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giovedì 21 novembre 2013

Onu, è rottura alla conferenza sul clima: gli ambientalisti abbandonano per protesta

Onu, è rottura alla conferenza sul clima: gli ambientalisti abbandonano per protesta

(Fonte:Repubblica.it-Antonio Cianciullo)
 
 
 
ALLA CONFERENZA Onu sul clima di Varsavia è rottura totale: gli ambientalisti hanno abbandonato per protesta i lavori dipingendo uno scenario disastroso. Mentre il mondo sperimenta in diretta il sapore del cambiamento climatico e gli eventi estremi mordono le Filippine, il Midwest americano, la Sardegna, sul ponte di comando della nave a cui è stata affidata la difesa del clima si guarda un altro film. Guidata dalla regia polacca, la conferenza Onu di Varsavia è troppo occupata ad ammirare le prospettive di crescita del carbone e dello shale gas per preoccuparsi dei disastri ambientali.

Le associazioni ambientaliste (dal Wwf a Greenpeace, da Friends of the Earth a Oxfam) e le confederazioni sindacali hanno sbattuto la porta dichiarando che i "negoziati sul clima sono una cosa molto seria e non si può trasformarli in burla". E' la prima volta che accade nella storia del negoziato che si è aperto nel 1992 a Rio de Janeiro con la firma della Convenzione per la difesa del clima: un processo che ha portato alla ratifica del protocollo di Kyoto ma che ora si infrange sul muro della gestione polacca della conferenza. "I primi due giorni della settimana decisiva, quella che si chiude domani, sono stati dedicati alla World Coal Association, cioè all'ode del carbone cosiddetto pulito, ignorando il semplice fatto che è proprio il carbone a farci pagare il prezzo maggiore in termini di vittime sia da smog sia da cambiamento climatico", accusa Mariagrazia Midulla, del Wwf.

Subito dopo questo biglietto da visita, il governo polacco ha completato il quadro delegittimando Marcin Korolec, il presidente della Conferenza: con un rimpasto gli è stata sottratta la poltrona di ministro dell'Ambiente e il dicastero che dovrebbe vigilare sulla difesa degli ecosistemi è stato affidato a uno strenuo sostenitore dello shale gas, una delle tecniche di estrazione degli idrocarburi più contestate per l'impatto ambientale che produce.

In questo quadro il Giappone ha annunciato una riduzione degli impegni volontari. Impegni volontari che a livello globale lasciano sostanzialmente inalterato lo scenario chiamato business as usual con le conseguenze precisate a chiare lettere dall'Ipcc, il gruppo di scienziati Onu che ha vinto il Nobel per la pace. In assenza di tagli rapidi e radicali delle emissioni di gas serra ci attende una crescita di temperatura devastante: attorno ai 4 gradi entro la fine del secolo. Ma per misurare il pericolo non c'è da attendere tanto: l'aumento dell'energia intrappolata in atmosfera è carburante prezioso per gli uragani che, alla varie latitudini e sotto vari nomi, stanno diventando una presenza sempre più allarmante. Un vicino con il quale è molto difficile convivere.

La trattativa ha ancora una strettoia attraverso la quale far passare la speranza di poter mantenere un pianeta più sicuro per la specie umana. Ma sul fronte politico l'Unione europea si trova piuttosto isolata (a Varsavia il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando ha ribadito l'adesione italiana alla definizione di obiettivi europei avanzati per il 2030). E la speranza finisce così per essere affidata quasi esclusivamente al mercato: le fonti rinnovabili e le politiche di efficienza conquistano spazi sempre più consistenti nei paesi a industrializzazione matura. Ma i benefici vengono completamente annullati dalla crescita impetuosa e ad alto impatto ambientale delle aree del mondo in cui la lotta contro la fame impedisce di guardare lontano. La politica a livello globale sembra essersi arresa rimandando tutti gli impegni a un piano che dovrà essere definito entro il 2015 per entrare in vigore nel 2020. Tra molti uragani.

mercoledì 20 novembre 2013

Sardegna, Realacci: "Governo stanzi più fondi per difesa suolo"

Sardegna, Realacci: "Governo stanzi più fondi per difesa suolo"

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
“Vicini alla Sardegna, alla popolazione così duramente colpita dal maltempo e alle famiglie delle vittime. Fortemente necessario lo stato di emergenza, ma al Paese serve anche un decisivo cambio di rotta sulla via della prevenzione". Così Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera, ha commentato l’ondata di maltempo che ha tragicamente colpito la Sardegna. "Il ripetersi di eventi climatici estremi con sempre maggiore frequenza e il dramma di queste ore, che ha visto cadere oltre 400 millimetri di acqua in poche ore, confermano proprio nei giorni in cui è in corso la Conferenza Onu sul Clima di Varsavia non solo la necessità di contrastare i mutamenti climatici, ma l’assoluta priorità della messa in sicurezza del nostro territorio nazionale. E’ inaccettabile pertanto che per il prossimo anno la Legge di Stabilità preveda un finanziamento di soli 30 milioni di euro per la difesa del suolo - ha detto - ben altro quanto richiesto dalla Commissione Ambiente e Territorio della Camera, con una risoluzione approvata all’unanimità di cui sono primo firmatario e che impegna il governo il Governo a stanziare subito 500 milioni annui per la difesa del suolo, e a rivedere il Patto di Stabilità interno per consentire agli Enti Locali che hanno risorse di investirle in interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico. Serve inoltre un sistema di Protezione Civile e allerta meteo che protegga in modo più efficace i nostri cittadini”.

