emanato un ordine esecutivo che obbliga tutte le amministrazioni governative (quindi dal Congresso alle sedi militari, fino all’ultimo ufficio pubblico di provincia) a triplicare il proprio utilizzo di energia rinnovabile entro il 2020.

Grazie a questa mossa Obama spera di raggiungere una copertura del fabbisogno energetico del governo del 20% con le fonti rinnovabili. Attualmente l’utilizzo non supera il 7%. Queste le parole del presidente durante il suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione:

Per il bene dei nostri figli e del nostro futuro, dobbiamo fare di più. Se il Congresso non agirà presto per proteggere le generazioni future, lo farò io. Io dirigerò il mio Gabinetto per avviare tutte le azioni esecutive che possiamo intraprendere, ora e in futuro, per ridurre l’inquinamento, preparare le nostre comunità alle conseguenze del cambiamento climatico e accelerare il passaggio alle fonti di energia più sostenibili.

In molti avevano pensato che queste parole sarebbero cadute nel vuoto come spesso accaduto in passato, ma stavolta non sembra debba andare così. Secondo i dati dell’Associated Press, il Governo federale gestisce circa 500 mila edifici e 600 mila veicoli per circa 500 miliardi di dollari all’anno di costi di gestione. Portare il fabbisogno energetico di questa enorme macchina almeno al 20% coperto dalle rinnovabili comporterebbe un enorme risparmio in termini monetari e di emissioni.

Il primo passo per realizzare questo obiettivo sarà dotare tutti gli edifici pubblici di impianti energetici rinnovabili ed effettuare lavori che consentano a tali edifici di ottenere la certificazione REC, un nuovo standard americano che rappresenta il valore ambientale di un edificio. Il secondo sarà realizzare l’iniziativa denominata “Net Zero Energy”, la quale prevede che tutte le basi militari dislocate sul territorio nazionale si autoproducano energia e acqua oltre ad autogestire i rifiuti prodotti.

Ovviamente il percorso è pieno di ostacoli e la lobby dei combustibili fossili, la più potente al mondo, sta già dichiarando guerra alla proposta del Presidente degli Stati Uniti. Obama va comunque avanti e ha già stabilito il piano per i prossimi anni: entro il 2015 l’amministrazione pubblica dovrà raggiungere una copertura del proprio fabbisogno energetico con le rinnovabili per il 10%; entro il 2017 deve arrivare al 15%, nel 2018 al 17,5%, e si spera che già entro il 2019, 2020 al massimo, si possa raggiungere la soglia del 20%.

mercoledì 25 settembre 2013

Guerra solare Usa-Cina, la proposta di pace della SEIA

Guerra solare Usa-Cina, la proposta di pace della SEIA

(Fonte:Rinnovabili.it)

 
 
 
La battaglia a colpi di dazi tra Usa e Cina, in campo fotovoltaico, potrebbe intravedere una tregua. La Solar Energy Industries Association (SEIA), l’ente che rappresenta l’industria solare statunitense, ha presentato una proposta di risoluzione nella speranza di superare lo stallo creatosi tra le due potenze commerciali. Il documento, indirizzato ad entrambi i governi, propone l’istituzione di un un fondo di compensazione per l’industria manifatturiera che assista i produttori di energia solare degli Stati Uniti a rafforzarsi all’interno del mercato nazionale. Il Fondo potrebbe essere finanziato da una percentuale del premio che le società cinesi sta pagando in più ai produttori di paesi terzi per aggirare le sanzioni commerciali degli Stati Uniti, riducendo nel contempo i costi e la distorsione della catena di approvvigionamento per le imprese cinesi.

Il governo cinese dovrebbe anche accettare di porre fine ai dazi antidumping sulle esportazioni americane di silicio policristallino. Una mossa che dovrebbe essere accompagnata dallo stesso trattamento da parte degli USA, eliminando gradualmente i dazi compensativi e quelli anti-dumping applicati su moduli fotovoltaici “Made in China”. “Questa proposta di regolamento costituirebbe una vittoria per tutti”, ha commentato Rhone Resch Presidente e CEO SEIA. “Potrebbe davvero abbassare i costi per i produttori cinesi per l’esportazione di celle e moduli solari negli Stati Uniti, e avrebbe la potenzialità di migliorare la capacità dei produttori statunitensi di competere equamente sul mercato. Ma, cosa molto importante, l’accordo proposto da SEIA farebbe bene ai consumatori americani come anche a tutti i consumatori di energia solare, abbassando i costi“.

venerdì 20 settembre 2013

Rinnovabili più convenienti del carbone negli USA

(Fonte:GreenStyle.it-Marco Mancini)
 
 
 
Le energie rinnovabili sono più economiche del carbone e delle altre fonti fossili, se si prendono in considerazione tutti i costi e non solo quelli più visibili. Anche se produrre un watt da una turbina o da un pannello costa attualmente di più rispetto ai metodi tradizionali, tenendo conto dell’impatto sulla salute e sul clima, alla fine dei conti le fonti rinnovabili risultano meno dispendiose per il bilancio pubblico.

Questo semplice calcolo, troppo spesso sottovalutato, è stato effettuato dal Dott. Laurie Johnson, impegnato nel programma Clean Air presso il Natural Resources Defense Council degli Stati Uniti. L’analisi tiene conto anche dei costi nascosti delle fonti fossili, oneri che pesano sulla spesa pubblica. Più precisamente sono i costi sanitari e ambientali, legati alla combustione dei fossili, a essere azzerati quando si passa alle rinnovabili.

Bruciare il carbone è un modo molto costoso per produrre elettricità. Ci sono modi più efficienti e sostenibili per ottenere energia.


spiega il dott. Johnson, che ha condotto la ricerca insieme ai colleghi della Judge Business School, University of Cambridge e NRDC’s Center for Market Innovation. Mentre un’azienda privata sostiene dei costi per produrre energia dalle diverse fonti, lo Stato ne affronta altri che riguardano le conseguenze di questa produzione. Basti pensare alle spese per curare il cancro causato dalle emissioni delle centrali a carbone, o quelli per rimborsare gli agricoltori a fronte di una forte perdita di raccolto causata dalla siccità collegata al riscaldamento globale. Solo nel 2012 i danni da mutamenti climatici negli USA sono stati stimati in 140 miliardi di dollari.

