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venerdì 10 gennaio 2014

Energia elettrica: cresce produzione da rinnovabili, in calo i consumi

(Silvana Santo)
 
 
 
Cresce la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia. Lo testimoniano i primi dati provvisori diffusi da Terna su consumi e produzione di elettricità nel 2013. Rispetto all’anno precedente, in particolare, mostrano un segno positivo la produzione idroelettrica (+21,4%), fotovoltaica (+18,9%), eolica (+11,6%) e geotermica (+1,0%); in calo invece la fonte termoelettrica (-12,0%).

In flessione, invece, il consumo nazionale di energia elettrica, che lo scorso anno ha segnato una flessione del 3,4% rispetto al 2012 (in totale, dell’energia richiesta in Italia nel 2013 è stata pari a 317,1 miliardi di kilowattora), che a sua volta aveva chiuso con un calo dell’1,9% sul 2011. Si tratta, sottolinea Terna, del calo più consistente da inizio secolo dopo quello del 2009, quando, per effetto della crisi economica, il calo sull’anno precedente fu pari al 5,7%.

Una flessione che ha interessato tutto il territorio nazionale, con punte in Sardegna (-16,4%) e nella macroarea del Nord-Ovest (-7,8%) che include Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta. In calo anche la produzione di elettricità made in Italy, con il valore netto (277,4 miliardi di kWh) in diminuzione del 3,6% rispetto al 2012.

La produzione nazionale ha soddisfatto l’86,7% del fabbisogno di elettricità del 2013, mentre la quota restante (13,3%) è stata coperta con il saldo dell’energia scambiata con l’estero. quanto al contributo percentuale delle singole fonti, il 56,8% della produzione italiana, nonostante il calo, resta appannaggio del termoelettrico, il 16,5% della fonte idroelettrica, 1,7% geotermica, 4,7% eolica e 7,0% fotovoltaica).

Per quanto riguarda infine il mese di dicembre 2013, la quantità; di energia elettrica richiesta in Italia, pari a 26,1 miliardi di kWh, ha fatto registrare una flessione del 2,2% rispetto a dicembre dello scorso anno.

martedì 10 dicembre 2013

Accordo Ikea/Enel per colonnine di ricarica veicoli elettrici

Accordo Ikea/Enel per colonnine di ricarica veicoli elettrici

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 
 
Ikea Italia ed Enel Distribuzione SpA firmano oggi un protocollo d’intesa per dotare i negozi serviti dalla rete Enel di colonnine per auto elettriche. Il protocollo, che coinvolge 18 negozi Ikea dei 20 presenti in Italia (a cui si aggiungerà a marzo 2014 anche il nuovo negozio di Pisa), prevede siano installate 36 infrastrutture di ricarica, ovvero due colonnine per ogni punto vendita. Sono già cinque i punti vendita in Italia che oggi offrono il servizio di ricarica dei veicoli elettrici. L’obiettivo di Ikea è arrivare entro i primi mesi del 2014 ad avere, come prima catena della grande distribuzione in Italia, tutti i punti vendita dotati di queste infrastrutture, anche in collaborazione con altri partner. Ikea ha deciso di fornire gratuitamente questo servizio a tutti i soci Ikea Family.

Le infrastrutture che saranno installate in collaborazione con Enel Distribuzione sono del tipo Pole Station, possono ricaricare a 3kW (slow) o a 22 kW (quick) e garantiscono l’alimentazione dei veicoli di nuova generazione così come del parco di veicoli già circolante. L’iniziativa si inserisce all’interno della strategia di sostenibilità di Ikea “People and Planet Positive”, con l’obiettivo di avere un impatto positivo sull’ambiente e sulle persone, che coinvolge ogni aspetto del business, dal rapporto con i fornitori, a come sono realizzati e gestiti i negozi, ai servizi offerti ai clienti.

“La mobilità elettrica presenta grandi potenzialità in termini di riduzione dell’inquinamento sia atmosferico che acustico - ha detto Stefano Brown, Sustainability manager Ikea Italia - ecco perché crediamo in questo progetto e stiamo sperimentando varie tecnologie e soluzioni per offrire una possibilità in più ai nostri clienti per fare una scelta sostenibile. È un altro piccolo passo verso il nostro obiettivo di abbassare in modo consistente le emissioni di CO2. Non ci fermiamo qui: continueremo ad investire sulla sostenibilità nonostante la contingenza economica”.

sabato 28 settembre 2013

La campagna #guerrieri Enel è una lama a doppio taglio, smascherato il greenwashing.

La campagna #guerrieri Enel è una lama a doppio taglio, smascherato il greenwashing.

(Fonte:Ecqualogia.it)
 
 
 
 
Il greenwashing di Enel con la campagna #guerrieri su twitter ha messo in luce le falle di una multinazionale dell'energia che fonda la sua produzione su fonti inquinanti. L' hashtag #guerrieri diventa per Enel una lama a doppio taglio.

Dopo aver organizzato un concorso con in palio 5 biciclette elettriche del valore di 954 euro attraverso una piattaforma per la scrittura di storie con l’obiettivo di racimolare followers da twitter e facebook, la campagna #guerrieri lanciata da Enel su twitter si è rivelata un flop trasformandosi in effetto boomerang, ovvero una sfilza di commenti negativi. Il concorso si chiude il 26 settembre ma l’hastag #guerrieri e il suo effetto boomerang probabilmente sopravviverà più a lungo.
La campagna è stata progettata dall’agenzia Saatchi & Saatch e partita il 26 agosto e nelle intenzioni voleva premiare i #guerrieri ossia, come ha avuto modo di spiegare Paolo Iammatteo, responsabile Comunicazione e CSR dell’azienda: Il nostro obiettivo è quello di celebrare la determinazione delle persone comuni, dando vita a un racconto collettivo che ha il volto di un’Italia che spera, sogna, combatte e costruisce. La campagna ha però sortito l’effetto contrario poiché evidentemente il greenwashing è stato smascherato. I commenti su twitter sono stati negativi e #guerrieri è diventato l’hastag per ricordare a Enel le sue centrali a carbone attive in Italia, da Civitavecchia, a La Spezia a Porto Tolle, in un crescendo di ironia.
La riflessione fatta da Wu ming e lo storify raccolto spiegano effettivamente cosa è accaduto:



Detto fatto: su twitter si sono scatenati e il flop si è manifestato. Si attende ora di capire come e se Enel risponderà.

giovedì 1 agosto 2013

Quei 160 milioni di euro pubblici che ai nuovi impianti inquinanti

Quei 160 milioni di euro pubblici che ai nuovi impianti inquinanti

(Fonte:QualEnergia-Giulio Meneghello)
 
 
 
 
Circa 160 milioni di euro di fondi pubblici che sarebbero dovuti servire a ridurre le emissioni di CO2, paradossalmente finiranno come rimborsi agli impianti inquinanti entrati in esercizio negli ultimi quattro anni. Oltre 51 milioni andranno alla sola centrale a carbone Enel di Torrevaldadiga Nord, a Civitavecchia, tra i maggiori emettitori di CO2 in Italia, nonché responsabile con il suo inquinamento di circa 45 morti premature l'anno (secondo uno studio commissionato da Greenpeace Italia all’istituto indipendente di ricerca olandese SOMO).

All'Ilva di Taranto di milioni ne andranno oltre 3, e la lista dei beneficiati continua (comprendendo anche impianti meno impattanti, come i cicli combinati a gas): Sorgenia riceverà 25 milioni spalmati su 3 impianti, Ergosud 9 milioni, Eni Power quasi 7 milioni, Tirreno Power 4,4 milioni e decine di altre aziende avranno somme minori.

Gli importi, stabiliti con due delibere emesse dall'Autorità per l'Energia lo scorso 26 luglio (vedi allegati in basso), si riferiscono ai rimborsi dovuti ai cosiddetti 'nuovi entranti' italiani nel sistema ETS, il meccanismo europeo di scambio delle emissioni. Soldi che sono garantiti agli impianti entrati in esercizio negli ultimi anni nonostante la riserva loro destinata fosse esaurita: grazie a un intervento del governo Berlusconi del 2010, infatti, i fondi verranno presi dai proventi della vendita all'asta dei permessi ad emettere. Proventi che, come anticipato, dovrebbero in teoria essere destinati, oltre che a risanare le casse statali, a sostenere investimenti per ridurre la CO2.

Come è successo? La storia ha inizio nel 2006, mentre ci si preparava alla fase 2 dell'ETS, iniziata dal 2008 e terminata con il 2012. Come sappiamo, in quella fase la quasi totalità dei permessi ad emettere venivano assegnati gratuitamente agli impianti che rientravano nello schema, ossia centrali termoelettriche e altre industrie ad alte emissioni. Quante quote gratuite potevano essere assegnate agli impianti italiani e quali soggetti ne avessero diritto venne stabilito con il Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di CO2 2008-2012 (PNA), approvato ufficialmente il 18 dicembre 2006 dai ministeri di Ambiente e Sviluppo Economico del secondo governo Prodi, presieduti rispettivamente da Alfonso Pecoraro Scanio e Pierluigi Bersani.

Proprio in quel piano c'è il seme della distorsione che porta ai paradossali rimborsi deliberati nei giorni scorsi. Non riuscendo a ottenere dall'Europa di poter assegnare un volume di permessi ad emettere tanto grande quanto quanto richiesto, infatti, gli estensori del Piano hanno deciso – con ogni probabilità per non ledere gli interessi degli impianti già in esercizio - di sacrificare la quota di permessi gratuiti da accantonare per gli impianti che sarebbero stati costruiti negli anni seguenti, appunto i cosiddetti nuovi entranti.

