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giovedì 19 settembre 2013

Ci metto le esternalità e le rinnovabili costano già meno delle fossili

Ci metto le esternalità e le rinnovabili costano già meno delle fossili

(Fonti:QualEnergia.it)
 
 
 
 
 
Le rinnovabili, anche senza incentivi, sono già economicamente convenienti rispetto alle fonti fossili. Se produrre elettricità da carbone al momento costa meno che ottenerla ad esempio da un impianto fotovoltaico, è infatti solo per una sorta di errore nel metodo di calcolo, una distorsione causata dal nostro sistema politico-economico: le esternalità negative vengono scaricate sulla collettività, cioè a chi produce energia non vengono fatti pagare i danni causati ad esempio dalle emissioni climalteranti e inquinanti della combustione del carbone.

Il discorso cambia nettamente se nel bilancio economico si includono i costi sanitari e ambientali. Per i lettori di QualEnergia.it il discorso non è nuovo ma a ribadirlo arriva un nuovo studio pubblicato sul Journal of Environmental Studies and Sciences (allegato in basso) che mostra quali siano i costi “reali” di carbone, gas, eolico e fotovoltaico.

Dalla ricerca, condotta sul sistema elettrico americano, emerge che, includendo nei costi del kWh le esternalità negative, è economicamente molto più conveniente installare nuova potenza da eolico e fotovoltaico piuttosto che da carbone (sia con che senza tecnologia CCS per catturare la CO2) e che addirittura avrebbe economicamente senso chiudere centrali a carbone esistenti per rimpiazzarle con sole e vento. Più economico del carbone, ma anche del fotovoltaico risulta invece il gas, che comunque resta ben più costoso dell'eolico. Qui va però sottolineato che parliamo degli USA, dove il gas ha prezzi che sono una frazione di quelli italiani e che nel conto delle esternalità non si è incluso il pesante effetto climalterante delle perdite di metano che avvengono durante estrazione e trasporto.

La conclusione cui arrivano gli studiosi è che non andrebbe permessa la costruzione di nuove centrali a gas o a carbone laddove sia possibile installare eolico. Inoltre non si dovrebbe in ogni caso mettere in linea nuova potenza a carbone, con o senza CCS, e – come detto – sarebbe anche economicamente conveniente fermare le centrali a carbone già operative per sostituirle in ordine di economicità con generazione da eolico, da gas con o senza CCS, da FV o da carbone con CCS.

Per arrivare ai costi 'reali' gli autori del report - Laurie T. Johnson e Starla Yeh del NRDC e Chris Hope della University of Cambridge – hanno usato i più diffusi modelli per stimare l'impatto economico delle fossili in quanto a cambiamenti climatici, inquinamento e costi sanitari. Oltre a quantificare gli impatti di inquinanti come il biossido di zolfo SO2, si è incluso il cosiddetto SCC, il costo sociale della CO2 o social cost of carbon, un indicatore con alle spalle una certa letteratura scientifica che appunto mostra quanto costa alla collettività ogni tonnellata di CO2.

Qui sotto vediamo rappresentato graficamente (clicca per ingrandire) l'SCC per le diverse fonti come stimato da due diversi studi utilizzati per il report: quello a sinistra si riferisce a uno studio di Johnson and Hope del 2012, quello a destra su uno studio del governo USA uscito a maggio 2013. Per ogni fonte è indicato un valore in centesimi per kWh, che poi è scomposto in costi di produzione (stimati dall'EIA per impianti costruiti nel 2018), costi dovuti all'impatto del SO2 e costi dovuti alla CO2).




I due studi citati arrivano a stimare un SCC piuttosto diverso: quello più recente della task force governativa stima che ogni tonnellata di CO2 emessa nel 2010 causi 33 dollari (al valore del 2007) di danni; quello di Johnson e Hope pari a 133 $. Il motivo di questa differenza è nel diverso tasso di sconto usato: la quantificazione economica di danni che si verificheranno nel futuro ovviamente dipende dall'inflazione prevista e, mentre lo studio governativo ipotizza un tasso annuo del 3%, Johnson e Hope ipotizzano che il tasso sia dell'1,5%. Una differenza sostanziale: 100 $ di danni fra 100 anni corrispondono a 23 $ se si usa un tasso dell'1,5% ma solo a 5 $ se si usa un tasso del 3%.