“In un Paese come l’Italia – ha concluso Realacci - dove negli ultimi cinquanta anni frane, terremoti e alluvioni hanno provocato secondo dati di Protezione Civile e CNR migliaia di vittime e danni per un costo stimato da Cresme e Ance, per il periodo 1944/2012, in oltre 240 miliardi di euro, e in cui come ricorda Legambiente nell’82% dei comuni sono presenti zone a elevata esposizione al rischio idrogeologico, serve passare dalle parole ai fatti e mettere finalmente in atto serie politiche di difesa del suolo. Un piano nazionale di prevenzione del rischio idrogeologico e messa in sicurezza del territorio è la vera ‘grande opera’ che serve al Paese per tutelare il nostro fragile suolo, garantire maggiore sicurezza ai cittadini, non piangere altre vittime innocenti e attivare migliaia di cantieri, con ricadute importanti anche sull’occupazionale”.

lunedì 18 novembre 2013

Summit di Varsavia: le posizioni delle nazioni su clima e CO2

(Fonte:greenStyle.it-marco Mancini)

 
 
Il summit di Varsavia, un incontro organizzato dall’ONU per cercare di conciliare le varie posizioni dei Paesi mondiali sul tema della riduzione dell’inquinamento e dello sfruttamento delle risorse, entra oggi nel vivo.

Iniziato l’11 novembre scorso, mai come quest’anno il summit COP diventa decisivo per il futuro dell’ambiente mondiale. Soprattutto viste le posizioni che sembrano sempre più inconciliabili tra le nazioni che vogliono fare la loro parte e quelle che invece non ne vogliono sapere, giustificandosi con la crisi economica che non consente limitazioni al mercato. Queste le posizioni al momento:
  • Europa: La posizione europea è come sempre la più conciliante. Connie Hedegaard, Commissario Europeo per il Clima, chiede unità a tutti i Paesi nonostante la difficile situazione economica, per confermare gli impegni presi sul taglio delle emissioni della CO2 e magari anche migliorando gli impegni. La richiesta che i principali attori in questione fanno è di prendere impegni precedenti al 2020, ma già entro il 2015, puntando su risparmio energetico, rinnovabili, eliminazione degli HFC (gas fluorurati), modifica dei sussidi alle fonti fossili e nuovi limiti alle emissioni del settore trasporti.
  • Stati Uniti: Gli States continuano con la loro teoria di non intervento sul mercato. Non vogliono porre limiti troppo stringenti alle emissioni, pur riconoscendo l’importanza di questa finalità. Per questo promuovono la ricerca sul cosiddetto carbone pulito e sui sistemi di recupero e stoccaggio della CO2. Continua inoltre la politica dello shale gas che Obama non sembra intenzionato ad abbandonare. La road map futura prevede di mandare in “pensione” le centrali più vecchie e sostituirle con quelle più efficienti. L’unico obiettivo posto al 2015 è la chiusura di 205 centrali a carbone obsolete.
  • Cina: La posizione della Cina è molto vicina a quella degli Stati Uniti, con la differenza che, al posto dello shale gas, si punta maggiormente su rinnovabili e nucleare. Il carbone resta però centrale. L’idea del governo cinese è di aprire 3 centrali al mese da qui al 2022. Dopo il 2015 però il piano energetico quinquennale potrebbe essere rivisto.
  • India: L’India non vuol sentire nemmeno nominare le limitazioni alle emissioni. Anzi, nonostante siano stati avviati importanti progetti in particolare sul solare, il suo futuro sarà basato sul carbone, tanto che, secondo le previsioni, nel giro di pochi anni diventerà il secondo Paese importatore al mondo.
  • Giappone: Dopo il disastro di Fukushima il Paese nipponico rivede al ribasso le sue previsioni. Visto che sta facendo a meno del nucleare, che da solo copriva il 30% del fabbisogno energetico nazionale, il dover attingere a petrolio e carbone per garantire elettricità alla sua popolazione costringe il Governo giapponese ad abbassare i limiti alle emissioni. Entro il 2020 porrà il limite ad appena il 3,8% rispetto all’anno 2005 (la richiesta iniziale era il 20% rispetto al 1990). Praticamente l’apporto alla causa sarebbe nullo.
  • Australia: Nemmeno l’Australia ha intenzione di porre limiti alle emissioni. Punterà su un mix di rinnovabili e carbone, ma il Governo ha annunciato di voler abrogare la carbon tax.
  • Agenzia internazionale dell’energia (IEA): Oltre alle nazioni ci sono anche gli organismi internazionali da considerare. La IEA si oppone alla limitazione dei combustibili fossili e in particolare proprio sul carbone, in quanto è convinta che la richiesta in tutto il mondo di questo combustibile sia destinata a salire almeno fino al 2035. Con tutte le emissioni che ciò comporta. Anche se è favorevole allo sviluppo delle rinnovabili, la IEA continua ad appoggiare il mercato dei fossili. Semmai l’impegno si deve spostare, secondo l’agenzia, sui metodi di produzione dell’energia attraverso il carbone che, se fossero più efficienti, ridurrebbero ugualmente le emissioni.