La riserva per i nuovi entranti, come quasi certamente sapeva anche chi ha scritto il Piano, è risultata dunque sottodimensionata rispetto alle centrali e alle industrie costruite negli anni successivi: nel primo anno della fase 2 delll'ETS, il 2008 era già stata esaurita e ovviamente anche negli anni seguenti - 2009, 2010, 2011 e 2012 – non ci sono stati abbastanza permessi gratuiti risparmiati da assegnare.

I nuovi entranti hanno così dovuto acquistare di tasca loro i crediti, ma per loro il danno non è stato grave: come forse gli autori del PNA 2008-2012 già immaginavano sarebbe successo, in soccorso è arrivata la mano pubblica nelle vesti di un decreto emanato dal governo Berlusconi nel 2010.

È il Decreto Legge n.72, del 20 maggio 2010, (convertito con la Legge 19 Luglio 2010, n°111) che identifica un meccanismo di rimborso per le installazioni che non hanno ricevuto quote di emissione di CO2 a titolo gratuito a causa dell’esaurimento della riserva per i nuovi entranti. All'articolo 2, comma 3 del provvedimento - a firma Berlusconi (ministro ad interim dello Sviluppo Economico), Prestigiacomo (Ambiente), Matteoli (Infrastrutture) e Tremonti (Economia) – si stabilisce che i soldi da dare ai nuovi entranti – il rimborso comprensivo di interessi di quanto speso per acquistare i crediti - vengano presi dai proventi della vendita all'asta delle quote di CO2 non assegnate gratuitamente.

Da lì le delibere emanate nei giorni scorsi dall'Aeeg, che altro ruolo non ha se non stabilire gli importi in base alle emissioni degli impianti in questione e alle quotazioni della CO2 in quegli anni: 144 milioni di rimborsi relativi al 2012, 10,8 al 2011, 3,5 al 2010, circa un milione al 2009 e 41mila euro al 2008.

Ecco come è successo che 160 milioni del ricavato della vendita all'asta dei permessi - che dovrebbe essere diviso tra entrate erariali e attività per ridurre la CO2, come ad esempio finanziare il Fondo rotativo per Kyoto - andrà invece agli impianti inquinanti costruiti negli ultimi anni.

Come commenta Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club: “In questo modo si è svuotato di significato un meccanismo nato per ridurre le emissioni. Lo si è trasformato in un incentivo al contrario che paradossalmente rimborsa i grandi emettitori. Se si guarda al caso della centrale Enel di Civitavecchia non c'è bisogno di aggiungere altro”.

martedì 2 luglio 2013

Wwf: "In Italia due delle centrali a carbone più inquinanti"

Wwf: "In Italia due delle centrali a carbone più inquinanti"

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 
In un contesto internazionale che va verso la chiusura delle centrali in tutto il mondo, nel nostro Paese che ospita già alcune tra le più inquinanti strutture d'Europa, si pianifica di realizzarne delle nuove

L'Italia ospita due degli impianti a carbone più inquinanti d’Europa. A dirlo è il Wwf, che spiega come, nella top 30 degli impianti più inquinanti d'Europa, al 9° posto ci sarebbe quello di Brindisi Sud e al 14° quello di Civitavecchia, entrambi di proprietà Enel che, insieme, emettono quasi 23 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Non solo. Non contento di annoverare due dei siti più inqunanti del Vecchio Continente, il nostro Paese sta pianificando di convertire a carbone la Centrale di Porto Tolle nel Parco del Delta del Po, aprirne una nuova a Saline Joniche e ampliare quella di Vado Ligure.

Secondo il dossier Wwf "Il carbone in Italia" pubblicato nell’ambito della campagna "No al carbone SI al futuro", attualmente in Italia sono in funzione 13 centrali a carbone, assai diverse per potenza installata e anche per la tecnologia impiegata. Questi impianti nel 2010 hanno prodotto circa 39.734 GWh, contribuendo all'11,6% del fabbisogno elettrico complessivo. A fronte di questi dati, apparentemente abbastanza modesti, gli impianti a carbone hanno prodotto circa 35 milioni di tonnellate di CO2 corrispondenti a oltre il 30% di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale.

"I dati mostrano un preoccupante aumento dell’uso del carbone (salito al 18,5% nel 2012), segno che il Piano di decarbonizzazione approvato dal Cipe solo due mesi fa è già lettera morta - spiega il Wwf in unannota - e che il Governo non ha avuto ancora la capacità di fornire regole e indirizzi a questo proposito. Senza dimenticare la Strategia Energetica Nazionale, redatta dal governo Monti nata già vecchia, perché non punta concretamente sulle rinnovabili e afferma una riduzione della quota di carbone nel mix energetico smentita dai fatti; da parte sua, gli uffici e le commissioni tecniche competenti del Ministero dell’Ambiente rilasciano con disinvoltura pareri di valutazione di impatto ambientali positivi che consentono di costruire nuove centrali a carbone (Saline Joniche), riconvertirle (Porto Tolle) o ampliarle (Vado Ligure), in contrasto con gli obiettivi comunitari e con le strategie di sostenibilità economica, sociale e ambientale che dovrebbero essere proprie di un Paese europeo avanzato".

“Il Wwf chiede che si accantonino con decisione i progetti di nuove centrali a carbone, delle quali non c’è alcun bisogno in un sistema elettrico che vede le centrali tradizionali già sovrabbondanti, con una capacità addirittura doppia rispetto al massimo picco di domanda mai raggiunto. Anzi, vanno chiuse anche le centrali a carbone esistenti, a cominciare dalle più inquinanti per il clima e la salute. La politica deve scegliere: o favorisce gli interessi di pochi, o pensa al futuro di tutti in modo strategico, puntando sull’energia rinnovabile e sull’economia decarbonizzata - ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia - il mondo si mobilita contro il carbone. La rivoluzione rinnovabile sta succedendo qui e ora, la popolazione mondiale lo sa e alza la voce per chiedere ai governi di tutto il mondo di mandare in pensione la fonte di energia più pericolosa per il clima e la salute e puntare su fonti rinnovabili, reti intelligenti ed efficienza energetica”.

Il Wwf in tutto il mondo ha lanciato da pochi giorni una petizione globale che chiede proprio di finanziare il futuro delle energie rinnovabili e non il passato delle energie fossili.

lunedì 17 giugno 2013

Cambio di strategia Enel? Ora guarda alla generazione distribuita

Cambio di strategia Enel? Ora guarda alla generazione distribuita

(Fonte:QualEnergia.it-Alessandro Codegoni)
 
 
 
Per molti fan delle energie rinnovabili l’Enel è l’arcinemico, per la sua insistenza su fonti a loro poco gradite, come il nucleare e il carbone, e la sue prese di posizione contro un’ulteriore espansione del fotovoltaico, che minaccerebbe la sopravvivenza delle centrali a metano.

Ma, come sempre accade, le cose sono diverse e più complicate da come appaiono, a parte il fatto che in Enel esiste la divisione Green Power, che è una delle più grandi aziende specializzate in energie rinnovabili del mondo, al suo interno sembra si stia preparando una sorprendente rivoluzione strategica: dalla difesa della grande produzione elettrica centralizzata a base di fonti fossili, a una sorta di “accettazione” della vittoria delle rinnovabili, e il riposizionamento dell’azienda su un modello energetico basato sulla produzione distribuita, le reti intelligenti, i trasporti elettrici, l’acquisizione e gestione di piccoli impianti a fonti intermittenti, tutti settori che pongono problemi tecnologici ben diversi da quelli che Enel finora ha affrontato.

Questa, almeno, è la visione strategica dell’ingegner Sauro Pasini, responsabile dell'Area tecnica Ricerca di Enel, divisione Ingegneria e Innovazione, insomma colui che deve preparare gli strumenti con cui l’azienda affronterà le sfide del futuro.

Ingegner Pasini, può definire l’area che lei dirige?

La Ricerca di Enel lavora su tematiche di interesse per tutte le divisioni del gruppo, sia in Italia che all’estero, con l’unica eccezione per la tecnologia nucleare, che ha una sua area specializzata. Il quartier generale della Ricerca è a Pisa e in Toscana abbiamo due aree sperimentali, una a Sesta, dove svolgiamo test sui combustori in piena scala per turbogas, e una a Livorno dove, oltre ai processi di combustione, sperimentiamo sistemi di accumulo energetico e tecnologie per la cybersecurity. Abbiamo poi a Brindisi un gruppo di ricercatori si occupa di tematiche ambientali e tecnologie per la previsione delle energie rinnovabili, mentre in Sicilia, attraverso il Laboratorio Fotovoltaico, si concentrano tutte le attività sull’energia solare, grazie anche alla presenza della centrale Archimede di Priolo, primo impianto solare termodinamico basato su tecnologia a sali fusi.

Quale innovazione sembra al momento più promettente, fra quelle che state seguendo?