E' dunque molto alto il grado di incertezza nel valutare quanto convenga investire ora per evitare danni futuri. Il buon senso però dovrebbe portarci comunque a muoverci subito per liberarci delle fonti fossili. Anche perché gli impatti quantificati con l'SCC sono verosimilmente sottostimati. Questi modelli infatti rendono conto solo parzialmente delle esternalità negative delle fossili: oltre all'omissione già citata delle fughe di gas, negli impatti del global warming non si tengono conto dei danni dati da “conseguenze delle conseguenze”, difficili da quantificare; ad esempio quelli che ci saranno per la siccità, per gli incendi boschivi o per le interazioni tra diversi effetti, come l'innalzamento del livello del mare associato all'intensificazione degli eventi metereologici estremi.

Ma soprattutto, questi si riferiscono al costo sociale della CO2 in un determinato anno (il 2010 per quelli citati), mentre è facile capire che questo costo non resterà costante. Il costo marginale di ogni tonnellata di CO2, infatti, è destinato a crescere, ossia, raggiunta una certa concentrazione in atmosfera ogni tonnellata in più di CO2 emessa farà più danni della precedente. A questo si aggiunga che carbone, gas e petrolio per alimentare le centrali in futuro saranno probabilmente sempre più cari, mentre il kWh da rinnovabili diverrà più economico.

Insomma, se, come mostra lo studio, la convenienza economica di passare alle fonti pulite è già certificata dalla letteratura scientifica esistente, con ogni probabilità è ancora più grande di quanto si sia stimato finora.

venerdì 6 settembre 2013

Finanziamenti al carbone: Usa e Paesi scandinavi dicono basta

Finanziamenti al carbone: Usa e Paesi scandinavi dicono basta

(Fonte:Rinnovabili.it)

 
 
Basta ai nuovi finanziamenti alle centrali a carbone all’estero, se non “in circostanze eccezionali”. Questa la nuova posizione politica oggi annunciata da USA, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, attraverso un comunicato congiunto. Una mossa che allinea le 5 nazioni con quanto già annunciato in questi mesi, prima dalla Banca Mondiale e successivamente dalla Banca Europea degli Investimenti, ossia voler spostare gli investimenti dai combustibili fossili alla transizione verso l’energia pulita e rinnovabile. La notizia ha ricevuto il plauso del WWF che non esita a sottolineare come la nuova tendenza rappresenti un segnale importante, soprattutto in vista dei negoziati internazionali che si terranno a novembre in Polonia.

L’associazione ambientalista chiede oggi che altre grandi istituzioni seguano l’esempio.“Agire è estremamente necessario e dobbiamo farlo adesso, ce lo dice la comunità scientifica con estrema chiarezza. Come WWF, ci appelliamo alle istituzioni finanziarie – sia pubbliche che private – perché impegnino 40 miliardi di dollari in nuovi investimenti nell’energia rinnovabile entro il giugno 2014, e perché pongano termine agli investimenti in combustibili fossili, puntando a una vera ed equa transizione” ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del WWF Italia. L’invito è rivolto soprattutto alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS/EBRD) che proprio in questi giorni sta considerando la propria posizione sugli investimenti in tutti i tipi di energia, compreso il carbone.

“Chiediamo alla BERS/EBRD di diventare fossil free – ha aggiunto Midulla - e mettere fine ai finanziamenti per i combustibili fossili. La BERS/EBRD deve aumentare i propri investimenti in energia rinnovabile e sostenibile perché, come i leader dei cinque Paesi Scandinavi e gli Stati Uniti hanno detto nella dichiarazione di ieri, ‘il cambiamento climatico è una delle principali sfide della nostra futura crescita economica e del nostro benessere”.

martedì 9 luglio 2013

Energia, le rinnovabili supereranno il gas. Seconda fonte elettrica dopo il carbone

Energia, le rinnovabili supereranno il gas. Seconda fonte elettrica dopo il carbone 

 (Fonte:LaRepubblica.it-Antonio Cianciullo)
 
 
 