Troppo spesso, quando uno Stato decide di istituire dei sussidi per la produzione energetica, non tiene conto di questi fattori. Ma analizzando questi costi si scopre che, sulla bilancia economica, il carbone, il petrolio e persino il gas pesano molto di più del sole o del vento. Il dibattito è molto acceso negli Stati Uniti dove il presidente Obama vuol porre dei limiti alla capacità di inquinamento delle centrali elettriche. Questa scelta è stata criticata dai suoi oppositori perché farebbe aumentare i costi. In realtà, considerando questo nuovo punto di vista, li ridurrebbe.

venerdì 6 settembre 2013

Finanziamenti al carbone: Usa e Paesi scandinavi dicono basta

Finanziamenti al carbone: Usa e Paesi scandinavi dicono basta

(Fonte:Rinnovabili.it)

 
 
Basta ai nuovi finanziamenti alle centrali a carbone all’estero, se non “in circostanze eccezionali”. Questa la nuova posizione politica oggi annunciata da USA, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, attraverso un comunicato congiunto. Una mossa che allinea le 5 nazioni con quanto già annunciato in questi mesi, prima dalla Banca Mondiale e successivamente dalla Banca Europea degli Investimenti, ossia voler spostare gli investimenti dai combustibili fossili alla transizione verso l’energia pulita e rinnovabile. La notizia ha ricevuto il plauso del WWF che non esita a sottolineare come la nuova tendenza rappresenti un segnale importante, soprattutto in vista dei negoziati internazionali che si terranno a novembre in Polonia.

L’associazione ambientalista chiede oggi che altre grandi istituzioni seguano l’esempio.“Agire è estremamente necessario e dobbiamo farlo adesso, ce lo dice la comunità scientifica con estrema chiarezza. Come WWF, ci appelliamo alle istituzioni finanziarie – sia pubbliche che private – perché impegnino 40 miliardi di dollari in nuovi investimenti nell’energia rinnovabile entro il giugno 2014, e perché pongano termine agli investimenti in combustibili fossili, puntando a una vera ed equa transizione” ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del WWF Italia. L’invito è rivolto soprattutto alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS/EBRD) che proprio in questi giorni sta considerando la propria posizione sugli investimenti in tutti i tipi di energia, compreso il carbone.

“Chiediamo alla BERS/EBRD di diventare fossil free – ha aggiunto Midulla - e mettere fine ai finanziamenti per i combustibili fossili. La BERS/EBRD deve aumentare i propri investimenti in energia rinnovabile e sostenibile perché, come i leader dei cinque Paesi Scandinavi e gli Stati Uniti hanno detto nella dichiarazione di ieri, ‘il cambiamento climatico è una delle principali sfide della nostra futura crescita economica e del nostro benessere”.

lunedì 2 settembre 2013

Fukushima: nube radioattiva raggiungerà gli USA nel 2014

(Fonte:GreenStyle.it-Claudio Schirru)
 
 
 
 
 
La nube radioattiva di Fukushima sta per raggiungere le coste degli USA. A renderlo noto uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Deep-Sea Research 1, che fissa agli inizi del 2014 l’arrivo sulla “West Coast”. Non si tratta di “semplici” rilevazioni di radioattività come nei giorni successivi al disastro in Giappone, ma di vero e proprio pulviscolo destinato a raggiungere gli Stati Uniti.

Il percorso del pulviscolo radioattivo proveniente dai reattori giapponesi di Fukushima è stato tracciato dall’ente realizzatore dello studio, il Centre of Excellence for Climate System Science, che tramite il Dr. Erik van Sebille (tra gli autori dello studio) fa sapere come i livelli di radiazioni non dovrebbero però allarmare gli statunitensi:

Gli osservatori della costa occidentale degli USA potranno vedere un misurabile aumento nei materiali radioattivi tre anni dopo l’evento. Ad ogni modo gli abitanti della costa non dovranno preoccuparsi troppo della concentrazione di materiale radioattivo visto che i suoi livelli di pericolosità scendono rapidamente sotto la soglia di attenzione stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una volta superate le acque giapponesi.


Correnti marine come la oltre che giganteschi mulinelli presenti lungo il tragitto contribuiranno secondo gli esperti a ridurre la pericolosità del materiale in viaggio, che tuttavia non rispecchieranno ovunque questo rassicurante scenario. Secondo quanto afferma il Dr. Vincent Rossi la concentrazione dei materiali radioattivi non sarà uniforme lungo tutta la costa e alcuni punti potranno essere più colpiti rispetto ad altri:

Anche se alcune concentrazioni rimarranno più o meno simili a quelle previste e che potranno essere osservate, abbiamo mostrato senza ambiguità che il contatto con la parte nord ovest della costa americana non sarà identico ovunque.
Le acque della piattaforma a nord del 45°N sperimenterà concentrazioni molto più alte durante un periodo più ridotto comparato a quanto accadrà alla costa californiana. Questo ritardata, ma prolungata esposizione riguarda due o tre percorsi tridimensionali della nube.

Il percorso di spostamento verso est delle nubi radioattive di Fukushima interesserà in via quasi esclusiva l’emisfero nord, con l’Australia e gli altri Paesi dell’emisfero sud solo in minima parte interessati dal fenomeno.

mercoledì 7 agosto 2013

Minieolico su pannello fotovoltaico: idea in studio negli USA

(Fonte:GreenStyle.it-Guido Grassadonio)
 
 
 
 
L’idea è valida, quantunque non esattamente originalissima. Sappiamo bene come i limiti delle rinnovabili più diffuse sia la non continuità della produzione energetica: si fa sera o qualche nuvola di troppo oscura il sole ed ecco che il fotovoltaico diventa inutile; cessa il vento ed ecco che le pale eoliche restano ferme, così come gli ingranaggi della turbina del generatore elettrico connesso. Combinando le due tecnologie, però, si ottengono impianti che garantiscono il più delle volte una produzione minima di energia.