Combinare la generazione elettrica con l’efficienza e la compatibilità ambientale è la sfida che la ricerca nel settore energetico è chiamata ad affrontare; soprattutto in una realtà dinamica come quella in cui viviamo, dove le previsioni di sviluppo delle rinnovabili dell’International Energy Agency (IEA) sono state superate dai fatti e la generazione distribuita con reti intelligenti sta vedendo le prime significative applicazioni. In questo contesto lo sviluppo di progetti per il miglioramento dell’efficienza e della flessibilità delle centrali esistenti è sicuramente uno dei temi più sfidanti. Non è facile, perché quelle centrali non sono state progettate per seguire l’intermittenza delle rinnovabili, e usarle così può far diminuire la loro efficienza e vita utile e aumentarne i costi di esercizio. Ma stiamo facendo buoni progressi. Rimanendo nell’ambito del termoelettrico un altro tema interessante è il riutilizzo delle ceneri di combustione del carbone, oggi considerate un rifiuto da smaltire, ma che abbiamo dimostrato potrebbero essere impiegate nella produzione del cemento E, naturalmente, c’è il grande tema delle energie rinnovabili, attraverso il miglioramento delle tecnologie, l’ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse e l’efficienza energetica, con progetti per la promozione di un utilizzo più corretto dell’energia. Quest’ultimo è un tema trasversale di grande interesse per la Ricerca e interessa diversi livelli del sistema elettrico, a partire dalle utenze domestiche fino ad arrivare alle Smart City e alle Smart Grid. In particolare su quest’ultimo tema uno degli aspetti più interessanti riguarda la gestione delle reti caratterizzate dalla presenza di una elevata quantità di impianti di generazione da fonti rinnovabili non programmabili.

Torniamo un attimo alle centrali termiche; si sa che Enel è in sofferenza per la concorrenza del fotovoltaico, che riduce le ore di uso delle centrali, ma non sarebbe meglio spegnerne qualcuna, per far funzionare di più le altre? Oppure spingere per promuovere maggiori consumi elettrici?


La sofferenza della generazione basata su combustibili fossili è reale, abbiamo centrali che ormai funzionano solo per 1000, 2000 ore l’anno, ma spegnerle non è facile, perché si ridurrebbe la capacità di riserva, che deve essere sempre disponibile in caso di guasti ad altri impianti o alle reti. Aumentare la penetrazione del vettore energetico elettrico, con la conseguente riduzione dei consumi di combustibili fossili, è sicuramente un’ottima strategia, riconosciuta al livello europeo per migliorare l’efficienza del sistema energetico urbano e garantirne la sostenibilità ambientale. Enel sta già perseguendo questa strada, promuovendo ad esempio la mobilità elettrica e le tecnologie per la ricarica veloce dei veicoli. Un ruolo chiave sarà giocato in questa partita dalle tecnologie di accumulo per le quali è necessario raggiungere volumi adeguati di produzione di massa e la conseguente riduzione dei prezzi, ma mi conforta vedere che ogni settimana ci sono notizie dai laboratori nazionali e internazionali di importanti progressi nel campo delle elettrotecnologie e dell’accumulo.

Le batterie, ci portano al discorso smart grid e accumuli, che diceva, interessa molto Enel Ricerca …

Sì, ci interessiamo a vari aspetti della gestione dei flussi energetici sulla rete, per garantire un servizio efficace ed efficiente nel futuro. Per esempio elaboriamo e perfezioniamo metodi di predizione e gestione della disponibilità di energia da rinnovabili, al fine di programmare meglio la rete, e testiamo sistemi elettronici che permettono di gestire in maniera flessibile l’output da parchi eolici e solari. Queste tecnologie, in Spagna, stanno dando ottimi risultati: usandole per modulare la produzione dei tanti impianti eolici locali, in aggiunta all’accumulo idroelettrico, alla modulazione degli impianti termici e all’import-export di elettricità, gli spagnoli riescono a far funzionare bene il proprio sistema elettrico anche con un apporto dell’eolico che può variare in poche ore dallo 0 al 50% e più della domanda. Visto che la necessità di accumulo, in Spagna, crescerà ancora, adesso stiamo valutando con i nostri colleghi di Endesa la possibilità di testare tecnologie di accumulo attraverso aria compressa in cavità sotterranee. Alcuni vorrebbero costruire nuove reti elettriche, ma altri dicono che sarebbe meglio produrre localmente idrogeno e immetterlo nei metanodotti già esistenti, che possono accettarne fino al 10% senza modifiche. La diversificazione e il mixing energetico sono sicuramente alcune delle strade per garantire la sostenibilità del settore energetico. Enel ha già compiuto un interessante passo avanti su questa strada, realizzando, ad esempio, il primo ciclo combinato a idrogeno del mondo, presso la nostra centrale di Fusina, a Mestre, un gioiello tecnologico. L’idrogeno è un vettore energetico che interessa molto anche i giapponesi, una loro delegazione ha recentemente visitato l’impianto di Fusina, perché non potendo importare e esportare elettricità e volendo aumentare la loro quota di rinnovabili non programmabili, devono assolutamente trovare il modo di accumulare quella in eccesso anche per lunghi periodi per renderla poi disponibile quando necessario. Certo, usare l’elettricità per produrre idrogeno e poi di nuovo elettricità, porta a un’efficienza complessiva piuttosto bassa, ma se la fonte è gratuita e l’alternativa è buttare via l’energia prodotta …

Il problema di come accumulare elettricità però è importante anche in Italia


Certo, presso la nostra area sperimentale di Livorno proviamo vari sistemi di accumulo, accoppiati a generatori eolici e fotovoltaici, ma stiamo valutando ipotesi anche più innovative, come l’uso di aria compressa o l’accumulo mediante idrogeno. In realtà avremmo una grande capacità di accumulo tramite pompaggio idroelettrico già pronta, 5-6 GW, ma purtroppo è concentrata quasi tutta al nord Italia, mentre la maggior parte degli impianti di produzione da fonti energetiche rinnovabili non programmabili sono concentrati al centro-sud. In compenso i pochi impianti di pompaggio al meridione, come quello di Anapo, in Sicilia, lavorano a pieno regime. Forse i nostri impianti del nord potrebbero servire per regolare l’intermittenza della produzione da rinnovabili intermittenti in Svizzera, Austria e, indirettamente, Germania.

Mi scusi, ma tutte queste ricerche su come gestire sistemi elettrici ricchi in rinnovabili, non sembrano molto in linea con l’attuale strategia di Enel, che appare più concentrata sui sistemi centralizzati: nuove grandi centrali a carbone a gas da noi e nucleare all’estero

Enel è una grande azienda internazionale, e la nostra Area applica politiche di ricerca e innovazione diverse in contesti diversi. Per esempio in Russia ci occupiamo di migliorare la produzione da combustibili fossili delle centrali termiche, negli Usa della gestione di grandi impianti eolici o di geotermico innovativo. In Spagna e Italia, prevediamo che il futuro sia quello di una rete alimentata da una quota sempre maggiore di rinnovabili distribuite, in massima parte non programmabili, come solare ed eolico. In questi paesi stiamo quindi lavorando sull’ipotesi di un sistema elettrico con un baseload, via via più ridotto, garantito da centrali convenzionali, carbone in Italia e nucleare in Spagna, e una produzione a gas che, grazie alla sua rapidità di risposta, servirà soprattutto come compensazione dell’intermittenza di sole e vento. Saranno queste ultime due fonti a produrre una quota sempre crescente dell’elettricità in questi paesi, e sempre più da impianti di piccola e media taglia, che immetteranno in rete. Credo che in futuro questo segmento di mercato non potrà essere trascurato.

Quindi, in Italia, Enel comincerà a inserirsi nel mercato della produzione distribuita? Sembra un cambio epocale di paradigma.

Questa è un’epoca di cambi epocali, e anche la rivoluzione delle rinnovabili ci ha colto tutti di sorpresa. Nessuno si aspettava che in 5-6 anni il Portogallo sarebbe arrivato a produrre, questa primavera, l’80% di elettricità del proprio fabbisogno di energia elettrica da rinnovabili, o la stessa Italia a maggio superasse il 50%. Constatata questa nuova realtà, e ben sapendo che indietro non si torna, dobbiamo riconsiderare velocemente scenari e opzioni. Noi che ci occupiamo di ricerca abbiamo come missione quella di pensare al futuro, e , secondo me, il futuro per le grandi utilities europee, oltre a gestire i grandi impianti esistenti nel modo che dicevo prima, è quello di investire nel mercato della generazione distribuita. Oltre a studiare nuove tecnologie per la generazione distribuita, ci dobbiamo occupare anche di quelle già installate ed esistenti. Per esempio offrire ai nostri clienti “prosumer”, cioè al tempo stesso consumatori e produttori di elettricità, nuovi tipi di servizi che prevedano sia la fornitura di energia, per la parte che non si producono da soli, sia la gestione dell’elettricità in eccesso che il cliente immette in rete. Magari fornendogli anche un accumulatore, che permetta di programmare meglio quando venderla.

Insomma vuol dire che Enel passerà dai grandi impianti centralizzati, a centrali elettriche virtuali, composte ognuna da centinaia di piccoli impianti sul territorio, che vengono fatti funzionare in modo coordinato da voi, seguendo la domanda?

Beh, messa così sembra fantascienza. Non so se sarà proprio questo il metodo di gestione della gestione distribuita che alla fine sceglierà Enel, ma certamente è un possibile scenario futuro.

Però, nel presente non fantascientifico, l’Autorità vuole tassare l’energia solare autoprodotta, e questo stroncherebbe la sua convenienza e il nascente mercato su cui vorreste operare.

Non credo sia questo l’intento dell’AEEG e una riflessione sulla redistribuzione degli oneri di rete e degli incentivi, nel sistema energetico che cambia, è doverosa. Comunque le rinnovabili sono destinate a diventare sempre più competitive, non saranno certo misure come queste a fermarne la diffusione.

Ingegner Pasini, quella che ci annuncia sarebbe una rivoluzione straordinaria: una grande utility che inizia ad appoggiare, razionalizzare e gestire con la sua esperienza e le sue tecnologie la generazione distribuita. Però che senso ha avuto allora per Enel proporre fino a due anni fa gigantesche centrali nucleari e oggi insistere sul carbone e polemizzare sulle politiche di appoggio alle rinnovabili?