A poco serviranno gli appelli degli scienziati che dimostreranno come stiamo sforando il tetto dell’innalzamento della temperatura di 2 gradi e che, di questo passo, il riscaldamento globale sarà catastrofico. L’unico punto su cui quasi tutte le nazioni concordano è di investire in tecnologie meno inquinanti.

Di porre limiti alle emissioni non se ne parla nemmeno. Dopotutto il fatto che ci saranno il 30% di Ministri dell’Ambiente in meno rispetto agli altri meeting del passato (65 membri in meno rispetto a Doha) la dice lunga sulla posizione di molti Paesi sui temi ambientali.

venerdì 20 settembre 2013

Rinnovabili al 2030, l’industria Ue chiede a Bruxelles target vincolanti

Rinnovabili al 2030, l’industria Ue chiede a Bruxelles target vincolanti

(Fonte:Rinnovabili.it)
 
Il 2020 si avvicina e con questa data si fa sempre più prossima la scadenza della strategia europea su energia e clima. Mentre l’esecutivo europeo è impegnato a discutere del quadro normativo che dovrà accompagnare i Ventotto fino al 2030, il settore delle rinnovabili europee fa squadra per mandare un messaggio unanime all’indirizzo dei decisori politici. EPIA, EWEA, ESTIF, insieme con altre 60 imprese e le associazioni di settore, hanno co-firmato una lettera aperta rivolta ai ministri europei dell’Energia, al commissario per l’Energia e al commissario per il Clima in cui si chiede che la nuova road map per il 2030 si basi su strumenti e obiettivi che si rafforzino reciprocamente.

Il nuovo quadro su clima ed energia attualmente in discussione – sottolineano le associazioni – dovrebbe riportare un obiettivo giuridicamente vincolante sulle energie rinnovabili e presentare un assetto normativo, per i prossimi anni, capace di contribuire a ridurre i costi attuali della de-carbonizzazione, contribuendo a proteggere l’ambiente e facilitando la creazione di nuovi posti di lavoro.

“La transizione verso un’economia sostenibile è una straordinaria occasione per rilanciare la crescita economica e creare nuovi posti di lavoro, garantendo al contempo la tutela dell’ambiente”, si legge nella missiva. “Con il pacchetto ’20-20-20′, l’UE ha stabilito una chiara direzione per la sua politica energetica e climatica fino al 2020. Tuttavia, il 2030 è già alle porte. Considerati i lunghi cicli di investimento nel settore energetico e il fatto che le decisioni di investimento nei mercati liberalizzati dell’energia dell’UE dipendono fortemente l’affidabilità, è necessaria certezza del quadro normativo dei prossimi 17 anni”.

sabato 14 settembre 2013

Clima, energia e crisi: la posta in gioco sull'obiettivo Ue 2030

Clima, energia e crisi: la posta in gioco sull'obiettivo Ue 2030

(Fonte:QualEnergia.it-Mauro Albrizio e Francesco Ferrante)
 
 
 
 
I prossimi mesi saranno cruciali per la definizione del futuro quadro strategico europeo post-2020 su clima ed energia. I governi nazionali sono chiamati a fare le prime scelte sulla base del Libro Verde della Commissione, che traccia le possibili politiche comunitarie al 2030, in preparazione delle proposte legislative previste entro la fine dell’anno e delle decisioni da prendere al Consiglio europeo del prossimo marzo 2014.

In Europa la strada è tracciata: l’urgenza dei cambiamenti climatici in corso esige la necessità di obiettivi europei ambiziosi, coerenti e legalmente vincolanti per la riduzione delle emissioni di gas-serra, per la crescita delle energie rinnovabili e l’efficienza energetica. L’Unione europea, secondo recenti studi, entro il 2030 deve raggiungere almeno il 55% di riduzione delle emissioni per contribuire a evitare la crisi climatica. E per una reale transizione verso un sistema energetico a zero emissioni di carbonio, l'Europa entro il 2030 deve nello stesso tempo raggiungere il 45% di energia rinnovabile e tagliare il consumo di energia del 40%.

Obiettivi che il nostro governo dovrebbe sostenere con forza perché peraltro qui si gioca anche la possibile competition a livello globale. Il quadro di riferimento per il 2030 deve riflettere l’urgente bisogno di una forte azione contro i mutamenti climatici in corso. Come evidenziano persino i recenti rapporti della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, le nostre economie saranno fortemente colpite se saranno adottate politiche climatiche ed energetiche insufficienti a fronteggiare i cambiamenti climatici in corso, e invece potranno avere rilevanti benefici da politiche che imbocchino con decisione ed efficacia la strada dell’innovazione e del low carbon.

Per questo occorre un approccio coerente e ambizioso che richiede obiettivi legalmente vincolanti sia per la riduzione delle emissioni di gas-serra, che per le rinnovabili e l’efficienza energetica. Il solo obiettivo di riduzione delle emissioni di gas-serra non è sufficiente a stimolare i necessari investimenti per le rinnovabili e l’efficienza energetica. Qui si gioca una partita fondamentale e sarebbe davvero importante che per una volta nel Governo italiano prevalesse la linea più responsabile e avanzata rappresentata dal Ministero dell’Ambiente e non, come purtroppo troppo spesso accade, quella del Ministero dello Sviluppo Economico condizionata da quella parte di industria più arretrata e refrattaria all’innovazione.