Ora immaginate che un parco eolico, anche se dimensioni minori di uno classico, condivida lo stesso spazio di un parco fotovoltaico. Avremmo una riduzione importante dell’investimento e un impianto capace di garantire energia quasi 365 giorni l’anno (ovviamente studiando bene come piazzare pannelli ed e vettori eolici).

L’idea su come realizzare una cosa del genere è venuta a un team di giovani e inventivi statunitensi. Costoro hanno messo su una raccolta fondi su Indiegogo per permettere alla propria azienda di avere il capitale iniziale e iniziare la produzione.

L’azienda si chiama Cleantec e il prototipo di aerogeneratore minieolico che hanno inventato si sviluppa in orizzontale, pronto per essere montato sopra qualsiasi pannello solare. Leggero garantisce, grazie alla particolare angolazione delle lame, di funzionare anche con venti che soffino da diverse direzioni. Pensato proprio perché fosse abbinabile a un impianto solare a pannelli, è talmente flessibile che gli stesi inventori si sono resi conto che potrebbe essere sfruttato anche in mille altre soluzioni: da alcuni palazzi, a serre, tubi esterni, ecc.

L’idea ci pare buona, anche se in giro si vedono alcune cose simili già in studio. Queste iniziative, però, ci indicano le probabili direzioni che la ricerca e l’applicazione tecnologica prenderà in futuro. Se anche non fosse davvero la Cleantec a lanciare il suo prodotto, riteniamo facilmente prevedibile che soluzioni simili saranno comunque adottate come standard, da qui a breve.

mercoledì 31 luglio 2013

Vietnam: gli Usa finanziano lo sviluppo dell’eolico

Vietnam: gli Usa finanziano lo sviluppo dell’eolico

(Fonte:Rinnovabili.it)



Per aiutare il Vietnam ad aumentare la quota di eolico nazionale la USTDA statunitense ha concesso al paese un prestito del valore di 288mila dollari.

E’ noto l’impegno degli Stati Uniti, concentrati nella redazione di nuove politiche ambientali ed energetiche che facciamo uscire dalla crisi il paese. Ma stavolta il progetto ideato valica i confini degli States e arriva fino in Vietnam, al quale la US Trade and Development Agency (USTDA) ha deciso di concedere un prestito non rimborsabile di 288mila dollari, cifra che servirà per favorire la crescita dell’eolico nel paese da adesso fino all’agosto del prossimo anno.

L’idea è di istallare nuova capacità eolica e valutare la possibilità di immettere nella rete nazionale la potenza prodotta, con l’adeguamento delle normative e delle politiche necessarie. Grazie alla nuova iniziativa sarà inoltre possibile riorganizzare la trasmissione energetica nazionale garantendo la sicurezza nazionale e limitando i disagi alla popolazione.

Secondo i dati diffusi dal Vietnam Electricity Group (EVN) la nazione possiede al momento solamente due impianti che sfruttano l‘eolico per una capacità totale di circa 60 MW, uno collocato a Binh Thuan e uno nella provincia del BAc Lieu, nel sud del paese, collegati già alla rete nazionale.

Tuttavia l’arrivo di nuovi progetti energetici rende necessario l’adeguamento delle infrastrutture, assolutamente non in grado di supportare il nuovo carico energetico che l’eolico produrrà.

venerdì 19 luglio 2013

Cina: dazi antidumping sul polisilicio solare di USA e Corea

 Cina: dazi antidumping sul polisilicio solare di USA e Corea

 (Fonte:Rinnovabili.it)



Si chiude con una conferma del danno al mercato cinese, l’indagine sul presunto dumping operato dai produttori di polisilicio americani e sudcoreani nel mercato cinese

Mentre la Cina e l’Europa sono in piena trattativa per mettere fine alla battaglia accesasi nel mercato fotovoltaico, i rapporti tra il gigante asiatico e gli USA si incrinano sempre di più. Per rispondere a tono all’imposizione dazi sull’export solare cinese da parte delle autorità americane, Pechino passa al contrattacco. Il governo cinese, dalla prossima settima, introdurrà delle nuove imposte antidumping provvisorie su tutte le importazioni di polisilicio di grado solare proveniente dagli States e dalla Corea del Sud; i dazi, che entreranno in vigore a partire dal 24 luglio, andranno da un minimo del 2,4% ad un massimo del 57%.

Stando a quanto rivelato oggi dal Ministero cinese del Commercio (MOFCOM) l’indagine lanciata lo scorso anno aveva determinato la presenza di un danno a carico dei produttori nazionali di silicio multi cristallino a causa dei prodotti esteri low-cost importati dai due Paesi.

In realtà nel mirino dell’inchiesta erano finiti anche i fabbricanti europei che per ora, però, non sembrerebbero essere coinvolti nelle nuove misure, confermando quanto riportato solo qualche giorno fa da un portavoce del ministero tedesco dell’Economia. Dopo la negoziazione con il ministro tedesco Philipp Roesler, il collega cinse Gao Hucheng si detto pronto a non imporre tasse supplementari sul polisilicio comunitario. Dal canto suo il MOFCOM ha commentato l’accaduto spiegando che “L’indagine sulle importazioni di silicio solare dalla UE è ancora in corso, mentre la relazione causa-effetto tra il dumping di prodotti da Usa e Corea del Sud e il danno subito dall’industria cinese non può essere negata”.

martedì 25 giugno 2013

Accordo Building Energy/Abm per le rinnovabili in Usa

Accordo Building Energy/Abm per le rinnovabili in Usa

 (Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 
L’accordo prevede la fornitura di soluzioni energetiche e la realizzazione di impianti fotovoltaici sul mercato statunitense.
Il gruppo italiano Building Energy, attivo nella produzione di energia da fonti rinnovabili in Italia e all’estero, ha stretto un accordo di partnership con Abm, uno dei maggiori gruppi al mondo nel facility management, quotato al NYSE, con un fatturato di oltre 4 miliardi di Dollari e 100.000 dipendenti. L’accordo prevede la fornitura di soluzioni energetiche e la realizzazione di impianti fotovoltaici sul mercato statunitense, facendo leva sull’expertise di Building Energy nello sviluppo di progetti da fonti rinnovabili in numerosi mercati esteri. La cerimonia presso l’Ambasciata d’Italia sarà l’occasione per valorizzare la rilevanza strategica dell’accordo, alla presenza del top management dei due gruppi, autorità statunitensi e italiane e istituzioni del settore dell’energia da fonti rinnovabili.