Non posso entrare su questo tema, perché non di mia competenza, tuttavia mi faccia dire che anche il nucleare ha un futuro: giocherà un ruolo importante nel mondo, soprattutto in quei paesi che devono aumentare la loro produzione elettrica, per soddisfare la domanda che deriva da un’economia e una popolazione in grande crescita, e che altrimenti non avrebbero altra scelta che ricorrere sempre più all’uso del carbone. Secondo l’IEA al 2035 avremo un portafoglio energetico diviso in tre parti principali dove le fonti fossili copriranno il 60% della domanda, il nucleare circa il 10% e il restante 30% del fabbisogno sarà coperto dalle energie rinnovabili. In questo quadro generale, poi, ogni paese troverà il mix di fonti che più gli è congeniale.

giovedì 6 giugno 2013

Energie rinnovabili, sorpresa: toccato il 50% dell’offerta

Energie rinnovabili, sorpresa: toccato il 50% dell’offerta

(Fonte:Ecqualogia.it-Agostinelli e Roberto Meregalli)

Gli amministratori delegati di Enel, Gasterra, Gdf Suez, Iberdrola, Eni, Rwe, E.On, Gas Natural Fenosa alla vigilia del Consiglio europeo del 22 maggio, hanno posto all’attenzione dei leader europei la necessità urgente di modificare la politica energetica comunitaria. I big del gas hanno chiesto la remunerazione dell’uso delle loro vecchie reti e della potenza inutilizzata delle loro centrali , nonché un mercato delle emissioni di CO2 che favorisca le fonti sporche, disincentivando definitivamente la concorrenza delle rinnovabili.

Si tratta del livello più elevato di pressione a cui le grandi corporation sono giunte, dopo due anni di campagna serrata e martellante sui mezzi di comunicazione e in tutte le occasioni istituzionali possibili (audizioni parlamentari, incontri, conferenze) per bloccare l’avanzata delle fonti rinnovabili. Chicco Testa, formidabile campione di trasformismo, attacca i costi dell’energia, attribuendoli agli incentivi al fotovoltaico e all’eolico, nonostante nel corso del 2013 siano scesi sia il prezzo dell’elettricità che del gas. Mai udito tanto ardore contro i sussidi agli inceneritori o per gli oneri nucleari o gli sconti alle ferrovie e ai grandi consumatori industriali. Viene spontaneo chiedersi perché tutta questa rabbia verso le nuove fonti. O verso la trattativa in corso al ministero per lo sviluppo economico per garantire “meccanismi di garanzia di remunerazione” al rigassificatore di Livorno, che doveva già essere in opera ma che i proprietari non fanno salpare da Dubai, dove ufficialmente è stato varato il 5 febbraio, proprio perché in attesa di contributi economici statali.

Quello che si sta svolgendo sulle spalle dei cittadini è uno scontro fra i dinosauri del passato e la nuova generazione distribuita, con l’obiettivo dei primi di bloccare il cambiamento in atto o almeno rallentarlo il più possibile. Ma fermarsi quando si è a metà del guado significa sprecare o quantomeno rendere meno produttive le spese e gli sforzi sinora effettuati. L’investimento in rinnovabili è stato rilevante e l’unica proposta sensata e davvero dalla parte dei consumatori ora sarebbe quella di pensare a come sfruttarla e valorizzarla al massimo, non a come sprecarla. Non serve più alcun sussidio, basterebbero sgravi fiscali e regolamenti che permettano a chi mette i pannelli sul tetto di vendere direttamente al vicino senza passare dalla rete.

E se qualcuno ancora non crede alle potenzialità (almeno nell’elettrico) delle FER, guardi cosa sta succedendo nella borsa elettrica: la scorsa settimana il 54,5% dell’elettricità offerta era da fonte rinnovabile! Il gas (per definizione uno dei nostri problemi perché ne saremmo troppo dipendenti) era relegato al 24%, all’8,5% il carbone. Siamo già al 50% rinnovabile e montagne di relazioni e di studi – compresi quelli che sostengono la Strategia Energetica nazionale di Monti/Passera/Letta – vanno buttati al macero perché obsoleti. Le FER hanno fatto scendere il prezzo medio d’acquisto a 49,45 euro al MWh, quando era a 61 euro il mese scorso e a 75,48 nel 2012 (e questo spiega da sé la lotta feroce delle corporation). Inoltre sono stati importati meno fossili con un miglioramento della bilancia dei pagamenti (3 miliardi di euro in meno la voce energia nel primo trimestre 2013 rispetto al primo del 2012, secondo l’Istat). E sono state minori le emissioni in un cielo sempre più instabile. Buone notizie per il cittadino e il consumatore. Cattive, evidentemente, per i gestori dei grandi impianti fino a ieri indiscussi monopolisti.

venerdì 3 maggio 2013

Geotermia: patto fra Enel e regione Toscana

Geotermia: patto fra Enel e regione Toscana

(Fonte:GreenStyle.it-Guido Grassadonio)
 
 
 
La rivoluzione energetica delle rinnovabili non passa solo per il sole e il vento. Lo sanno bene in Toscana dove già il 26% dell’energia viene dalla geotermia. Non senza polemiche, visto che questa fonte è s’ 100% rinnovabile, ma non è a inquinamento 0.

Le istituzioni insieme a Enel stanno ora provando a rilanciare il settore, facendone un business di primo piano sul territorio, con la costruzione di nuove centrali e nuovi poli industriali di eccellenza. E per rimuovere le resistenze locali il Presidente della Regione, Enrico Rossi, ha deciso di pensare forme di compensazione economica per gli eventuali danni procurati. Come ha dichiarato lo stesso:

Basta con l’essere contro la geotermia: è una ricchezza del nostro territorio, vediamo di farne un elemento di crescita e sviluppo per tutti noi, come succede in altre parti del mondo.

Questo dovrebbe avvenire grazie a un protocollo d’intesa firmato da Enel e dalla Regione che prevede, oltre all’apertura di nuove centrali, la cessione di know-how da parte dell’azienda per sviluppare forme alternative di uso del calore. In effetti, il teleriscaldamento nella regione non è sviluppato per quanto le risorse naturali consentirebbero.

Enel si è mostrata disponibile a investire nel settore altri 500 milioni di euro entro il 2017. Non resta che capire se i territori interessati di Lardarello e Amiata si lasceranno convincere da questi argomenti.

Le evasive risposte di Enel agli azionisti anti-carbone

Le evasive risposte di Enel agli azionisti anti-carbone

(Fonte:QualEnergia.it)
 
 
 
 
Nel 2012 il 31% dei 295,8 TWh di energia elettrica prodotti da Enel è venuto dal carbone, con una crescita del 6,6% rispetto all'anno precedente. Più carbone soprattutto in Italia, tanto che nel mix dell'azienda è passato dal 34,1% del 2010 al 48,4% nel 2012, crescendo di oltre il 14,3%. Nel solo 2009 il carbone Enel ha emesso 888 tonnellate di PM10, 19.825 di NOx, 24.033 di SOx e 27,7 milioni di tonnellate di CO2, inquinamento che tradotto in danni economici fa 1,7 miliardi di euro, di cui 840 milioni di costi esterni per inquinamento, 932 per la CO2 e 3,5 milioni di danni diretti all'agricoltura. Ci sono poi i danni sanitari: gli impianti Enel, con il loro inquinamento, in quell'anno secondo gli studi commissionati da Greenpeace avrebbero provocato 366 morti premature. Se si considerano i piani di espansione dell’azienda, con le centrali a carbone di Porto Tolle e Rossano Calabro, in futuro si potrebbe arrivare anche a sfiorare i 500 casi di morti premature all’anno.

Eppure se un azionista del gigante energetico - che tra l'altro è per il 31,24% del ministero del Tesoro, dunque anche degli italiani – solleva dubbi sulle politiche dell'azienda su questa fonte sporca, Enel ribatte in maniera evasiva, limitandosi a ricordare che i suoi investimenti sono perfettamente legali.

Basta leggere quello che l'ex monopolista ha risposto ai numerosi quesiti che gli azionisti critici, rappresentati da Banca Etica, hanno portato all'Assemblea dello scorso 30 aprile. Domande che chiedono conto, oltre che di investimenti controversi all'estero (come quelli nel nucleare nei paesi baltici o in grandi progetti idroelettrici in Sudamerica), anche di tutte le problematiche correlate agli investimenti in nuovi impianti a carbone o riconversioni in Italia. Interrogativi molto puntuali, cui Enel risponde in maniera piuttosto generica.

Per fare solo un esempio, sull'impianto di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia si chiede nell'ordine:
 
  • Qual è stato, in media, il ritorno netto di ciascun MW di elettricità prodotto da carbone nel 2012?
  • Considerato il fatto che l’impianto si trova al confine con un’area urbana, quali precauzioni si sono prese al fine di evitare, in caso di eventi accidentali, il rischio di un effetto domino?
  • Dove sono state smaltite le ceneri radioattive e quanto è alto il costo dello smaltimento?
  • Qual è l’ammontare dell’indennizzo per ciascun comune e per istituzioni e associazioni, pubbliche o private?
  • Quali sono le spese legali e processuali che la Società stima in relazione ai processi su Torrevaldaliga e quanti e quali dirigenti e impiegati, in essere o cessati, sono coinvolti nei procedimenti e per quale ragione?
  • Qual è il costo per tonnellata del tipo di carbone usato oggi?
  • Quale sarebbe il costo nel caso in cui il carbone avesse un contenuto di zolfo < 0,3%?
  • A che punto è e quanto costerà il processo per la realizzazione del “Parco dei Serbatoi”? L'area del vecchio sito è stata oggetto di una procedura di recupero in conformità alla normativa ambientale applicabile?