Per raggiungere gli obiettivi climatici europei è infatti indispensabile una forte trasformazione del sistema energetico con una significativa aumento dell’efficienza e una forte espansione delle fonti rinnovabili. Il livello di ambizione degli obiettivi climatici ed energetici deve essere coerente con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas-serra di almeno il 95% al 2050, con una condivisione degli impegni di riduzione a livello nazionale fondata sulle possibilità dei singoli Stati membri. Per questo sarebbe indispensabile un ruolo attivo dell’Italia per assicurare che l’obiettivo di efficienza energetica, insieme a quelli per la riduzione delle emissioni e per le rinnovabili, sia legalmente vincolante.

Il processo verso un’economia europea a basse emissioni di carbonio può creare nuove opportunità economiche dal punto di vista dell’occupazione, dell’innovazione e dello sviluppo di tecnologie pulite.

L’Europa ha il più grande deficit commerciale al mondo per quanto riguarda l’energia. Lo scorso anno ammontava a ben 423 miliardi di euro. Secondo recenti analisi è possibile ridurre al 2030 il consumo di combustibili fossili di 550 Mtep. Solo con il risparmio energetico si può ridurre il deficit di ben 239 miliardi di euro entro il 2030.

Un contributo importante può venire anche dal settore delle rinnovabili. Grazie al raggiungimento dell’attuale obiettivo legalmente vincolante del 20% si prevede un incremento netto del PIL europeo dello 0.25% al 2020 e dello 0.45% passando al 45% al 2030. Con un impatto occupazionale rilevante. Dagli attuali 1.2 milioni di occupati si passa a 2.7 milioni nel 2020 e 4.4 milioni nel 2030.

Insomma, come abbiamo detto tante volte, politiche efficaci contro i cambiamenti climatici, di sostegno alle rinnovabili e all’efficienza non solo comporterebbero una riduzione delle emissioni e una maggior tutela dell’ambiente e della salute, ma sarebbero anche la via migliore per affrontare la crisi economica.

mercoledì 26 giugno 2013

Clima, Obama: "La terra sta cambiando". Gli Stati Uniti "devono iniziare ad agire"

Clima, Obama: "La terra sta cambiando". Gli Stati Uniti "devono iniziare ad agire"

(Fonte:LaRepubblica.it)
 
 
 
 
WASHINGTON - Evitare di peggiorare l'effetto serra. Ridurre le emissioni di biossido di carbonio e puntare sulle energie rinnovabili. Il primo, atteso discorso sull'ambiente del secondo mandato di Obama doveva districare anche la controversa questione dell'oleodotto Keystone XL. Due fasi del maxi progetto sono già operative. Una terza - il trasporto dall'Oklahoma al golfo del Texas - è in costruzione, ma la quarta fase è ancora in attesa dell'approvazione del governo americano. Servirebbe a consentire la distribuzione del greggio estratto dalle sabbie bituminose dello Stato canadese da Hardisty, Alberta, estendendosi per 1.179 miglia (1.897 chilometri) fino a Steele City, in Nebraska. Ma gli ambientalisti sono in agitazione e protestano per le emissioni di gas serra che l'oleodotto causa. "Dovrà rispettare i parametri di sicurezza e non compromettere l'ambiente o non sarà approvato dal mio governo", ha detto Obama all'Università di Georgetown. "Il nostro interesse nazionale sarà garantito solo se questo progetto non aggraverà esageratamente il problema dell'inquinamento da anidride carbonica", ha spiegato.

Era la parte attesa del suo discorso. Si pensava che avrebbe annunciato l'approvazione del progetto. E invece Obama non ha fatto l'equilibrista. "Non possiamo continuare a trivellare ignorando il cambiamento climatico. È un problema non ignorabile. La strategia energetica giusta non può riguardare solo il petrolio", ha spiegato. "So delle controversie sull'oleodotto Keystone tra il Canada e il Texas - ha affermato - Molti si sono opposti. Voglio essere chiaro: permetterne la costruzione richiede che tutto sia fatto nell'interesse del Paese". "Gli interessi nazionali - ha continuato - saranno serviti se questo progetto non esaspererà gli effetti dell'inquinamento da carbonio. Gli effetti negativi non possono prevalere. Non ci possono essere ulteriori effetti negativi sul cambiamento climatico, quindi faremo una valutazione necessaria per capire se andare avanti con la costruzione".

Poi ha spiegato i punti principali del suo programma. Messo nell'angolo da una serie di scandali che ne hanno offuscato l'immagine progressista, il presidente ha tentato di recuperare terreno e rilanciato una battaglia su cui molti lo trovano in difetto, la lotta al cambiamento climatico. Ha rimarcato che "il 97% degli scienziati riconosce il surriscaldamento" e che "gli americani stanno già pagando il prezzo dell'inazione sul clima". "Dobbiamo agire" ha detto, annunciando una strategia nazionale di lotta alle emissioni di gas responsabili dell'effetto serra. "Come presidente, come padre e come americano, sono qui per dirvi che dobbiamo agire".