“Questa partnership testimonia concretamente il riconosciuto livello dell’eccellenza tecnologica italiana nelle energie rinnovabili - ha affermato l’Ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti, Claudio Bisogniero - un settore che sta ricevendo qui crescente impulso e nel quale le imprese italiane, sia grandi che medio - piccole, sono sempre più attive e presenti”.

"Un accordo che per Building Energy rappresenta un milestone strategico - ha aggiunto Fabrizio Zago, CEO di Building Energy – per la crescita sul mercato statunitense e il prosieguo del percorso di crescita internazionale intrapreso. La partnership con Abm è inoltre per noi un particolare fattore di orgoglio, rappresentando il riconoscimento della validità del nostro business model e l’affermazione di una realtà italiana in un contesto sfidante e d’eccellenza come gli Stati Uniti”.

venerdì 21 giugno 2013

Energia solare dallo spazio, India e Usa vogliono fare sul serio

Energia solare dallo spazio, India e Usa vogliono fare sul serio

(Fonte:Rinnovabili.it)

 
 
La National Space Society statunitense e il governo di Nuova Delhi lavoreranno insieme per creare un organismo internazionale che si dedichi allo sfruttamento dell’energia solare al fine di soddisfare il fabbisogno energetico mondiale.
È stato a lungo teorizzato che il modo migliore per sfruttare l‘energia solare sia quello di lanciare in orbita grandi sistemi fotovoltaici. Ora sulla scia dei progetti già presentati in questi anni dalle agenzie spaziali di alcuni Paesi, una nuova iniziativa comincia a concretizzarsi e a mostrare l’ambizione necessaria per trasformare l’utopia in realtà. Questa settimana, la statunitense National Space Society (NSS) ha annunciato un nuovo progetto internazionale che coinvolgerà l’India nel comune obiettivo di catturare l’energia solare dallo spazio e risolvere, potenzialmente, i bisogni energetici dell’umanità. “L’energia solare nello spazio potrebbe essere la chiave per pianeta Terra più vivibile contribuendo nel contempo anche mitigare i cambiamenti climatici”, hanno spiegato congiuntamente Abdul Kalam, un eminente scienziato ed ex presidente indiano, e Mark Hopkins, presidente del comitato esecutivo del NSS.

L’intenzione alla base del progetto è quella di creare un organismo internazionale che coinvolga, oltre a Stati Uniti ed India, anche altre nazioni come la Russia, la Cina e i Paesi dell’Unione Europea e che miri a implementare soluzioni solari spaziali, commercialmente valide, entro l’anno 2025. I tempi dell’iniziativa verranno dettati dallo studio che ha fatto da base al progetto e che prevede un programma di 5 anni ed un finanziamento iniziale di 10-30 milioni di dollari per sviluppare le tecnologie necessarie e un prototipo dimostrativo. Una seconda fase richiederà invece l’investimento di 10 miliardi di dollari, da spalmare su un periodo di 10 anni, per la formazione di un consorzio internazionale che si occupi di costruire un sistema solare su piccola scala.

venerdì 7 giugno 2013

Eolico: negli USA la prima turbina eolica galleggiante

(Fonte:GreenStyle.it-Francesca Fiore)
La prima turbina eolica galleggiante è stata lanciata negli Stati Uniti: grazie a un progetto finanziato dal Dipartimento per l’energia americano, il prototipo Volturn US 1:8 è stato “lanciato” nelle acque del fiume Penobscot, nei pressi della cittadina di Brewer in Maine, in modo da essere collegata alla rete in corrispondenza di Castine, poco più a sud di Brewer.

Il Volturn è un modello in scala ridotta delle “turbine giganti” da 6 MW messe a punto dall’Università del Maine: secondo il team di ricerca che ha guidato il progetto, entro il 2030 si potrebbe arrivare a produrre 5GW di energia con le turbine giganti posizionate a 50 miglia dalla costa, dove i venti soffiano costantemente.

Lo sviluppo dell’eolico off shore negli States rappresenta un’enorme opportunità di investimento per le imprese: secondo i dati degli esperti, gli USA hanno 4.000 GW di potenziale energetico off shore, circa quattro volte la capacità di generazione attuale.

Dal Doe, i responsabili del progetto hanno spiegato:

Grazie al lavoro dell’Università del Maine sui materiali avanzati siamo riusciti a ridurre il costo complessivo del sistema garantendo elevate prestazioni ed efficienza. La turbina eolica galleggiante è dotata di una piattaforma semisommergibile unica, che garantisce un costo inferiore e un peso inferiore. Come parte del progetto di cinque anni, il Maine Maritime Academy ha supportato i test sui prototipi, mentre la Cianbro Corporation di Pittsfield, ha sfruttato la sua esperienza nella costruzione delle infrastrutture energetiche marittime e navali per costruire questo primo sistema.

Il team del Maine mira a installare circa 80 turbine galleggianti a 20 miglia dalla costa. Secondo i ricercatori, le turbine saranno in grado di produrre energia elettrica a 10 centesimi per KW/h, senza sussidi, perfettamente in accordo con gli obiettivi del DOE per il 2020. Oltre questo primo progetto, anche la DeepCWind sta sviluppano dei piani per la costruzione di turbine galleggianti da 6 MW entro il 2017. Per supportare lo sviluppo di queste attività il DOE ha elargito all’Università del Maine un finanziamento da 4 milioni di dollari.