Risposta di Enel: “L’impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord risponde pienamente alle prescrizioni di legge e ha ricevuto l’AIA con l’autorizzazione a restare in funzione per i prossimi 8 anni. I rapporti con il Comune sono regolati da un’apposita convenzione del 2008, che regola anche l’entità del contributo da erogare al Comune stesso per la presenza dell’impianto sul territorio”. Tutto qui. Di analogo tenore le risposte alle dettagliate domande sugli altri impianti: Rossano, Porto Tolle, la Spezia. Liquidate in maniera simile anche le obiezioni degli azionisti sul perché negli impianti del Monte Amiata Enel non stia utilizzando la tecnologia con il minor impatto ambientale disponibile, quella a ciclo binario.

“Enel non ha mancato, in questa circostanza come in altre, di dimostrarsi un'azienda reticente – commenta amaro a QualEnergia.it Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia - la solfa è sempre la stessa: i nostri impianti operano entro i limiti di legge e in base alle autorizzazioni concesse. Se anche non vi fossero indagini in corso riguardo molte delle attività produttive di Enel - da Brindisi a Genova, da Porto Tolle a Civitavecchia - e seppure non vi fossero sentenze di condanna a carico dell'azienda e dei suoi vertici passate in giudicato, questo tipo di risposte vuol dire poco o nulla. Greenpeace non contesta a Enel di operare fuori dalla legge: le contesta di causare danni sanitari ed economici enormi, col carbone, in Italia e in Europa; e di contribuire consistentemente alla distruzione del clima. Per questo chiediamo a Enel di cambiare strada, di puntare sull'innovazione, sulle fonti rinnovabili e sulla promozione dell'efficienza. Quando l'azienda non risponde con questo vuoto mantra aziendale - 'tutto è a norma, tutto è a norma!' - risponde attraverso le carte dei suoi avvocati. Ormai gli appuntamenti che Greenpeace ha con i legali di Enel, in molti tribunali italiani, non si contano. Per noi le carte bollate non sono un problema: già abbiamo battuto Enel sul piano legale, crediamo di poterlo fare ancora. Il punto è se un'azienda controllata dallo Stato, di fronte ad accuse gravi quali quelle che noi e altri le muovono, sia autorizzata a procedere così: senza mai rispondere davvero e - semmai - querelando, denunciando, promuovendo ricorsi e avanzando enormi richieste di risarcimento. A noi sembra un segno di gravissima irresponsabilità".

giovedì 2 maggio 2013

L'Enel sporca che non piace agli azionisti critici

L'Enel sporca che non piace agli azionisti critici

(Fonte:QualEnergia.it)
 
 
 
 
Mentre il mondo guarda avanti, a un sistema energetico più pulito e democratico, Enel, il “nostro” (31,24% delle azioni del ministero del Tesoro) gigante dell'energia, sembra essere rimasto “fossilizzato” sul passato dato che punta ancora sul carbone con danni a salute, clima, ambiente e probabilmente anche perdite economiche per gli azionisti. E' questa la sintesi dell'obiezione che gli azionisti critici dell'azienda hanno portato all'assemblea martedì scorso.

Nel 2012 il 31% dei 295,8 TWh di energia elettrica prodotti da Enel è venuto dal carbone, un dato in crescita del 6,6% rispetto all'anno precedente. Le rinnovabili (idroelettrico escluso) pesano appena per il 3,14% del totale, quasi tutto dall'eolico, mentre il fotovoltaico si ferma allo 0,07%.

Nel 2011 le nuove rinnovabili contribuivano per il 2,18% del totale. Rispetto al 2011 c'è stato quindi un incremento dello 0,96%. Per Greenpeace, Re:Common e comitati contro il carbone, rappresentati in assemblea da Banca Etica è “un incremento troppo contenuto rispetto a fonti di energia che, secondo uno studio di Bloomberg New Energy Finance pubblicato la scorsa settimana, costituiranno il 70% della nuova potenza installata da qui al 2030. A favore delle fonti pulite giocherebbero molti fattori: costi delle tecnologie e dell'integrazione nella rete in forte calo, produzione di CO2 vicina allo zero e sviluppo di un sistema di produzione di energia elettrica sempre più decentrato e diffuso, basato sull'autoproduzione da parte di famiglie e singoli individui grazie ai pannelli solari, al mini-eolico, al mini-idroelettrico. In uno scenario del genere, i giganti dell'energia come Enel, che continuano a puntare su fonti di energia fossile e su una produzione fortemente centralizzata sono destinati a trasformarsi in dinosauri nel giro di pochi anni, con un impatto pesantemente negativo sui profitti e sui dividendi per gli azionisti, come recentemente evidenziato (8 marzo 2013) da un'analisi di Reuters“.

Enel, è la denuncia, non solo sta perdendo un treno, ma sta addirittura tentando di farlo deragliare. E' di un anno fa l'allarme lanciato pubblicamente dal presidente Andrea Colombo, il quale, intervenendo contro gli incentivi alle rinnovabili, avvertiva che proprio le fonti rinnovabili assieme alla stagnazione della domanda stanno rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali. “Questa a nostro parere – sottolineano gli azionisti critici - è un indice di grave miopia nella gestione di Enel che, arroccata nella difesa delle fonti fossili e di un sistema di produzione centralizzato, rischia di perdere progressivamente la sua capacità di generare profitti e dividendi per gli azionisti.“

Un discorso a parte poi va fatto sul carbone, una fonte di energia obsoleta e altamente inquinante, il cui peso sul mix di produzione di energia di Enel è cresciuto del 6,6% dal 2011 al 2012. Una crescita quasi interamente concentrata sull'Italia, dove il carbone è passato dal 34,1% del totale nel 2010 al 48,4% nel 2012 (+14,3%). Nelle domande ad Enel da parte degli azionisti critici, oltre che di possibili investimenti controversi (come quelli nel nucleare nei paesi baltici o in grandi pogetti idroelettrici in Sudamerica) si chiede di tutte le problematiche correlate agli investimenti in nuovi impianti a carbone, dagli elevati costi esterni in termini di emissioni, mortalità e morbilità calcolati secondo il modello elaborato dall'Agenzia Europea dell'Ambiente (EEA) al minore costo per l'ambiente e la salute di investimenti alternativi in energie rinnovabili e, al limite, in impianti a gas naturale.

Eccone alcune: “Quali sono i costi operativi dell’impianto di La Spezia? Non sarebbe più conveniente chiudere l’unità a carbone e utilizzare in modo più efficiente le due unità a gas naturale già esistenti?”; “perché lo studio di impatto ambientale sull’impianto a carbone di Porto Tolle non presenta anche analisi di costi e benefici basate su altre opzioni?”; “in base a quali dati la società considera come non rilevante l’aumento di traffico marittimo – e i relativi impatti ambientali e sul paesaggio – dovuto alle chiatte che porteranno il carbone a Rossano, in Calabria?”. E poi Civitavecchia: “La nostra è la prima città nel Lazio e la terza in Italia per casi di tumori alle vie respiratorie” ha spiegato Simona Ricotti dei No Coke Alto Lazio, delegata a parlare all’assemblea dell’Enel in rappresentanza delle altre realtà italiane.

Come ha risposto Enel? Aspettando la pubblicazione del verbale dell'assemblea e un commento che QualEnergia.it ha chiesto all'azienda e pubblicherà appena ricevuto, ci limitiamo a quanto diffuso dalle agenzie: "A Brindisi e Civitavecchia – è la dichiarazione di Fulvio Conti riportata da TM News - le indagini ci sono, non lo nego. Ma vi invito ad aspettare l'esito perché tecnicamente ad oggi possiamo dire che non è così". "In Cile - ha poi aggiunto rispondendo a un azionista cileno che ha accusato l'azienda di violare i diritti delle popolazioni indigene - non violiamo i diritti umani". (Aggiornamento: in allegato in basso le risposte di Enel alle domande degli azionisti critici che l'azienda ci ha inviato adesso, seguirà un pezzo dedicato).

Risposte che non sembrano aver soddisfatto gli azionisti critici. “Sono state come sempre elusive – spiega a QualEnergia.it, Mauro Meggiolaro di Banca Etica - non si ammettono gli impatti del carbone e non si riconoscono gli studi della EEA e di Greenpeace (sui danni sanitari del carbone, ndr), Conti si richiama sempre al "rispetto delle leggi", cosa che a noi non basta. Su Civitavecchia e Brindisi ha ammesso l'esistenza di indagini, ma ha chiesto di aspettare "eventuali condanne". In ogni caso incontreremo Enel dopo la pubblicazione del verbale per fare ulteriori domande e chiedere maggiori informazioni sulle domande a cui non è stata data risposta.”

mercoledì 24 aprile 2013

Accordo Enea/Cnel per la Green economy

Accordo Enea/Cnel per la Green economy

 (Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
Sarà finalizzato l’analisi dei processi produttivi nei settori economici connessi all’eco-innovazione, all’efficienza e al risparmio energetico, alle fonti rinnovabili, agli usi efficienti delle risorse, nonché al riciclo dei rifiuti e alla sostenibilità
 
 
Cnel, Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ed Enea hanno siglato un accordo di collaborazione per l’analisi dei processi produttivi e, in generale, dei settori economici connessi con la Green Economy, con particolare riferimento all’eco-innovazione, all’efficienza e al risparmio energetico, alle fonti rinnovabili, agli usi efficienti delle risorse, nonché al riciclo dei rifiuti e alla sostenibilità. L'intesa è finalizzata alla valorizzazione delle rispettive competenze nei settori degli studi socio-politico-economici e della ricerca scientifica e tecnologica nell’intento di identificare un percorso comune nell’ambito della Green Economy, riconosciuta, nell’ambito della Conferenza Rio + 20 delle Nazioni Unite (giugno 2012), come la possibile soluzione alle molteplici crisi, prime fra tutti la crisi economica e la crisi climatica, che il mondo intero sta affrontando in questi anni.

giovedì 4 aprile 2013

I guai di chi disturba il manovratore. I casi Eni ed Enel

I guai di chi disturba il manovratore. I casi Eni ed Enel

(Fonte:QualEnergia.it_leonardo Berlen)
 
 
 
Un classico caso di scuola italica: basta una critica o il mettere in discussione l’operato di una grande azienda che arriva puntuale la querela o la richiesta di risarcimento danni. Un modus operandi che il più delle volte ha il sapore dell’intimidazione. Le risposte, quelle reazioni di cui parliamo, sono quelle venute recentemente da Eni ed Enel.