 
Maria van der Hoeven, direttrice dell’Iea (International Energy Agency), è arrivata a Roma con un messaggio molto chiaro che esporrà questa mattina in un incontro alla Farnesina: entro il 2016 a livello globale le rinnovabili supereranno il gas e doppieranno il nucleare diventando la seconda fonte elettrica dopo il carbone. E lo scenario non cambia guardando un po’ più avanti o un po’ più indietro. Nel 2012 l’elettricità prodotta dalle rinnovabili è stata superiore a quella consumata in Cina. Nel 2018 l’energia pulita aumenterà del 40% arrivando a coprire quasi un quarto del totale della produzione elettrica.
Non basta. Il rapporto appena reso pubblico dall’Iea (Medium-Term Renewable Energy Market Report) precisa che all’interno di questo 25% la quota delle nuove rinnovabili (quelle più innovative, escludendo l’idroelettrico tradizionale) continua a crescere: dal 2% del 2006 è passata al 4% del 2008 e arriverà all’8% nel 2018.

Maria van der Hoeven entra anche nel merito della polemica sulle misure di sostegno al modello low carbon spiegando che si può fare molto con poco a patto di non cambiare idea ogni 6 mesi mettendo in difficoltà le imprese: “Molte rinnovabili non hanno più bisogno di alti incentivi. Ma hanno ancora bisogno di politiche di lungo termine che consentano la formazione di un mercato affidabile e di una cornice di regole compatibile con gli obiettivi sociali”. E anche il poco necessario può essere a costo zero a patto di non regalare soldi a chi inquina: “A livello globale i sussidi ai combustibili fossili restano 6 volte più alti degli incentivi alle rinnovabili”.

Sapersi inserire con successo nelle filiere energetiche emergenti sarà determinate per le economie dei paesi di antica industrializzazione perché la pressione dei paesi di recente sviluppo è sempre più forte: sbagliare significare rischiare di essere tagliati fuori da un settore strategico. Due terzi della crescita delle rinnovabili nei prossimi 5 anni saranno concentrati nell’area non Ocse. Ma la crescita procede ancora tutto campo e lascia la gara aperta.

Dai dati IEA risulta che idroelettrico, geotermia e impianti di biomasse di grande taglia sono già competitivi nei luoghi in cui queste risorse abbondano. L’eolico tiene testa ai nuovi impianti a carbone o a gas in molto mercati e in particolare in paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda, la Turchia, e in alcune aree del Cile e del Messico. Il fotovoltaico risulta vincente, se si compara il costo del consumo sul posto ai prezzi dell’energia distribuita in rete, in Spagna, Italia, Germania del Sud, California del Sud, Australia e Danimarca.

Nel capitolo di approfondimento sul nostro Paese, il rapporto precisa che le rinnovabili hanno fornito nel 2012 il 31% della produzione elettrica lorda: con sole e vento che si aggiudicano oltre un terzo di questa quota (6% fotovoltaico e 4,5% eolico). Ma, avverte la Iea, lo sviluppo delle rinnovabili in Italia è legato alla scioglimento di due nodi. Il primo è la rete di trasmissione, che deve essere fluidificata in particolare per collegare meglio Nord e Sud e permettere il migliore sfruttamento del potenziale eolico. Il secondo è il superamento delle difficoltà che frenano il consumo sul posto del fotovoltaico: “L’autoconsumo sarà un fattore chiave per la distribuzione nel medio termine”.

martedì 2 luglio 2013

Wwf: "In Italia due delle centrali a carbone più inquinanti"

Wwf: "In Italia due delle centrali a carbone più inquinanti"

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 
In un contesto internazionale che va verso la chiusura delle centrali in tutto il mondo, nel nostro Paese che ospita già alcune tra le più inquinanti strutture d'Europa, si pianifica di realizzarne delle nuove

L'Italia ospita due degli impianti a carbone più inquinanti d’Europa. A dirlo è il Wwf, che spiega come, nella top 30 degli impianti più inquinanti d'Europa, al 9° posto ci sarebbe quello di Brindisi Sud e al 14° quello di Civitavecchia, entrambi di proprietà Enel che, insieme, emettono quasi 23 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Non solo. Non contento di annoverare due dei siti più inqunanti del Vecchio Continente, il nostro Paese sta pianificando di convertire a carbone la Centrale di Porto Tolle nel Parco del Delta del Po, aprirne una nuova a Saline Joniche e ampliare quella di Vado Ligure.