Anche se più costosi, molti esperti ritengono i sistemi off shore molto più produttivi, sul lungo, periodo, rispetto a quelli tradizionali, grazie ai venti che soffiano in maniera più massiccia e costante al largo. In questo scenario il paese leader è la Gran Bretagna che a fine 2012 ha aggiunto altri 854 MW di capacità eolica off-shore, che si vanno a sommare al totale di 2.093 MW. Negli Stati Uniti, lo sviluppo di un’industria dell’off shore sembra il passo più logico: le turbine classiche off shore sono installate, solitamente, a meno di 30 metri di profondità, mentre quelle galleggianti potrebbero essere installate a una profondità maggiora, cosa che garantirebbe un’efficienza molto più elevata rispetto ai sistemi di produzione eolica attuali.

lunedì 3 giugno 2013

Fotovoltaico: nel 2013 gli USA toccheranno quota 4.3GW

(Fonte:GreenStyle.it-Francesca Fiore)

 
 
 
 
Il 2013 sarà un altro anno record per il fotovoltaico made in USA: i progetti pubblici su larga scala daranno uno slancio particolare al settore. L’analisi è di NPD Solarbuzz, società di ricerca specializzata in energia solare, che nel suo nuovo report prevede un incremento del 20% degli impianti rispetto al 2012, con l’obiettivo di arrivare a 4.3 GW complessivi di capacità nell’anno in corso e toccare quota 5GW nel 2014.

Malgrado la crescita continua del settore fotovoltaico, gli analisti di Solarbuzz sottolineano un’anomalia del mercato degli States: la domanda di energia solare è particolarmente dipendente da un piccolo gruppo di Stati, in cui sono presenti l’80% degli impianti. In particolare, nel secondo trimestre 2013, saranno California, Arizona, New Jersey, e North Carolina a detenere il 70% della potenza installata, che dovrebbe toccare complessivamente quota 1GW. I progetti di utility-scale copriranno il 68% della domanda, mentre il 14% sarà coperto da impianti medio-grandi su edifici commerciali e il restante 18% da piccoli impianti su edifici commerciali o residenziali. Attualmente, i maggiori progetti di utility-scale sono distribuiti fra Arizona, California, Nuovo Messico e Texas.

Chris Sunsong, analista di NPD Solarbuzz spiega così la composizione della domanda:

Il forte sviluppo del fotovoltaico pubblico in alcuni Stati dipende dai mandati specifici che le istituzioni danno, richiedendo energia solare per soddisfare determinati obiettivi. Nel frattempo, la domanda residenziale è guidata da nuovi modelli di proprietà per conto terzi, che permettono a proprietari di case e le imprese l’installazione di impianti fotovoltaici con gli impegni iniziali minimi.


Tuttavia Solarbuzz auspica un riequilibrio del settore, anche in virtù della stretta statale sugli incentivi, per evitare che alcuni Stati come New Jersey, Delaware e Pennsylvania si trovino in eccesso di offerta, cosa che rischia di “limitare i nuovi investimenti e bloccare un ulteriore sviluppo del settore”.

giovedì 30 maggio 2013

Storage: incentivi anche negli Usa, mentre l'Italia rischia di perdere il treno

Storage: incentivi anche negli Usa, mentre l'Italia rischia di perdere il treno

(Fonte:QualEnergia.it)

 
 
 
Dopo la Germania, che dal 1° maggio scorso ha un programma operativo, anche gli Stati Uniti pensano a un incentivo per l'accumulo di energia. In una proposta di legge bipartisan al Senato si prevedono sgravi fiscali fino al 30% per tutte le taglie e le tecnologie di storage.

Mentre in Italia il modello della generazione distribuita è messo a rischio da poco lungimiranti ipotesi di cambiamento normativo, cioè quelle di far pagare gli oneri di sistema sull'autoconsumo, eventualità che stroncherebbe sul nascere l'adozione degli accumuli, legislatori di altri paesi, al contrario, ne riconoscono la valenza strategica.

Lo Storage ACT 2013 Usa (allegato in basso), si legge nella sintesi che lo presenta, “promuove l'adozione di tecnologie per l'accumulo di energia, permettendo il contributo estremamente prezioso che queste possono dare alla rete elettrica statunitense. Lo storage – continuano i firmatari - trasforma rinnovabili non programmabili come eolico e solare in fonti di energia stabili e può tagliare le spese dei consumatori, riducendo la domanda di elettricità costosa nelle ore di picco.” E ancora: gli accumuli “aumentano l'efficienza della rete elettrica e permettono di evitare la necessità di costruire nuove linee”.

L'incentivo americano è technology neutral, cioè promuove allo stesso modo tutte le tecnologie e vale a prescindere dalla fonte che fornisce l'energia da accumulare. Per i progetti su scala di rete prevede uno sgravio fiscale del 20% fino a un massimo di 40 milioni di dollari, con un budget totale di 1,5 miliardi. Per gli accumuli on-site realizzati dalle aziende propone sgravi del 30% fino ad un milione di dollari, con una taglia minima di 5 kWh, e anche nel residenziale si fissano gli sconti al 30%. Aspetto interessate, la legge permette di accedere agli sgravi anche sfruttando modelli di leasing, che negli Usa si sono rivelati molto efficaci nel promuovere il fotovoltaico su tetto.

Insomma, un meccanismo abbastanza simile a quello in vigore in Germania, dove però gli accumuli incentivati devono essere al servizio di piccoli impianti a rinnovabili (< 20 kW) e dove il contributo del 30% è abbinato ad un finanziamento agevolato fino al 100% dei costi. Secondo stime IHS Research un impianto fotovoltaico dotato di accumulo in Germania coi nuovi incentivi, sull'intero ciclo di vita dell'investimento, sarebbe il 10% più conveniente di uno senza accumulo, come si vede dal grafico sotto.



Grazie anche a incentivi come quelli tedeschi e che si vorrebbe introdurre negli Usa, il mercato mondiale degli accumuli si prevede esploda nei prossimi anni: secondo l'utlimo report di IHS Research, solo per la parte legata al fotovoltaico, in 5 anni passerà dai 200 milioni di dollari del 2012 a 19 miliardi (vedi grafico sotto).