"Dal 2006 nessun Paese al mondo ha ridotto l'inquinamento da gas serra come gli Stati Uniti. È un buon inizio. Ma la ragione per cui siamo qui è che c'è ancora molto da fare", ha detto. Gli Stati Uniti vogliono essere il Paese leader globale nella lotta al cambio climatico: "Non è né giusto, né sicuro - ha aggiunto - che le centrali elettriche emettano quantità illimitate di anidride carbonica nell'atmosfera. Dobbiamo fermarle". Realismo. Un periodo di transizione è necessario: "L'economia verde può essere il motore per i prossimi decenni e voglio che costruiamo quel futuro. È il nostro compito. Questo non vuol dire che improvvisamente smetteremo di produrre carburanti fossili, un periodo di transizione richiede tempo, ma chi dice che questo danneggerà i rifornimenti energetici, mente".

Obama ha dato il mandato all'Environmental Protection Agency, l'agenzia federale preposta alla difesa dell'ambiente, di compilare un piano che evidenzi il limite delle emissioni di biossido di carbonio degli Stati Uniti. L'agenzia ha avuto anche un termine: un anno da oggi. Entro giugno 2014, dovrà calcolare danni possibili e alternative valide per evitarli. Obama ha anche chiesto l'approvazione di una legge che limiti l'emissione di gas serra dagli impianti per la produzione di energia elettrica. Inoltre si è scagliato contro i repubblicani che si oppongono ai suoi piani, sostenendo che comprometteranno posti di lavoro. "Si sbagliano, come si sono già sbagliati", ha detto.

L'oleodotto di Keystone avrebbe garantito il trasporto di petrolio attraverso la nazione. "Nell'interesse nazionale", dicono i sostenitori che puntano il dito contro altri metodi, "camion, navi, treni non sono altrettanto sicuri". Una decisione definitiva, ha spiegato Cnn, dovrebbe arrivare in autunno, è da marzo che la situazione è in stallo.

Il presidente non si è soffermato troppo sulla questione. Ha lanciato la sua sfida. "Nel discorso sullo Stato dell'Unione ho chiesto al Congresso di trovare una soluzione che mettesse d'accordo i repubblicani e i democratici, ma sono ancora in attesa e voglio che tutti si impegnino. E' una sfida che deve ricevere attenzione adesso, non può aspettare. Per questo voglio mettere in atto una nuova strategia che tuteli dall'inquinamento e preveda un coordinamento globale. Si inizia con quello da biossido di carbonio, facendo un uso maggiore dell'energia pulita, sprecando meno energia per le attività economiche".

A Washington sotto un caldo soffocante, il presidente Usa ha ricordato che gli effetti del cambiamento climatico sul pianeta provocano enormi perdite di vite umane e anche economiche. Per questo vorrebbe una soluzione al problema basata sul mercato e raddoppiare la produzione di energia da fonti solari e da vento geotermico su terreni federali.

Il piano prevede anche 8 miliardi di dollari in garanzie governative per prestiti destinati a investimenti su tecnologie che impediscano che il biossido di carbonio prodotto dagli impianti energetici arrivi all'atmosfera e fissa come obiettivo la riduzione di almeno 3 miliardi di tonnellate metriche di carbonio accumulato entro il 2030 (ovvero più della metà dell'inquinamento annuale da carbone del settore energetico in Usa).

lunedì 10 giugno 2013

Dazi fotovoltaico mettono a rischio la lotta al cambiamento climatico

(Fonte:GreenStyle.it-Francesca Fiore)
 
 
I dazi sul fotovoltaico imposti da Europa e Stati Uniti potrebbero scatenare una guerra commerciale su vasta scala e inficiare tutti i progressi fatti dall’industria del solare negli ultimi dieci anni. A lanciare l’allarme è China Daily, con un articolo a firma Martin Khor, che spiega come la concorrenza feroce tra aziende e le nuove misure protezionistiche possano rendere il fotovoltaico un settore non più appetibile. Non solo: i dazi starebbero mettendo a rischio i progressi fatti in materia di tutela climatica e ambientale.

Secondo il quotidiano cinese, l’energia solare -da sempre una fonte costosa di approvvigionamento – è diventata conveniente solo negli ultimi anni e potrebbero esserlo in maniera ancora maggiore: da 76 dollari per Watt nel 1977, a circa 10 dollari nel 1987, fino ai 74 attuali. Tra il 2006 e il 2011, il prezzo delle celle solari cinesi è sceso 80%: a partire da 4,50 dollari per watt a 90 centesimi per watt.

La domanda è cresciuta con il calare dei costi: la capacità installata globale di energia solare è aumentata di 28,4 GW nel 2012 a e attualmente è a quota 89,5 GW: il traguardo di 100 GW dovrebbe essere attraversato quest’anno, secondo China Daily. I dazi americani prima e le misure emanate dalla Commissione europea qualche giorno fa, mettono in serio pericolo non solo l’industria cinese, ma l’intero settore del fotovoltaico globale. Inoltre l’Europa prevede di aumentare le attuali imposizioni fino al 47% nei prossimi mesi. Aumentando i prezzi del fotovoltaico a causa dei dazi sarà meno conveniente scegliere l’energia solare e questo potrebbe portare a un effetto indesiderato per il clima globale: il ritorno alla scelta di fonti fossili.