Il primo caso è quello di Report, il programma di Milena Gabanelli, puntata di domenica 16 dicembre a cura di Paolo Mondani, dal titolo “Ritardi con Eni”. Per “l’incredibile attacco a Eni”, la multinazionale partecipata al 30% dallo Stato ha chiesto 25 milioni di euro di danni alla conduttrice. Avevamo parlato della trasmissione il giorno dopo, evidenziando come avesse aperto numerosi interrogativi sulla nostra azienda energetica: una politica industriale poco razionale e scelte opache, interessi privati sullo sfondo e controllo dei giornalisti. Questioni molto delicate, ma che, in un paese civile, con una stampa più libera, sarebbero naturalmente sotto la lente degli osservatori e dei giornalisti, perché richiedono il massimo di trasparenza. Eni non ha invece voluto rispondere alle domande poste dal programma, bensì ha replicato con una causa civile richiedendo un risarcimento spropositato per danno all’immagine aziendale. Poiché una causa civile in Italia può andare avanti per anni, la strategia sembra quella di zittire ogni forma di critica o di dubbio sull’azione della multinazionale. Colpirne uno per educarne cento?

La compagnia, è bene ricordarlo, al momento è indagata per corruzione: tangenti all’Algeria per 197 milioni di euro e ha patteggiato nel 2012 con la Securities and Exchange Commission e il dipartimento di giustizia Usa per 365 milioni di dollari sempre per corruzione. “Questo sì che lede l’immagine di un’impresa controllato dallo Stato”, ha detto la giornalista Gabanelli in un’intervista di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, del 2 aprile.

Come scrive Stefano Corradino nel suo blog de ilfattoquotidiano.it siamo di fronte alla “cosiddette ‘querele temerarie’: se un’inchiesta giornalistica dà fastidio al potente di turno, politico, economico o religioso che sia, scatta la querela. Con richiesta milionaria di risarcimento. E così, il più delle volte, l’autore smette di proseguire il suo lavoro di documentazione intimorito dal procedimento legale”. Eppure il nostro codice penale prevederebbe anche una sanzione per chi procede con una lite strumentale o temeraria, che però nei fatti questa non viene mai applicata.

Restano intanto aperte molte questioni che Eni deve chiarire, sia alla politica che alla società civile: sui contratti a lungo termine con la Russia, sui prezzi del gas praticati alle compagnie elettriche, sui progetti in Val D’Agri come sugli altri progetti di estrazione di idrocarburi per l’Italia, sui suoi interessi nelle sabbie bituminose, sulle pratiche di gas flaring in Africa, sul perché gli stipendi per gli alti dirigenti, a cominciare dall’amministratore delegato Scaroni, siano così elevati. Gli azionisti italiani ed esteri sono veramente al corrente di tutto questo?

Poi ci sono le battaglie legali tra Enel e Greenpeace Italia. Domani, 5 aprile, l’associazione ambientalista comparirà in tribunale a Milano perché accusata da Enel di uso illegittimo del suo marchio (è stata distribuita dagli attivisti una finta bolletta Enel). Il 19 aprile proseguirà invece il processo per le proteste di Greenpeace contro la centrale di Porto Tolle del 2006 e a fine maggio inizierà un processo contro alcuni attivisti di Greenpeace per un’azione non violenta tenutasi nel 2009 presso la centrale di Brindisi (l’impianto industriale più inquinante d’Italia). Infine, per fatti analoghi, avvenuti però presso la centrale di Civitavecchia, Greenpeace tornerà nuovamente in aula il 21 giugno.

Ci sono in corso inoltre due procedimenti penali per una denuncia fatta da Enel su un cortometraggio realizzato da Greenpeace in cui si denunciano, senza troppi veli, gli effetti dell’inquinamento causato dalle centrali a carbone, di cui abbiamo spesso parlato. Greenpeace accusa Enel (che oggi sta arrivando a coprire il 50% della sua produzione elettrica totale con il carbone) di provocare in Italia una morte prematura al giorno e di danni per 1,8 miliardi di euro l’anno. In riferimento a questi dati, va detto che un ricorso di Enel per diffamazione e danno di immagine contro Greenpeace è stato già respinto la scorsa estate dal Tribunale Civile di Roma perché le accuse erano basate essenzialmente su una ricerca scientifica internazionale.

Insomma, Enel sta tenendo sotto pressione l’associazione ambientalista, ma Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, ha comunque dichiarato, che non mollerà di un centimetro e continuerà nella sua denuncia.

Tutto ciò esigerebbe, secondo noi, un cambiamento negli attuali vertici delle due aziende, magari sotto la spinta degli azionisti o della politica per rimodellare le due grandi società energetiche italiane secondo gli interessi dei cittadini e, possibilmente, per avvicinarle a un modello energetico più sostenibile, cosa da cui al momento sono molto lontane.

Peccato che dalla nostra classe politica, almeno quella uscente, non possiamo aspettarci molto in questa fase. A parte i consolidati interessi della grande industria energetica, sappiamo che tra questa e la politica si è instaurato ormai da tempo un legame molto stretto, e di reciproco aiuto. Un connessione che alcuni hanno definito una sorta di “corruzione legale”. In tutto il mondo (perché non in Italia?) membri dei governi e funzionari ministeriali esaurita la loro attività pubblica si ritrovano, a volte, ad avere collaborazioni o incarichi più o meno diretti nelle aziende energetiche di cui si sono occupati nella loro attività istituzionale. Insomma una sorta di “pagherò” che praticano alcune società energetiche, e che di fatto ostacola ogni cambiamento. Per fortuna però crediamo che la società italiana attuale sia più avanti e speriamo più attenta a trovare nuovi strumenti di pressione nei confronti del potere energetico-politico-economico per rivendicare l’uscita da questo “pensiero unico energetico”.

giovedì 14 marzo 2013

Enel, utile giù del 79%. Dividendo confermato, a costo di tagli e cessioni

Enel, utile giù del 79%. Dividendo confermato, a costo di tagli e cessioni

(Fonte:IlFattoQuotidiano.it)
Enel chiude il 2012 con un utile netto di 865 milioni (-79% rispetto ai 4,1 miliardo del 2011) su cui pesa soprattutto la svalutazione, per oltre 2,5 miliardi, delle attività della controllata spagnola Endesa. I ricavi sono ammontati a 84,9 miliardi (+6,8%), mentre è diminuito del 3,8% l’indebitamento netto, arrivato a 42,9 miliardi di euro. Lo rende noto il gruppo controllato dal Tesoro in occasione della presentazione del piano strategico 2013-2017, aggiungendo che il dividendo proposto per l’esercizio è di 0,15 euro ad azione (0,26 nel 2011).

Per tutto il periodo del piano, poi, l’azienda conferma la politica dei dividendi con una remunerazione pari almeno al 40% dell’utile netto. E per non rinunciare a distribuire profitti al Tesoro, nel quinquennio la società intende rafforzare il patrimonio mettendo in vendita asset per un controvalore di 6 miliardi di euro ed aumentando i debiti: è prevista l’emissione di strumenti ibridi per circa 5 miliardi.

”Nel corso del 2012 Enel ha conseguito risultati in linea con gli obiettivi indicati al mercato, sia in termini di margine operativo lordo sia in termini di indebitamento finanziario netto, pur continuando ad operare in un contesto macroeconomico sfavorevole, particolarmente in Italia e Spagna”, dice l’ad del gruppo Fulvio Conti, commentando in una nota i risultati finanziari e spiegando in particolare che in Spagna “il peggioramento dei flussi di cassa attesi, conseguente ai provvedimenti regolatori emessi dal governo nel corso del 2012, unitamente al deterioramento del quadro economico di riferimento, hanno reso necessario un adeguamento di valore dell’avviamento associato alle attività di Endesa nella Penisola Iberica.

“Per i prossimi cinque anni – annuncia quindi l’ad – confermiamo la strategia già avviata, focalizzata sulla protezione dei margini e dei flussi di cassa nei mercati maturi e sullo sviluppo nei mercati in crescita e nelle rinnovabili. Tutto ciò accelerando le azioni di riduzione dei costi e di incremento delle efficienze nell’ambito dell’intero gruppo nonché di semplificazione della struttura societaria, con una costante attenzione alla riduzione dell’indebitamento, nonché al mantenimento della nostra attuale categoria di rating”.