I produttori stanno tutti lavorando alacremente per preparare prodotti per l'accumulo di energia legato al FV residenziale, settore che diventa molto interessante vista la prospettiva di fare fotovoltaico in grid parity basato su vendita diretta e autoconsumo. La settimana scorsa a un convegno sul FV oltre gli incentivi, Valerio Natalizia, intervenuto come a.d. di Sma Italia, ha annunciato il lancio tra qualche mese di un modello di inverter con accumulo integrato, mentre Marco Pigni, di Fiamm, ci ha informato che l'azienda italiana metterà sul mercato batterie a costi accessibili a clienti domestici dall'inizio del 2014. Parlando con gli operatori si intuisce che, se non vi saranno regolamenti ostativi all'autoconsumo, in Italia le batterie per sistemi alimentati a fonti rinnovabili potrebbero vedere un calo dei costi annuali simile a quello che hanno registrato negli scorsi anni inverter e moduli FV.

Il futuro delle rinnovabili sarà sempre più legato agli accumuli che permettono a fonti come il solare fotovoltaico di esprimere al meglio i suoi punti di forza: la capacità di produrre energia in modo pulito laddove serve e consumandola quando serve, aumentando così l'efficienza del sistema elettrico. Se l'Italia perderà o meno questo treno dipenderà dalle evoluzioni normative di cui si sta discutendo in questi giorni: penalizzare l'autoconsumo, come propone l'Autorità per l'Energia, vorrebbe dire condannarci a restare legati a un sistema inefficiente basato sulla produzione centralizzata.

mercoledì 22 maggio 2013

Fotovoltaico e dazi, gli USA mediano tra Cina e UE

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)

 
 
 
Che stia per nascere la “Triplice Alleanza del fotovoltaico”? Secondo quanto riportato da Bloomberg gli Stati Uniti starebbero intrecciando rapporti con Cina e Unione Europea per trovare una soluzione comune alla guerra dei dazi solari.

In estrema sintesi l’accordo prevederebbe un prezzo minimo e delle quote per le esportazioni cinesi di fotovoltaico in cambio dell’abolizione dei dazi USA sul solare cinese, già in vigore, e di quelli europei, solo annunciati. La notizia verrebbe da due fonti vicine all’amministrazione Obama, che preferiscono restare anonime.

Ma sarebbe indirettamente confermata da John Smirnow, vice presidente della Solar Energy Industries Association (SEIA) americana, che ha dichiarato:

Dopo aver espresso le nostre intenzioni alla Casa Bianca, siamo molto incoraggiati dal fatto che questi negoziati da tempo necessari sembrino pronti a partire. è ora che tutti lavorino insieme per raggiungere una soluzione giusta di queste dispute.

Tra l’altro i negoziati, seppur per vie parallele, sono già in corso: rappresentanti della SEIA hanno incontrato la settimana scorsa i colleghi della Asia Photovoltaic Industry Association per discutere proprio delle guerre commerciali sul fotovoltaico. al termine della riunione hanno messo nero su bianco una posizione comune con la quale chiedono che USA, Cina e UE si siedano al tavolo del dialogo.

Sul fronte politico, invece, ad avere in mano la questione sarebbe Michael Froman, nominato da Obama a capo dell’U.S. Trade Office che si occupa proprio di dispute commerciali. Carol Guthrie, portavoce dello stesso ufficio, ha dichiarato:

Il nostro obbiettivo è quello di supportare una sana industria globale del solare, che sia in grado di favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili e una continua innovazione, con pari condizioni per tutti. Continueremo a lavorare con l’industria e i nostri partner commerciali per trovare i modi di risolvere i problemi. I negoziati non sono ancora iniziati.

L’UE, al momento, non commenta. La Cina neanche, ma è certo che il ministro per il Commercio Gao Hucheng ha già pronti i dazi contro il polysilicon americano, europeo e sud coreano e che al momento li tiene chiusi nel cassetto.

martedì 21 maggio 2013

Fracking dello shale gas, nuove regole in arrivo negli USA

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)

 
 
Le regole statunitensi sul fracking vanno riviste perché “risalgono all’epoca del walkman di Sony e dei videogiochi Atari”. A dirlo è Sally Jewell, ingegnere petrolifero con una lunga storia di fracking alle spalle che Barack Obama ha messo a capo del Dipartimento dell’Interno. Cioè di quel Ministero che, negli Stati Uniti, si occupa di gestione del territorio, geologia e parchi naturali.

La battuta della Jewell è stata pronunciata in occasione della presentazione della nuova bozza di legge sul fracking, che verrà ora sottoposta a 30 giorni di consultazione pubblica prima di essere trasformata in norma effettiva ed efficacie. Le nuove regole sono un compromesso tra i dictat dell’industria e le pressioni degli ambientalisti.

Viene dato più potere al Bureau of Land Management (BLM), che dal novembre 2010 chiede di rivisitare le norme. Questa nuova bozza, tra l’altro, tiene conto dei 177mila commenti ricevuti in 120 giorni di di pre-consultazione pubblica. In America si discute parecchio prima di fare le leggi importanti.

Una delle cose che non è piaciuta molto agli ambientalisti è la maggior flessibilità concessa alle industrie nell’uso degli strumenti per valutare l’integrità del cappotto di cemento che riveste i pozzi per isolarli dalle falde acquifere. Criticato anche l’uso del sito FracFocus per dichiarare le sostanze chimiche utilizzate durante le operazioni di fracking. Dichiarazione che andrà fatta dopo la fine del fracking e non prima.

Dall’altro lato l’industria lamenta il fatto stesso che il Governo federale si intrometta nella questione fracking, fino a oggi di quasi esclusiva competenza dei singoli Stati americani. Ma la Jewell ha dichiarato che le attuali normative statali sono un “patchwork senza coerenza” e le nuove regole federali forniranno le linee guida per la protezione dell’ambiente.

Secondo i Repubblicani, che adorano il fracking perché rende credibile il sogno dell’indipendenza energetica degli Stati Uniti, le nuove regole federali non faranno altro che allungare i tempi necessari a ottenere i permessi. Già oggi, per perforare su un terreno di proprietà dello Stato Federale, ci vogliono 290 giorni contro le poche settimane di un terreno privato.