Uno scenario troppo negativo? Probabilmente sì, ma l’analisi di China Daily, seppur troppo negativa, stimola comunque a delle riflessioni su quanto effettivamente potranno incidere i dazi, non soltanto a livello economico, sullo sviluppo di una tra le energie rinnovabili più diffuse e apprezzate.

lunedì 27 maggio 2013

Il clima ostile alle energie rinnovabili e la forte lobby europea del fracking gas

Il clima ostile alle energie rinnovabili e la forte lobby europea del fracking gas

(Fonte:QualEnergia.it-Gianni Silvestrini)
 
 
 
 
L’attuale contesto per il comparto delle rinnovabili e della efficienza è delicato, anche se non privo di interessanti opportunità. Vanno crescendo le forze che ritengono che gli incentivi vadano centellinati o che addirittura si debba intervenire con misure retroattive, un’azione che rischierebbe di essere incostituzionale e che lederebbe la credibilità del nostro paese.

Le motivazioni addotte sono due: un costo eccessivo delle bollette per gli utenti finali e l’impatto sul mondo delle aziende energetiche in difficoltà per il calo della domanda e la competizione di nuovi attori, come l’oltre mezzo milione di cittadini e imprese che posseggono impianti fotovoltaici.

In realtà, anche a livello europeo spira un’aria non proprio rassicurante. Il documento “Energy challenges and policy”, predisposto per il Consiglio Europeo del 22 maggio parte dalla constatazione della difficoltà delle imprese europee rispetto a quelle statunitensi che godono di prezzi del gas molto inferiori grazie agli effetti negli ultimi anni della produzione di gas da fracking.

Date queste premesse, il documento apre all’introduzione del fracking anche in Europa, pone l’accento sulla competitività e sui prezzi dell’energia, mentre si avverte una minore attenzione sulle questioni climatiche. Va ricordato che la Confindustria europea, BusinnessEurope, ha svolto una forte azione di lobby proprio su questi temi, come già aveva fatto con successo durante le discussioni sull’Emissions Trading, e sembra essere riuscita ad influenzare la riunione dei capi di Stato riuniti a Bruxelles.

Per quanto riguarda la tecnica del fracking, è comunque impensabile la riproposizione del successo americano. Il contesto territoriale, geologico e la densità abitativa sono infatti molto differenti e già sono scattate mobilitazioni contro un processo che presenta notevoli implicazioni ambientali.

Potrebbe invece avere un impatto l’importazione di gas liquefatto dagli Usa, previsto al momento per il Giappone e Regno Unito, che darebbe maggiore potere contrattuale agli europei nelle trattative con i tradizionali fornitori di gas come la Russia o l’Algeria.

Peraltro, si deve tener conto che i costi dell’estrazione del fracking gas aumenteranno. Visti i rapidi tempi di esaurimento dei pozzi di shale gas, occorrono infatti investimenti colossali. E’ stato calcolato che per mantenere l’attuale livello di estrazione negli Usa occorrerebbero investimenti per 42 miliardi $/anno, a fronte di ricavi che al momento sono di 33 miliardi $/anno.

L’impatto immediato della rivoluzione statunitense dello shale gas è però, paradossalmente, di segno completamente diverso per l’Europa. Il calo del prezzo del metano e le nuove regole per le inquinanti centrali a carbone Usa stanno infatti inducendo un forte cambiamento del mix di combustibili nella generazione elettrica. Nel 2012 la produzione dalle centrali a carbone statunitensi è calata dell’11,6%, sostituita da una maggiore produzione da gas. Di conseguenza grandi quantità di carbone a basso costo si sono riversate dalle miniere statunitensi in Europa, dove nel frattempo il mercato dell’Emissions Trading si era inceppato facendo crollare le quotazioni di una tonnellata di CO2 al livello del prezzo di un paio di capuccini, mettendo così fuori gioco i cicli combinati a gas.

Questo spiega come, paradossalmente, in Germania accanto ad una forte crescita delle rinnovabili si sia registrato anche un incremento dell’uso del carbone e un calo dell’impiego del metano. Grazie al boom fotovoltaico, peraltro sono cresciute anche le esportazioni elettriche, malgrado la chiusura parziale del nucleare.

Tornando alle inquietudini europee, fortunatamente il tema dell’efficienza resta centrale, anzi acquista una importanza ancora maggiore. Alti prezzi rendono infatti più interessanti gli interventi per ridurre consumi.

Diventa quindi molto importante il processo di recepimento della Direttiva sull’efficienza che vedrà impegnato il nostro Governo nei prossimi mesi. E decisivo il rifinanziamento, questa settimana, delle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici.

mercoledì 22 maggio 2013

Fughe di metano, come il gas fa male al clima

Fughe di metano, come il gas fa male al clima

(Fonte:Ecqualogia.it)

 
 
Il gas fa più male al clima di quanto comunemente si pensi. Colpa delle perdite: nel processo di estrazione e trasporto finisce in atmosfera dal 2 al 7% del metano, gas con potere climalterante 33 volte superiore a quello della CO2. Particolarmente negativo il bilancio dello shale gas, soggetto a consistenti fughe già nell'estrazione tramite fracking.

Con il nucleare in crisi e le rinnovabili ancora minoritarie, molti hanno individuato nel gas la fonte di transizione per decarbonizzare il sistema energetico. Una fiducia galvanizzata dal recente boom dello shale gas, il gas non convenzionale estratto dalle rocce attraverso il fracking. Il gas, se guardiamo solo al processo di combustione, è indubbiamente la fonte fossile con meno emissioni: una centrale a gas emette grosso modo la metà della CO2 rispetto ad una a carbone. Se si guarda all'intero ciclo di vita dell'energia da gas però emerge un aspetto quasi sempre trascurato che ridimensiona di molto i vantaggi del gas: quello delle fughe di metano in atmosfera.