Secondo il dossier Wwf "Il carbone in Italia" pubblicato nell’ambito della campagna "No al carbone SI al futuro", attualmente in Italia sono in funzione 13 centrali a carbone, assai diverse per potenza installata e anche per la tecnologia impiegata. Questi impianti nel 2010 hanno prodotto circa 39.734 GWh, contribuendo all'11,6% del fabbisogno elettrico complessivo. A fronte di questi dati, apparentemente abbastanza modesti, gli impianti a carbone hanno prodotto circa 35 milioni di tonnellate di CO2 corrispondenti a oltre il 30% di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale.

"I dati mostrano un preoccupante aumento dell’uso del carbone (salito al 18,5% nel 2012), segno che il Piano di decarbonizzazione approvato dal Cipe solo due mesi fa è già lettera morta - spiega il Wwf in unannota - e che il Governo non ha avuto ancora la capacità di fornire regole e indirizzi a questo proposito. Senza dimenticare la Strategia Energetica Nazionale, redatta dal governo Monti nata già vecchia, perché non punta concretamente sulle rinnovabili e afferma una riduzione della quota di carbone nel mix energetico smentita dai fatti; da parte sua, gli uffici e le commissioni tecniche competenti del Ministero dell’Ambiente rilasciano con disinvoltura pareri di valutazione di impatto ambientali positivi che consentono di costruire nuove centrali a carbone (Saline Joniche), riconvertirle (Porto Tolle) o ampliarle (Vado Ligure), in contrasto con gli obiettivi comunitari e con le strategie di sostenibilità economica, sociale e ambientale che dovrebbero essere proprie di un Paese europeo avanzato".

“Il Wwf chiede che si accantonino con decisione i progetti di nuove centrali a carbone, delle quali non c’è alcun bisogno in un sistema elettrico che vede le centrali tradizionali già sovrabbondanti, con una capacità addirittura doppia rispetto al massimo picco di domanda mai raggiunto. Anzi, vanno chiuse anche le centrali a carbone esistenti, a cominciare dalle più inquinanti per il clima e la salute. La politica deve scegliere: o favorisce gli interessi di pochi, o pensa al futuro di tutti in modo strategico, puntando sull’energia rinnovabile e sull’economia decarbonizzata - ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia - il mondo si mobilita contro il carbone. La rivoluzione rinnovabile sta succedendo qui e ora, la popolazione mondiale lo sa e alza la voce per chiedere ai governi di tutto il mondo di mandare in pensione la fonte di energia più pericolosa per il clima e la salute e puntare su fonti rinnovabili, reti intelligenti ed efficienza energetica”.

Il Wwf in tutto il mondo ha lanciato da pochi giorni una petizione globale che chiede proprio di finanziare il futuro delle energie rinnovabili e non il passato delle energie fossili.

mercoledì 12 giugno 2013

Centrali nucleari: regole più severe in Europa

Centrali nucleari: regole più severe in Europa

(Fonte:GreenStyle.it-Guido Grassadonio)

 
 
 
È solo un’anticipazione giornalistica, ma le informazioni nella mani del quotidiano tedesco “Frankfurter Allgemeine” sembrano sicure. A Bruxelles stanno riflettendo seriamente sulla creazione di un regolamento molto più rigido per le centrali nucleari dei Paesi membri.

In Europa sono attive qualcosa come 145 centrali atomiche. Il commissario europeo all’Energia, Guenther Oettinger, dovrebbe presentare a breve un piano articolato che prevede come punto principale l’istituzione di stress test periodici per i reattori. Stress test che dovranno essere molto più radicali di quelli messi in atto nel periodo post-Fukushima.

Altro punto fondamentale del piano riguarda l’obbligo per ogni Paese di comunicare alle istituzioni comunitarie competenti ogni incidente nucleare. Conseguentemente, lasciare visitare gli impianti nei sei mesi successivi ad un team ispettivo inviato dall’UE.