Secondo Conti, azioni simili potranno “consentire di cogliere il momento in cui le economie mature, in particolare Italia e Spagna, riprenderanno a crescere”. Per il quinquennio 2013-2017, Enel prevede un ebitda a circa 16 miliardi di euro quest’anno (16,7 miliardi nel 2012), circa 16 miliardi nel 2015 e tra 17 e 18 miliardi nel 2017 e un utile netto ordinario a circa 3 miliardi di euro nel 2013, circa 3,3 miliardi nel 2015 e tra 4 e 5 miliardi nel 2017. L’indebitamento finanziario netto dovrebbe progressivamente scendere a circa 42 miliardi di euro nel 2013, circa 37 miliardi nel 2014 e tra 36 e 37 miliardi nel 2017.

Conti garantisce poi che l’Enel non ricorrerà a nessun ammortizzatore sociale per i propri dipendenti, ma continuerà a lavorare solo “con accordi sindacali”. “Io non ammortizzo nessuno, non vogliamo ricorrere a nessuna forma forzata. Ma siccome stiamo chiedendo sacrificia tutti, noi stessi ci assoggettiamo. Rinuncio a tutta la componente variabile degli emolumenti come ad e al 30% come dg”. Il taglio riguarda i top manager, compreso il presidente Colombo. Nel 2011 Conti ha percepito 4,375 milioni di euro, dei quali 1,382 milioni come parte fissa e 2,931 milioni come parte variabile.

Intanto Greenpeace critica aspramente i dati della produzione elettrica da carbone in Italia del gruppo, osservando che “oggi l’azienda è arrivata a generare, con la fonte più inquinante e dannosa per il clima e la salute, il 48,4%” e che “l’incremento relativo, in due anni, è di quasi il 50 per cento”. L’associazione ambientalista spiega che “la produzione di elettricità da carbone di Enel passa da 32,4 TWh nel 2011 a 36 TWh nel 2012. Si ha quindi un notevole aumento della quota di energia proveniente da questa fonte, nonostante la produzione totale in Italia cali da 79 TWh a 74,5 TWh. In altre parole – osserva Greenpeace – se nel 2011 Enel produceva col carbone il 41% della sua elettricità in Italia (e l’anno prima ne produceva il 34%), oggi è arrivata a generare” con il carbone “il 48,4%”.

“Enel prosegue su una strada sciagurata”, dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace aggiungendo che dal 2009 ad oggi la produzione con carbone “è cresciuta di quasi il 50 per cento e oggi l’impatto sanitario ed economico di un’azienda che va per metà a carbone è semplicemente insostenibile per il Paese”. Il piano industriale di Enel – secondo Grenpeace – è una “fumata nera” per il futuro dell’Italia.

Greenpeace ricorda che “proprio in questi giorni è in discussione la richiesta dell’Enel di aumentare i limiti di inquinamento e la produzione nell’impianto di Civitavecchia; contemporaneamente l’azienda vuole realizzare due nuovi impianti a carbone, a Porto Tolle e a Rossano Calabro. Fulvio Conti, amministratore delegato di Enel, mira a ottenere un quarto mandato. Dopo aver tentato di fregarci col nucleare, Conti sta facendo del carbone un primato assoluto e nefasto per la sua azienda, nella quale la produzione e gli investimenti sulle nuove rinnovabili rimangono marginali. Greenpeace chiede che venga quanto prima rimosso il management Enel e che l’azienda cambi radicalmente rotta”.

mercoledì 20 febbraio 2013

Enel Fast Recharge: l'auto elettrica si ricarica in mezz'ora

 Enel Fast Recharge: l'auto elettrica si ricarica in mezz'ora

 (Fonte:GreenMe.it-Francesca Mancuso)
 
 
Enel Fast Recharge, la colonnina per ricaricare le auto elettriche in soli 30 minuti diventa realtà. Dalla partnership tra Enel e Renault a favore dello sviluppo della mobilità sostenibile è nato questo nuovo sistema di ricarica per veicoli elettrici a 43kW, presentato oggi a Roma.

Un passo avanti verso la diffusione delle infrastrutture che potrebbero far decollare i veicoli elettrici sul mercato. In collaborazione con Renault, Enel ha così dato vita al nuovo sistema di ricarica stradale, disponibile insieme ad altre due differenti versioni: la Box station, con ricarica a 3 kW, permette di fare il carico di energia nel garage, privato o condominiale di casa propria con tempi che si aggirano attorno alle 8 ore; vi è poi la Pole station, con ricarica fino a 22kW, che è la colonnina installata in strada in luoghi pubblici, in punti strategici per la mobilità opportunamente concordati con le amministrazioni locali e che richiede un tempo di circa 2-3 ore. Infine c'è la velocissima Fast recharge, la nuova infrastruttura a 43 Kw, in grado di ricaricare un veicolo in 30 minuti partendo da zero.

Il primo mezzo sul mercato dotato dell’interfaccia universale per poter utilizzare i diversi sistemi di ricarica, compreso il fast recharge, è la nuova Renault ZOE, la berlina compatta della casa francese che sbarcherà sul mercato in primavera, con un’autonomia di oltre 200 km.

Grazie anche alla collaborazione tra le due società, presso la rete di concessionarie Renault sarà possibile accedere ai contratti Enel Drive per la ricarica domestica di Enel Energia e per il noleggio della box station e la fornitura di energia.

lunedì 11 febbraio 2013

Robin Hood Tax.Pagata dai consumatori

Robin Hood Tax. L'Autorità accusa: pagata dai consumatori sulle bollette

(Fonte:QualEnergia.it-Leonardo Berlen)
 
 
Una tassa pagata dalle imprese energetica e scaricata sulle bollette violando la legge. La Robin Hood Tax di Tremonti potremmo averla pagata noi consumatori. Era nata nel 2008 e nelle intenzioni del ministro dell’economia del Governo Berlusconi, doveva servire a redistribuire i profitti delle società petrolifere. La cosiddetta Robin Hood Tax, o meglio l’addizionale IRES, poi estesa nell’estate 2011 anche alle imprese del settore dell’energia elettrica e il gas, incluse anche quella attive nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e nelle attività di gestione delle infrastrutture energetiche a rete, con il decreto legge 138/2011 veniva aumentata da 6,5 a 10,5% e diminuita la soglia sul fatturato da 25 a 10 milioni di euro per la sua applicazione.

Pochi giorni fa l’Autorità per l’Energia e il Gas in una relazione inviata al Parlamento (da scaricare in pdf, vedi sotto) denuncia che vi è stata una tale dinamica dei prezzi che avvalorerebbe la tesi che si sia verificata una “traslazione” dell’aumento dell'imposta sui prezzi e quindi sui consumatori, una pratica vietata dalla legge che istituiva la Robin Hood Tax. La 'colpa' si potrebbe desumere per l’anno 2010 e 2011 da una variazione positiva del margine di contribuzione semestrale.

Sarebbero 199 le imprese che avrebbero aumentato i propri prezzi di vendita su un totale di 476. Delle 199 imprese, 94 apparterrebbero al settore petrolifero e 105 a quello dell’energia elettrica e del gas (qui il gettito di addizionale IRES più rilevante in misura assoluta è stato quello prodotto dalle società appartenenti al Gruppo Enel, di cui 312,3 milioni di euro dovuti dalla sola Enel Distribuzione SpA).

Dunque, secondo l’Autorità per l’Energia e il Gas, che ha sempre visto negativamente i possibili effetti di questa tassa, a seguito dell’introduzione dell’addizionale IRES, alcuni operatori energetici avrebbero recuperato la redditività sottratta dal maggior onere fiscale, aumentando il differenziale tra i prezzi di acquisto e i prezzi di vendita.

Ma a quanto ammonterebbe questo “ricarico” sui consumatori italiani? La stima dell’AEEG parla di 1,6 miliardi di euro. Vediamo nel particolare.

Le verifiche contabili dell’AEEG mostrano “la permanenza di effetti prezzo positivi anche per entrambi i semestri dell’esercizio 2010, seppure in misura più contenuta rispetto ai precedenti periodi vigilati” (vedi grafico sotto) per soggetti vigilati appartenenti al settore energia elettrica e gas.



L’Autorità afferma dunque che anche per il 2010 una parte significativa di questi operatori (105), a seguito dell’introduzione del divieto di traslazione, ha adottato politiche di prezzo che hanno incrementato il margine di contribuzione dovuto all’effetto prezzo, determinando uno svantaggio per i consumatori finali.

Lo stesso si è possibile affermare per i soggetti vigilati appartenenti al settore petrolifero (vedi grafico).



In sintesi, se si confronta solamente il secondo semestre 2007 con il secondo semestre 2010, l’ammontare dei margini teoricamente accumulati ammonterebbe a 1,6 miliardi, di cui 0,9 miliardi per le aziende elettriche e del gas e 0,7 miliardi per quelle petrolifere.

Per Adiconsum si tratta di una “una tassa occulta tra i 300 e i 400 euro in più in bolletta”; per Adusbef e Federconsumatori si tratterebbe di un ricarico annuale di 134 euro a famiglia, per un totale di 335 euro in due anni e mezzo.

Si è alzata la voce di Assoeletrica e del suo presidente, Chicco Testa che ha dichiarato che questi dati dell’AEEG suscitano molte perplessità perché secondo lui le tariffe sono fisse e non c’è quindi la possibilità di recuperare il margine eroso dalle imposte e quindi chiede di approfondire meglio la questione. Lo stesso afferma il vice presidente di Ferderutility, Mauro D’Ascenzi, in un’intervista su la Repubblica di ieri, che replica spiegando che gli operatori non avrebbero potuto manipolare le tariffe, specie in mercati regolati in modo così stretto. “Ma anche sul mercato libero - spiega - è difficile farlo perché molti contratti sono pluriennali e poi se un operatore alzasse troppo le tariffe perderebbe i proprio clienti”.