Ce lo ricorda un report del World Resources Institute, fresco di pubblicazione (vedi allegato in basso). Sia nel processo di estrazione, che durante il trasporto del gas, si spiega, in atmosfera finiscono quantità rilevanti di metano: circa il 2-3% della produzione totale, ma alcuni studi (il report propone una sorta di censimento della letteratura scientifica esistente) parlano di un impressionante 7%.

Emissioni che gravano molto sul clima, specialmente nei primi 20 anni: il metano infatti ha un potere climalterante decine di volte superiore a quello della CO2, anche se ha un tempo di permanenza in atmosfera pari a un decimo di questa. Per l'esattezza, secondo studi recenti, il metano ha un potere climalterante di 33 volte superiore a quello della CO2 sui 100 anni e 105 volte maggiore sui 20 anni (il quarto rapporto IPCC del 2007 parla di un potere riscaldante sui 100 anni superiore di 21 volte alla CO2, ma la proporzione fatta sarebbe superata perché non tiene conto dell'interazione con gli aereosol).

Assumendo conservativamente che le fughe siano solo il 2% della produzione, lo studio del WRI, riferito al mercato USA, le quantifica in 6 milioni di tonnellate di metano l'anno che finiscono in atmosfera: un contributo al disastro climatico pari a quello delle emissioni di 120 milioni di auto. Tra le altre cose uno spreco (sempre parlando dei soli Stati Uniti) da 1,5 miliardi di dollari l'anno. Una perdita attribuibile in parte a fughe nei gasdotti che si potrebbero riparare, con vantaggio economico anche dei produttori: se non lo si fa, si spiega, oltre che per un vuoto legislativo, è perché i gasdotti non appartegono ai produttori. Bisogna rimediare subito è la bottomline del report: limitare le perdite di metano potrebbe essere uno dei provvedimenti più efficaci per ridurre le emissioni.
Se le perdite nei gasdotti possono, entro un certo limite, essere tappate, però, più difficile è intervenire su quelle in fase di estrazione. Questo è un buon motivo, che va ad aggiungersi a molti altri, per dubitare della sostenibilità ambientale dello shale gas. Oltre ad avere impatti ambientali molto pesanti come il depauperamento, l'inquinamento delle falde idriche e il rischio di innesco di attività sismiche, il fracking, la procedura per estrarre il gas non convenzionale dagli scisti iniettandovi acqua e sostanze chimiche ad altissima pressione, causa fughe di gas.

Ricerche recenti citate nello studio WRI e condotte attorno a pozzi di shale gas attivi in Colorado ci dicono che nel proceso di estrazione tramite fracking circa il 4% del gas estratto finisce in atmosfera. Anche se gran parte della letteratura scientifica in materia stima che le emissioni dello shale gas siano paragonabili a quelle del gas convenzionale, questi dati potrebbero confermare quanto sostenuto da uno studio del 2011 della Cornell University, che conclude che l'impronta dello shale gas in termini di emissioni su un periodo di 20 anni sia dal 22 al 43% più grande di quella del gas convenzionale, mentre sui 100 anni - per via della permanenza relativamente breve del metano in atmosfera - sia mggiore dal 14 al 19%.

Se così fosse lo shale gas per il clima non sarebbe migliore di petrolio e carbone: rispetto al petrolio, sui 20 anni, l'impatto sarebbe dal 50% a 2,5 volte più pesante e sui 100 anni da equivalente a peggiore del 35%. Rispetto al carbone, invece, sul periodo dei 20 anni, avrebbe un'impronta climatica dal 20% a oltre il doppio più grande, mentre sui 100 anni l'impatto sul clima sarebbe sostanzialemente simile.

giovedì 28 marzo 2013

UE 2030: nuova strategia in materia di clima ed energia

UE 2030: nuova strategia in materia di clima ed energia

(Fonte:ZeroEmission.it)
La Commissione europea ha fatto il primo passo verso l’istituzione di un quadro strategico unionale per le politiche in materia di cambiamenti climatici e energia da oggi al 2030, adottando un cosiddetto "Libro verde" che avvia una consultazione pubblica. La Commissione ha anche pubblicato una comunicazione consultiva sul futuro della cattura e dello stoccaggio del carbonio (CCS) in Europa, al fine di avviare un dibattito sulle opzioni disponibili per garantirne uno sviluppo tempestivo, adottando inoltre una relazione in cui valuta i progressi compiuti dagli Stati membri per conseguire i loro obiettivi in materia di energie rinnovabili entro il 2020, nonché due relazioni sulla sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi consumati nell’UE.

“È necessario definire il più rapidamente possibile il quadro strategico per le nostre politiche in materia di clima ed energia da oggi al 2030, in modo da garantire investimenti adeguati per una crescita sostenibile, prezzi competitivi e accessibili per l’energia e una maggiore sicurezza energetica - ha dichiarato Günther Oettinger, Commissario europeo per l’energia - Il nuovo quadro strategico deve tenere conto delle conseguenze della crisi economica ed essere anche sufficientemente ambizioso per realizzare l’obiettivo a lungo termine di ridurre le emissioni dell’80-95% entro il 2050.”