Le associazioni ambientaliste, giustamente, non possono ritenersi soddisfatte al 100%. Ma se il Consiglio dei ministri dovesse approvare il piano, sia per le lobby nucleariste, sia soprattutto per alcuni Paesi membri sarebbero guai seri.

Nei Paesi dell’est-Europa (con le dovute eccezioni virtuose, come la Slovenia), così come in Francia, esistono parecchie centrali che potrebbero non superare i test voluti dal commissario tedesco. In alcuni contesti, come quello francese, lo scossone politico energetico potrebbe essere più radicale di quanto non si pensi a prima vista.

mercoledì 8 maggio 2013

Dal 90% degli italiani No al carbone e Si al solare

 Dal 90% degli italiani No al carbone e Si al solare

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 
I dati del 9° Rapporto “Gli italiani e il solare” confermano il sostegno larghissimo degli italiani verso le rinnovabili. Pecoraro Scanio: "Nel 2020 chiudere le centrali a carbone e a olio combustibile, nel 2050, 100% di energia da rinnovabili"

 
I dati del nono Rapporto “Gli italiani e il solare”, realizzato da IPR Marketing e dall’Osservatorio sul Solare della Fondazione UniVerde con il sostegno di Yingli Green Energy Italia e di Sorgenia, confermano il sostegno larghissimo degli italiani verso il solare, ma rivelano una novità: il 90% degli intervistati vuole la chiusura entro il 2020 delle centrali più inquinanti, a carbone e a olio combustibile, e si spingono ben oltre il 75% di rinnovabili ipotizzato dalla Energy Road Map europea, auspicando infatti un'Italia 100% ad energia verde. Secondo l’80% degli intervistati, infatti, il carbone è considerata la fonte d’energia del passato e che, insieme al petrolio, sono chiaramente identificati dagli italiani come i combustibili fossili più dannosi per il clima.

La proposta di chiudere entro il 2020 tutte le centrali a carbone e a olio combustibile, a partire da quelle più vecchie ed inquinanti, è stata accolta favorevolmente dal 90% degli intervistati che peraltro sono d’accordo con l’Energy Road Map europea al 2050 e guardano con speranza alla possibilità di arrivare al 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili. Infine, per l’88% degli intervistati, sarebbe auspicabile l’introduzione di una carbon tax sulle attività che producono emissioni di CO2. Gli italiani insistono anche per incentivi pro rinnovabili (l’85% degli intervistati) ma è in forte aumento (48% rispetto al 39% del precedente sondaggio) la percentuale di chi accetterebbe la sostituzione degli incentivi economici con quelli normativi ovvero con semplificazioni burocratiche e libertà di auto produrre e vendere energia in rete. Confermano la loro preferenza per il solare l’89% degli intervistati secondo i quali l’Italia dovrebbe puntare sempre di più su questa fonte di energia di gran lunga più sicura (per l’89% degli intervistati) e compatibile con l’ambiente (per il 92% degli intervistati) rispetto alle fonti tradizionali. Inoltre, nove italiani su dieci voterebbero a favore dell’installazione di un impianto fotovoltaico sul proprio condominio utilizzando un incentivo pubblico.

Sulle “smart grids”, invece, resta ancora molto da fare, infatti il 77% degli intervistati non ne ha ancora mai sentito parlare e, anche tra chi ne ha sentito parlare, soltanto un misero 7% ne conosce il significato. Tuttavia, appena spiegatogli che si tratta di reti intelligenti decise dall‘Unione Europea con cui ogni cittadino potrà non solo ricevere e comprare energia ma diventare produttore, da solo e in comunità, e anche vendere energia ad altri attraverso la rete, l’88% degli intervistati la valutano positivamente anche se alcuni mantengono dubbi sulla reale fattibilità in Italia. Per Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde e già Ministro dell’Ambiente “I risultati emersi dal 9° Rapporto sono sorprendenti. Gli italiani pensano in modo decisamente più green rispetto alla loro classe dirigente. Emerge una grande determinazione, già in evidente aumento negli ultimi anni, nell’invocare una svolta energetica e ciò nonostante la forte campagna denigratoria contro il fotovoltaico. I dati su ciò che pensano gli italiani del carbone e la straordinaria propensione ad una concreta riconversione energetica, da attuare anche attraverso la graduale chiusura delle centrali a carbone e a olio combustibile più vecchie ed inquinanti, non possono restare inascoltate. Adesso più che mai, in un Parlamento caratterizzato da una forte presenza favorevole alla green economy, occorre promuovere questa svolta già intrapresa in tanti altri Paesi. La banca dati, unica nel suo genere, elaborata in questi anni dalla Fondazione UniVerde e IPR Marketing, attraverso i nove rapporti e i vari focus, può essere uno strumento per orientare le scelte delle Istituzioni se davvero si vuole ascoltare l’opinione degli italiani”.