In realtà in questo periodo abbiamo assistito ad un rialzo delle tariffe legate all’aumento delle materie prime o al loro aumento per compensare altre perdite (vedi costo kWh cicli combinati nelle fasce F2 ed F3). Certo i motivi possono essere sono diversi, ma un documento dell’Autorità, ancorché non chiarissimo, sembra raccontare di un altro balzello energetico ingiustificato per i consumatori, dopo quello sui sussidi alle centrali a olio a combustibile e quello legato ai contratti capestro firmati da Eni con Putin.

Le associazioni dei consumatori hanno intanto presentato un esposto in Procura per chiarire la questione e sapere i nomi degli operatori che avrebbero approfittato della situazione.

venerdì 11 gennaio 2013

Elettricità in Italia: da rinnovabili un quarto produzione 2012

Elettricità in Italia: da rinnovabili un quarto produzione 2012

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)

Il consumo elettrico degli italiani scende ancora, ma diventa più verde. Secondo gli ultimi dati di Terna nel 2012 abbiamo consumato 325.259 GWh, contro i 334.640 GWh dei dodici mesi precedenti. Questa richiesta è stata soddisfatta per l’86,8% da produzione nazionale e per il restante 13,2% da importazioni.

La produzione nazionale, nel 2011, ha fatto registrare un contributo dalle rinnovabili (energia idroelettrica, geotermoelettrica, eolica e fotovoltaica) pari al 19,7%. Tale contributo nel 2012 è salito al 25,4%. Un quarto della produzione nazionale di energia elettrica, quindi, è stato da fonte rinnovabile.

Nell’anno appena finito, in pratica, c’è stato un boom di fotovoltaico (+71,8%) e di eolico (+34,2%), mentre è sceso l’idroelettrico (-8,2%), il termoelettrico (continua la crisi: -6,3%) e il geotermoelettrico (-1,4%). Nel complesso la produzione nazionale di energia elettrica è scesa del 2,3%.

Andando nel dettaglio si notano due cose interessanti. La prima è che sud e isole producono elettricità per il nord, di fatto accollandosi i costi ambientali della produzione di un’energia che non consumano.



Dalla Sicilia, in tutto il 2012, sono partiti 1,25 miliardi di KWh di energia, dal sud Italia ne sono usciti 15,8 miliardi, dalla Sardegna 1,63 miliardi (oltre a 640 milioni di KWh ceduti alla Corsica). Tutta questa energia è andata a sfamare il centro-nord, che ha pure importato parecchio dall’estero.

La seconda cosa interessante è che l’idroelettrico continua a non essere quasi per nulla sfruttato per domare le bizze di produzione delle rinnovabili. Le centrali idroelettriche a serbatoio, con un bacino superiore e uno inferiore, potrebbero essere utilizzate per sfruttare gli eccessi di produzione non prevedibili dell’eolico e del fotovoltaico.
L’energia prodotta da queste due fonti rinnovabili può essere usata per pompare in alto l’acqua, accumulando così energia che si potrebbe rilasciare in rete quando serve. Questo, tra le altre cose, calmiererebbe notevolmente i prezzi dell’energia elettrica perché ridurrebbe gli squilibri tra domanda e offerta e le importazioni.

Ma nel 2012, a fronte del boom delle rinnovabili, il tasso di utilizzo delle centrali a serbatoio non è quasi per nulla cresciuto: a fronte di un crollo di tutto l’idroelettrico (quindi anche quello senza il pompaggio tra due bacini) che è passato dai 47.202 GWh prodotti nel 2011 a 43.322 GWh nel 2012, l’energia utilizzata per i pompaggi (cioè per essere accumulata nel bacino superiore degli impianti e poi utilizzata quando serve) è salita di pochissimo: da 2.539 a 2.627 GWh.

Giova ricordare che, in Italia, la quasi totalità degli impianti idroelettrici a pompaggio è di proprietà dell’ex monopolista ENEL.

mercoledì 5 dicembre 2012

Francia, Enel abbandona il nucleare Epr

Francia, Enel abbandona il nucleare Epr

(Fonte:ZeroEmission.it)


Nuove tegole sul reattore nucleare Epr di Flamanville. Enel ha annunciato la fine della collaborazione con Edf sul progetto per la costruzione sia dell’impianto sia di altri cinque da realizzare sempre in Francia. Enel ha notificato a Edf l’esercizio del diritto di recesso dai progetti “concludendo così l’accordo di collaborazione strategica che le due società avevano sottoscritto nel novembre del 2007” come scritto in un comunicato di Enel, che ha motivato l’uscita di scena dal reattore nucleare in Normandia . “La realizzazione di Flamanville 3 ha subito ritardi e incrementi nei costi. Questa situazione è aggravata dalla significativa flessione nella domanda di energia elettrica e dall’incerta empistica per ulteriori investimenti nel nucleare in Francia. Inoltre il referendum del giugno 2011 in Italia, che ha impedito lo sviluppo dell’energia nucleare nel paese, ha ridotto la rilevanza strategica dell’intero accordo di collaborazione con Efd”.
L’impianto oltre ad aver subito diversi ritardi circa un mese fa ha registrato un incidente, di livello 1 della scala Ines. La risoluzione dell’accordo ha inoltre determinato la cessazione dei contratti di anticipo di capacità da parte di Edf, correlati alla partecipazione di Enel negli EPR da costruire, per un totale di 1.200 MW nel 2012. Come scritto in un comunicato emesso dal gruppo italiano, con l’uscita dal progetto Flamanville 3, Enel sarà rimborsata delle spese anticipate in relazione alla sua quota del 12,5% nel progetto, per un ammontare complessivo di circa 613 milioni di euro più gli interessi maturati. La stessa Enel ha precisato sempre nella nota che "ha costruito in Francia una piattaforma commerciale solida nella fornitura di energia che sarà ulteriormente potenziata con il ricorso a fonti alternative. Il mercato francese rimane strategico per il gruppo Enel che continuerà a operare attraverso la sua presenza diversificata in questo Paese nelle rinnovabili e nelle attività di trading di gas ed energia elettrica".

venerdì 28 settembre 2012

Piani energetici coordinati dall’Ue

Colombo (Enel): piani energetici coordinati dall’Ue

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
Secondo il presidente del gruppo “è necessario che i Paesi membri adottino piani energetici che siano coordinati a livello Ue, sulla base di linee guida comunitarie in grado di individuare le specificità dei diversi Paesi, valorizzandone risorse e potenzialità”

Piani energetici coordinati dall’Unione europea per i Paesi membri. A richiedere la soluzione è Paolo Andrea Colombo, presidente di Enel, secondo cui “è necessario che i Paesi membri adottino piani energetici che siano coordinati a livello Ue, sulla base di linee guida comunitarie in grado di individuare le specificità dei diversi Paesi, valorizzando le risorse e le potenzialità in ciascuno di essi disponibili”. Questo approccio, sottolinea Colombo, “rappresenta la base per la creazione di una vera e propria politica energetica europea, che dovrà passare anche attraverso la rinuncia dei Paesi membri ad una parte della loro sovranità sulle questioni energetiche”. In un contesto globalizzato come quello attuale, rileva ancora il presidente di Enel, "l'Ue, se vuole esercitare il ruolo di protagonista che le spetta, deve muoversi come un'unica entità, promuovendo in un'ottica di integrazione sia lo sviluppo e la gestione delle reti che l'ottimizzazione del parco di generazione, in un quadro normativo e regolatorio armonizzato ed omogeneo”.

Un approccio unitario a livello comunitario, sottolinea il presidente di Enel, è “indispensabile anche per l'integrazione e lo sviluppo coordinato delle infrastrutture, fondamentali per garantire un mercato efficiente e contribuire al contempo al miglioramento della sicurezza energetica europea”.

mercoledì 5 settembre 2012

Primo parco eolico in Messico.

Enel: 76 milioni da IDB per primo parco eolico in Messico

(Fonte:ZeroEmission.it)
La Inter-American Development Bank ha approvato un prestito di 76 milioni di dollari alla società controllata da Enel Green Power SpA Impulsora Nacional de Electricidad S. de RL de CV, per la realizzazione del suo primo parco eolico in Messico. Il progetto sostiene gli sforzi di crescita da parte del Messico per sfruttare l'energia eolica nella regione di Oaxaca denominata "La Ventosa", uno delle migliori regioni al mondo per le risorse eoliche, per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili per generare elettricità. Attualmente, il 75% dell'energia prodotta in Messico, circa 60 GWin totale , è derivata ​​da combustibili fossili. "Questo progetto contribuirà all'obiettivo del Messico di ridurre le proprie emissioni di gas serra del 50% entro il 2020," ha dichiarato Brian Blakely, leader del team di progetto presso il Dipartimento Finanza Strutturata e Corporate della IDB. Bii Nee Stipa II, è il quarto parco eolico ad essere finanziato dalla IDB a Oaxaca dal 2009, e dispone di 37 aerogeneratori, con una previsione di generazione netta annuale di 278 GWh. Il progetto, la cui costruzione è stata completata nel mese di giugno, prevede di ridurre le emissioni di carbonio di 172.265 tonnellate all'anno. Lo sviluppo dell'industria eolica di Oaxaca cominciò nel 1990, ma solo ora si avvicina al suo reale potenziale. Entro la fine del 2012, la cpacità eolica installata nello stato raggiungerà circa 1,5 GW. Con questo ultimo prestito, la IDB ha approvato più di 240 milioni di dollari di finanziamento per i parchi eolici a Oaxaca dal 2009.