A differenza che in Europa, infatti, negli Stati Uniti se possiedi un terreno è tuo anche il diritto di sfruttamento del sottosuolo.

venerdì 26 aprile 2013

Tecnologia pulita: Google la più verde secondo Greenpeace

Tecnologia pulita: Google la più verde secondo Greenpeace

(Fonte:GreenStyle.it-Claudio Schirru)

 
 
Salvare la Terra grazie alle iniziative verdi delle società tecnologiche. Greenpeace ne è più che mai convinta e lo dimostra diffondendo l’ultimo rapporto del “Cool IT Challenge”. La sfida green delle aziende impegnate nel settore “Information Technology” è giunta alla sua sesta classifica, stilata in base alle 21 aziende maggiori dell’area tecnologica mondiale.

Le aziende sono state valutate da Greenpeace sulla base delle promesse mantenute, non soltanto per le intenzioni dichiarate. Questo spiega il motivo dell’ottimo primo posto di Google così come giustifica l’assenza di un gigante mondiale come Facebook: entrambe le multinazionali hanno assicurato nelle scorse settimane piani “verdi” per aumentare il loro impegno verso il clima, ma al momento della compilazione della classifica solo la prima ha davvero avviato significative politiche per arginare i cambiamenti climatici.

Primo piazzamento come detto per Google, con la Cisco che si posiziona subito dopo ed Ericsson che completa il podio. Subito dietro si trova Fujitsu (4°) mentre un terzetto occupata il quinto posto: Sprint, Wipro e HP. A completare la lista delle migliori dieci troviamo a pari merito Alcatel-Lucents e Vodafone seguite da Softbank.

Sviluppo verde delle società IT rallentato secondo Greenpeace dai monopoli energetici che da anni dominano alcuni importanti Paesi come gli USA (Duke Energy) e il Giappone (TEPCO). Buone notizie però arriverebbero anche su questo fronte, con Google che avrebbe convinto il monopolista statunitense a compiere un primo passo verso il rinnovamento (per ora limitato all’incremento di energia da fonti rinnovabili nel North Carolina). A sostenere la società del famoso motore di ricerca potrebbero essere presto anche altre società incluse nella classifica, tra queste AT&T, Cisco, IBM e Wipro, tutte attive in quello Stato.

Queste società potrebbero nei prossimi mesi anche scendere in campo contro il tentativo di rilanciare negli USA le politiche a sostegno dei combustibili fossili, di cui l’American Legislative Council Exchange (ALEC) rappresenta la minaccia maggiore. L’impegno dovrà però essere immediato, ricorda Greenpeace, o rischia di arrivare troppo tardi.


lunedì 22 aprile 2013

FV negli Usa: fotografia di un mercato in ascesa

FV negli Usa: fotografia di un mercato in ascesa

(Fonte:QualEnergia.it)
 
 
Sono 119.016 gli statunitensi impiegati nell'industria del fotovoltaico e il loro numero è in continuo aumento: solo negli ultimi 12 mesi gli addetti del settore sono cresciuti di 13.872 unità, il 13,2% in più rispetto al 2011. La stima è di Solar Foundation, associazione americana impegnata in attività di ricerca e formazione nel campo dell'energia solare, che ha realizzato una mappa dove indica stato per stato quanti sono i lavoratori di questa tecnologia. California, Arizona, Pennsylvania, New Jersey, Texas, Colorado e New York sono gli Stati attivi nel settore e con più occupati. Al fondo della lista compaiono Wyoming, South Dakota e West Virginia.

va anche detto nello stesso periodo di tempo, l'occupazione Usa nell'intera economia è cresciuta del 2,3% (alcune stime parlano di 1,6%); ciò vorrebbe dire che 1 su 230 lavori creati a livello nazionale nel corso del 2012 è relativo al settore dell'industria solare.

Solar Foundation si è anche divertita a fare alcuni confronti curiosi: in California, ad esempio, i 43.700 lavoratori solari superano il numero degli attori e in Texas ci sono più persone che lavorano nell'industria del fotovoltaico che nei ranch. Non solo, le aziende solari statunitensi hanno in totale più lavoratori dell'industria mineraria del carbone.



Per un approfondimento del mercato fotovoltaico statunitense consigliamo la lettura dell'executive summary del report "U.S. Solar Market Insight Report", pubblicato da GTM Research e da SEIA (Solar Energy Industries Association).

Alcuni dati interessanti, per dare quasi una rapida fotografia del settore negli Usa, li possiamo trarre proprio da questo report. Si noti innanzitutto che il mercato FV degli Usa nel 2012 è cresciuto del 76%, con i suoi 3.313 MW installati, pari all’11% del mercato mondiale delle installazioni FV. Questo quota è la più alta negli ultimi 15 anni. La potenza cumulativa a fine 2012 si attesta intorno ai 7,2 GW.

Nel 2012 sono 11 gli Stati che hanno installato oltre 50 MW ciascuno (erano 8 nel 2011). Delle 90mila installazioni FV del 2012 circa 83mila sono di tipo residenziale (anche se la loro potenza complessiva è di soli 488 MW). Negli Stati Uniti il prezzo medio di vendita per i moduli FV nel quarto trimestre 2012 è stimato in 0,68 $/W, addirittura inferiore del 41% rispetto allo stesso periodo del 2011 (era di 1,15 $/W). Il prezzo medio ponderato dei sistemi FV negli Usa nel 2012 è diminuito del 27%: 5,04 $/W nel mercato residenziale, 4,27 $/W nel mercato non residenziale e di 2,27 $/W per gli impianti utility-scale.



Quali sono le previsioni per il 2013 per questo mercato che sappiamo potenzialmente ancora non esploso? Si parla nel report citato di una cresciuta ulteriore del 30%, con circa 4,3 GW di potenza installata totale. I dati per il primo trimestre 2013 sono più che in linea con questa ipotesi, visto che in questo periodo si sono installati 537 MW pari al doppio di quanto installato nello periodo gennaio-marzo 2012.