Fabio Patti, Amministratore Delegato di Yingli Green Energy Italia, ha dichiarato: “Il fotovoltaico in Italia sta cambiando con la fine del Quinto Conto Energia ed ha ancora molti margini di sviluppo: lo conferma la volontà di migliaia di italiani che si sono detti subito favorevoli all’installazione di un impianto fotovoltaico. Siamo di fronte ad un nuovo capitolo, quello dell’era post-incentivi, in cui le soluzioni pratiche e flessibili, tagliate sull’autoconsumo energetico, consentono di realizzare impianti sulla base dei consumi di energia reali di una casa, di un condominio o di una piccola impresa commerciale. Con tanto di beneficio sia per le tasche di famiglie e imprenditori, sia per l’ambiente. Sarà per forza di cose un capitolo nuovo e per certi versi stimolante perché sancirà la sopravvivenza delle sole aziende del fotovoltaico in grado di garantire davvero prodotti e servizi di qualità, quindi esattamente quell’energia solare sicura e compatibile con l’ambiente che, risultati alla mano, gli italiani chiedono, ancora, a gran voce”.

venerdì 8 marzo 2013

Carbone: crescita 10 volte quella delle rinnovabili secondo il WEF

Carbone: crescita 10 volte quella delle rinnovabili secondo il WEF

(Fonte:GreenStyle.it-Guido Grassadonio)

Si parla spesso di boom delle rinnovabili. Con fotovoltaico ed eolico a fare da traino, il settore è, in effetti, in costante crescita a livello globale. Estremizzare questo dato può però essere fuorviante. Uno studio ad opera del World Economic Forum (WEF) ci spiega come mai: in dieci anni il carbone è cresciuto ben 10 volte di più (e ben due volte più del gas).

Dunque, se è giusto guardare con soddisfazione alla crescita delle fonti verdi, che si candidano ad essere le fonti principali di produzione energetica in futuro, bisogna riconoscere, almeno secondo il forum, che le fonti fossili resteranno la risorsa principale ancora per almeno 20 anni. Ad oggi, nonostante il suddetto boom, le rinnovabili pesano all’interno della produzione mondiale appena l’1,6%.

Come spiega sinteticamente Roberto Bocca, responsabile per il WEF del settore Energy Industries:

Il convincimento generale è che si vada verso un mondo dominato dalle rinnovabili. Invece, sorprendentemente, la transizione sarà differente rispetto al passato e si andrà da un mix di poche fonti a un mix di molte fonti e molto differenziate tra loro.

Il prossimo futuro, allora, si prospetta come energeticamente dominato dall’imporsi di mix energetici estremamente variegati. A contribuire a questa complessità, lo sviluppo di particolari ed innovative tecniche estrattive che sembrano riuscire a contenere la crescita di prezzo delle fonti fossili.

Le rinnovabili dovrebbero diventare decisive soltanto dopo il 2030. C’è un elemento che potrebbe disturbare quest’equilibrio: se l’industria automobilistica lanciasse l’auto elettrica come prodotto standard, il superamento delle fonti fossili verrebbe di gran lunga accelerato.

giovedì 31 gennaio 2013

Il canto del cigno del carbone in Europa

Il canto del cigno del carbone in Europa

(Fonte:QualEnergia.it)
 
 
Dal 2009 l'uso del carbone in Europa sta crescendo sensibilmente (vedi grafico sotto), ma pensare che questa fonte stia vivendo una rinascita e abbia un futuro è un mito infondato. Si tratta piuttosto di un canto del cigno, una ripresa temporanea cui seguirà un inevitabile declino. Lo mostrano bene alcuni dati raccolti in un recente intervento di Justin Guay del Sierra Club e Lauri Myllyvirta di Greenpeace International, dal quale attingiamo.



Innanzitutto, come sta avvenendo negli Usa, anche in Europa non si stanno costruendo nuove centrali a carbone: delle 112 che si dovevano realizzare nel 2008 solo 3 sono arrivate ad aprire i cantieri mentre 73 progetti sono stati abbandonati definitivamente. Dal 2000 al 2011 il carbone ha perso 10 GW netti di potenza da carbone: in questi anni l'Europa ha installato tantissimo gas, eolico e fotovoltaico, mentre le altre fonti convenzionali hanno visto più potenza decommissionata rispetto a quella installata (-10 GW il carbone, -14 il nucleare e un calo di uguale entità per l'olio combustibile, vedi grafico).



E la Germania, dove da qualche mese, ad agosto, si è inaugurata una nuova centrale a lignite da 2.200 MW, quella di proprietà RWE a Colonia? Non è vero che la rinuncia tedesca all'atomo e il piano di sviluppare le rinnovabili stiano portando a realizzare più centrali a carbone? No: innanzitutto il processo per realizzare la centrale in questione è iniziato nel 2006, prima della decisione di uscire dal nucleare, inoltre l'impianto va a sostituire 2.400 MW di potenza da carbone che saranno 'pensionati' entro fine anno nella stessa area.

Uno studio dell'Agenzia per l'energia tedesca prevede che da qui al 2020 nel Paese si fermino centrali a carbone per 18,5 GW, e se ne mettano in funzione di nuove per 11,3. Neanche in Germania, dove come da noi la concorrenza del gas è messa a dura prova dalle rinnovabili, il carbone ha un futuro roseo. Basti pensare che dal 2008 nel paese ben 24 progetti di nuove centrali a carbone sono stati soppressi.

La crescita dell'uso del carbone nella produzione elettrica che si sta verificando dal 2009 (e che dopo due anni di calo ci ha riportato a valori comunque ancora inferiori a quelli del 2007) è dovuta a maggiori consumo negli impianti esistenti e non all'entrata in esercizio di nuove centrali. I motivi di questa impennata dei consumi sono diversi: l'entrata in vigore al 2016 di regole più restrittive sull'inquinamento atmosferico, i prezzi starcciati dei permessi ad emettere CO2 e varie politiche nazionali. Tutti fattori, argomentano Guay e Myllyvirta, che se ora hanno favorito il carbone gli si rivolgeranno contro nel giro di qualche anno.

Il fatto che le norme più severe sull'inquinamento atmosferico entrino in vigore dal 2016, sta spingendo gli operatori a sfruttare al massimo gli impianti ora. Quelle stesse regole però faranno chiudere un bel po di centrali: il 10% della potenza attuale (10 GW) chiuderanno entro il 2015 perché non adeguate alla normativa attualmente in vigore e al 2016 con l'entrata in vigore della normativa più severa ci sarà una nuova ondata di chiusure: solo il 40% degli impianti a carbone attualmente in esercizio infatti hanno i requisiti richiesti dalle regole che scatteranno nel 2016 mentre il restante 60% dovrà sottoporsi a costosi adeguamenti o chiudere (vedi grafico sotto).



Altra causa della recente impennata dei consumi di carbone è il prezzo della CO2, troppo basso per disincentivare l'uso di questo combustibile sporco. Come sappiamo, complice il calo delle emissioni dovuto alla crisi e l'eccesso di permessi assegnati gratuitamente, emettere CO2 per le industrie che partecipano all'ETS europeo non è mai costato così poco: si pensi che in questi giorni stiamo sotto intorno a 4 euro a tonnellata. Una situazione che però dovrebbe cambiare: da quest'anno è iniziata la terza fase dell'ETS, nella quale verrà quasi completamente eliminata l'assegnazione gratuita dei permessi: questo dovrebbe portare ad un rialzo dei prezzi della CO2, che penalizzerà il carbone e soprattutto la lignite, che ora ha un grosso ruolo (specie in Germania), ma che è anche la forma di carbone con più emissioni a parità di energia prodotta.