Un dato interessante, che abbiamo da poco pubblicato, riguarda invece la bilancia commerciale nel settore fotovoltaico e il confronto con la Cina. Ebbene è sorprendente vedere che questa penda verso gli Usa, anche se di poco. E' vero che se consideriamo solo celle e moduli FV, gli Usa importano dalla Cina più di quanto esportano, ma se guardiamo alla somma di tutta la componentistica, gli americani esportano in Cina per 3.715 milioni di $ e importano per 2.802 milioni nel senso opposto: l'attivo è di 913 milioni di $.

Nonostante i riflettori siano al momento tutti sulla Cina, che resta comunque un mercato chiuso all'export FV per i paesi occidentali, bisognerà ora guardare sempre con maggiore attenzione il gigante dormiente del PV market targato Usa.

mercoledì 3 aprile 2013

Rinnovabili: Obama le finanzierà con 37 milioni di dollari

Rinnovabili: Obama le finanzierà con 37 milioni di dollari

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)

 
Dopo aver chiuso il proprio territorio al fotovoltaico cinese, tramite l’imposizione di dazi doganali fino al 250% del prezzo dei pannelli solari importati, gli Stati Uniti si preparano adesso a rilanciare la propria industria nazionale delle tecnologie verdi.

Il Dipartimento dell’Energia (DOE) degli Stati Uniti ha annunciato la “Clean Energy Manufacturing Initiative“. Si tratta di un programma di finanziamento governativo riservato all’industria nazionale delle rinnovabili che servirà a migliorare l’efficienza degli impianti produttivi abbassando i costi di produzione.

Ne beneficeranno i settori del fotovoltaico, dell’eolico, dei biocombustibili, del geotermico e delle batterie di accumulo.
In totale i fondi a disposizione ammontano a 37 milioni di dollari. Più di 23 milioni serviranno a finanziare programmi di ricerca innovativa sulla manifattura e lo sviluppo dei progetti. Altri 15 milioni verranno utilizzati per abbattere i costi del solare fotovoltaico e di quello a concentrazione con progetti a medio termine: entro pochi anni si aspettano già i primi risultati.

Nei prossimi mesi, inoltre, dietro richiesta esplicita del presidente Barack Obama il Dipartimento dell’Energia metterà in atto altre misure economiche a supporto di un nuovo istituto sull’innovazione nella manifattura.

Con gli aiuti pubblici, poi, verranno finanziati programmi di supporto e assistenza tecnica per le industrie, effettuate analisi targettizzate per valutare la posizione competitiva degli Stati Uniti rispetto agli altri paesi e per scegliere con criterio quali siano gli investimenti strategici a cui dare priorità.

Verrà inoltre lanciata un’iniziativa pubblico-privata per migliorare la competitività dell’industria americana delle rinnovabili: per esempio il Consiglio per la Competitività e il Dipartimento per l’Energia inizieranno a dialogare con piccole aziende, grandi industrie, istituti di ricerca e lavoratori per sviluppare la produttività del settore industriale delle rinnovabili.

venerdì 22 marzo 2013

Shale gas: presto gli USA lo esporteranno in Europa

Shale gas: presto gli USA lo esporteranno in Europa

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)

 
 
A breve gli Stati Uniti potrebbero esportare gas metano estratto in patria con il fracking nel resto del mondo, Europa compresa. A sostenerlo Paolo Scaroni, amministratore delegato del gruppo ENI. Di questa possibilità abbiamo già parlato più volte, ma questa volta sembra si tratti più di una conferma che di un’ipotesi. Scaroni, infatti, cita il nuovo sottosegretario USA all’Energia:

La rivoluzione dello shale gas negli Usa ha cambiato gli scenari nel mondo del gas a livello globale. L’altro giorno parlavo con il nuovo sottosegretario Usa all’energia Moniz e ho avuto la sensazione che presto comincerà l’esportazione di gas liquido dagli USA all’Europa.
Ho fatto un giro negli Stati Uniti e ho visto tutta una serie di persone e di esperti dell’energia tra cui Moniz. Da questi incontri a 360 gradi sono tornato a casa con il convincimento che delle esportazioni di gas liquido dagli Stati Uniti avverranno.
Non saranno volumi colossali ma ci sarà un flusso di esportazioni di gas liquido dagli Usa. Gli Stati Uniti diventano produttori eccedenti i loro consumi e quel gas può approdare da noi competitivo.


Parole pronunciate l’altro ieri all’Offshore Mediterranean Conference di Ravenna, davanti al Gotha internazionale del petrolio e del gas. La questione è molto semplice: gli Stati Uniti stanno estraendo shale gas con il fracking a ritmi forsennati, con la conseguenza che il prezzo del gas sul mercato interno è letteralmente crollato. Le possibili vie da percorrere, a questo punto, sono due.

La prima è che gli USA si dotino di abbondanti stoccaggi e tengano sul mercato interno il gas estratto blindando la loro sicurezza energetica. Sono in molti a volerlo: tra shale oil e shale gas gli Stati Uniti potrebbero emanciparsi dagli idrocarburi mediorientali con conseguenze geopolitiche enormi.

La seconda è quella di esportare parte del gas estratto con il fracking creando qualche impianto di liquefazione del metano. In questo modo gli USA diventerebbero produttori di GNL, il gas naturale liquefatto che si può trasportare in giro per il mondo verso i rigassificatori dei Paesi consumatori.

In questo quadro si aggiunge un dettaglio non da poco: Ernest Moniz, il “ministro dell’Energia” dell’amministrazione Obama, non è solo un professore di fisica nucleare al Massachusetts Institute of Technology (MIT) ma anche, dal 2011, un collaboratore e azionista di ICF.

Cioè di una società di consulenza in campo petrolifero che lavora fianco a fianco con le aziende che fanno fracking negli USA. Dal 2011 ad oggi, Moniz avrebbe già guadagnato dal suo rapporto con ICF ben 300 mila dollari.
Moniz, è opinione comune spingerà affinché gli Stati Uniti aumentino la produzione di gas naturale saturando ulteriormente il mercato interno. Questo potrebbe dire, allo stesso tempo, accelerare i tempi della costruzione delle infrastrutture necessarie all’export dello shale gas. L’AD di ENI Scaroni, quindi, sembra quindi parlare a ragion veduta.