Infine ci sono le politiche nazionali, che in diversi casi stanno ponendo quasi moratorie di fatto a nuove centrali a carbone. Il Regno Unito ad esempio sta introducendo un floor price per la CO2 e ha stabilito limiti di emissioni per le nuove centrali che di fatto al momento impediscono di realizzarne, l'Olanda sta introducendo una carbon tax, la Danimarca ha annunciato di voler abbandonare il carbone e anche la Finlandia ci sta pensando, in Spagna gli aiuti all'industria del carbone sono in discussione.

E in Italia? Da noi ci sono proposte di conversione o di costruzione ex novo di centrali a carbone per oltre 5.000 MW, con Enel che sta puntando forte sul nero, ma siamo anche in una situazione di forte overcapacity (abbiamo 120.000 MW di potenza a fronte di una richiesta di punta di 57.000 MW), c'è una forte opposizione pubblica e anche l'ipotesi di introdurre una carbon tax.Insomma, da noi come in Europa, ci sono buone speranze che il carbone si avvii al declino. Uno scenario diverso, nel quale continui la crescita di questa fonte sporca d'altra parte non sarebbe sostenibile: oltre all'impatto su emissioni e clima, produrre elettricità da carbone provoca circa 170.000 morti ogni 1000 TWh e a questa fonte si deve gran parte di quei 66-112 miliardi di euro di danni che la produzione elettrica causa in Europa ogni anno secondo i dati dell'Agenzia europea per l'Ambiente. Oggi l'uso sfrenato del carbone sta dimostrando tutte le sue storture ambientali con l'inquinamento che si vede, si tocca e si respira in tutte le grandi città della Cina.

martedì 13 novembre 2012

Rinnovabili supereranno il carbone nel 2035

Rinnovabili supereranno il carbone nel 2035

(Fonte:GreenStyle.it-Silvana Santo)
 
 
Le rinnovabili sanno pronte a contendersi con il carbone il titolo di principale sorgente di energia elettrica a livello mondiale entro il 2035. A dirlo è la IEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, spiegando che la crescita delle fonti “pulite” sarà garantita dal calo dei prezzi e dall’aumento degli incentivi statali.

Già nel 2015, secondo la International Energy Agency, parchi eolici e centrali idroelettriche rappresenteranno nell’insieme il secondo generatore di elettricità su scala mondiale, per poi avvicinarsi progressivamente ai numeri del carbone e arrivare a contendergli il primato 20 anni dopo. Scrive la IEA:

Un costante aumento dell’energia idroelettrica e la rapida espansione dei settori eolico e solare hanno rafforzato la posizione delle energie rinnovabili come una parte indispensabile del mix energetico globale. Il rapido aumento delle fonti rinnovabili si deve ai costi tecnologici in calo, all’aumento dei prezzi dei combustibili fossili e soprattutto alle sovvenzioni statali.


A proposito di incentivi, secondo l’Agenzia il loro ammontare complessivo potrebbe crescere dagli 88 miliardi i dollari del 2011 a 240 nel 2035. Cifre comunque ancora nettamente inferiori a quelle stanziate dai governi di tutto il mondo per sostenere i combustibili fossili (523 miliardi di dollari solo lo scorso anno). Sempre sul fronte sei sussidi statali, l’Agenzia mette in guardia per l’avvenire:

Al fine di evitare oneri eccessivi per i governi e i consumatori, le misure di sovvenzione volte a sostenere i nuovi progetti nel campo delle energie rinnovabili devono essere adeguate nel tempo, commisurandosi all’aumentare della capacità installata e al calo dei costi delle tecnologie rinnovabili.
 
In ogni caso, sarà soprattutto grazie agli incentivi statali che eolico, fotovoltaico e le altre fonti pulite esploderanno nei prossimi decenni. Non abbastanza, sottolinea comunque la IEA, da permettere di contenere le emissioni di CO2 al punto tale da contenere l’aumento di temperatura globale entro un massimo di 2 gradi centigradi, come auspicato dalle Nazioni Unite. Quasi l’80% delle emissioni consentite entro il 2035 nel quadro dello scenario “più 2 gradi” è già impegnato a causa di centrali elettriche, fabbriche ed edifici attualmente esistenti.