Connie Hedegaard, Commissaria responsabile per l’Azione per il clima, ha dichiarato: “La dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili provenienti dai paesi terzi aumenta ogni giorno determinando fatture energetiche sempre più care per i cittadini europei. Tutto ciò non è affatto positivo. Non è positivo per il clima ma non lo è neanche per la nostra economia e la nostra competitività. Per queste ragioni abbiamo deciso che per il 2050 auspichiamo una società europea a basse emissioni di carbonio. Abbiamo stabilito degli obiettivi per il 2020, ma per la maggior parte degli investitori il 2020 è già alle porte. È arrivato il momento di stabilire gli obiettivi per il 2030. Prima lo facciamo, maggiore sicurezza offriamo alle nostre imprese e ai nostri investitori. Più ambiziosi saranno questi obiettivi, maggiori saranno i benefici per il clima.”

La consultazione resterà aperta fino al 2 luglio. Entro la fine di quest’anno, sulla base delle opinioni espresse da Stati membri, istituzioni europee e portatori di interesse, la Commissione intende proporre un quadro strategico per il 2030 in materia di clima ed energia. Fare chiarezza in questo ambito contribuirà a dare certezze agli investitori e a stimolare l’innovazione e la domanda di tecnologie a basse emissioni di carbonio, sostenendo in tal modo gli sforzi per costruire un’economia europea più competitiva, sostenibile e sicura in materia di energia. Il quadro strategico per il 2030 si avvarrà dell’esperienza e degli insegnamenti tratti dal precedente quadro per il 2020, indicando dove sia possibile apportare miglioramenti. Contemporaneamente, la Commissione prenderà in considerazione i cambiamenti avvenuti dal 2020, quali ad esempio quelli nel sistema energetico e nell’economia, nonché gli sviluppi della situazione internazionale.

La relazione sui progressi nel campo delle energie rinnovabili (FER) indica che l’attuale quadro politico basato su obiettivi giuridicamente vincolanti per le energie rinnovabili si è tradotto in una forte crescita del settore fino al 2010, con una quota di rinnovabili per l’Unione pari al 12,7%. Per continuare a progredire e conseguire gli obiettivi fissati per il 2020, saranno necessari maggiori sforzi. Occorrerà uno sforzo particolare per creare certezze per gli investitori, riducendo gli oneri amministrativi e facendo maggiore chiarezza in materia di programmazione. No agli ostacoli agli investimenti nelle rinnovabili, e soprattutto no al blocco retroattivo degli incentivi. E' il monito lanciato dal commissario Ue all'energia Guenther Oettinger, che ha indicato come, rispetto ai dati 2011, i paesi Ue siano ''sulla strada giusta'' per raggiungere gli obiettivi prefissati. L'Italia nel 2010 era al 10,4% rispetto al 17% previsto per il 2020. E' pero' ancora necessario, evidenzia la Commissione, fare ''sforzi ulteriori'', in quanto dal 2010 la crisi e le lentezze nella trasposizione della direttiva Ue hanno fatto rallentare il passo. E soprattutto, ha sottolineato Oettinger, ''riteniamo che ci siano ancora stati membri che hanno ostacoli amministrativi enormi che tendono a bloccare gli investimenti'' nelle rinnovabili, perche' ''in alcuni paesi e' possibile bloccare gli incentivi in modo retroattivo''. E questo ''blocca gli investitori''.

mercoledì 27 marzo 2013

Il Parlamento europeo ha approvato la Roadmap 2050 su energia e clima

Il Parlamento europeo ha approvato la Roadmap 2050 su energia e clima

 (Fonte:InfoBuildEnergia.it)




La politica Ue su energia e clima non può rimanere fossilizzata sul 2020: come sarà il mix delle fonti nei decenni successivi? Quali strategie adotterà Bruxelles per ridurre stabilmente le emissioni inquinanti? Per dare una prima risposta a queste domande il Parlamento europeo ha votato (337 favorevoli, 195 contrari, 37 astenuti) una risoluzione che appoggia la Roadmap 2050 della Commissione europea.
«Dobbiamo creare un equilibrio tra energia e ambiente», ha spiegato la relatrice del provvedimento, la greca Niki Tzavela. Campo libero, quindi, all'agenda per "decarbonizzare" il Vecchio Continente, con obiettivi per le fonti rinnovabili, l'efficienza energetica e la CO2, cercando di tracciare un quadro normativo "ambizioso e stabile", come si legge nel testo votato dagli euro deputati.
 
Verso il mercato unico dell'energia
Tale quadro dovrebbe includere innanzi tutto i progetti per nuove infrastrutture (elettrodotti e gasdotti), creando un mercato unico dell'energia a livello continentale.
Precedentemente il Parlamento europeo aveva varato il regolamento che velocizza l'approvazione dei progetti d'interesse comune nel settore energetico, con quattro anni al massimo per ottenere i permessi.
Il mercato unico, secondo Bruxelles, è indispensabile per aumentare la concorrenza tra operatori elettrici e del gas, ridurre le bollette pagate da famiglie e imprese, abbattere i colli di bottiglia transfrontalieri sulle reti esistenti.
 
Riqualificazione edifici e rinnovabili
I deputati ritengono che l'Europa dovrà sfruttare tutte le tecnologie per raggiungere gli obiettivi climatici dei prossimi decenni (abbattere fino al 95% le emissioni nocive nel 2050, in confronto al 1990): non solo le rinnovabili, ma anche la cattura della CO2 e il nucleare.
La risoluzione contiene diverse raccomandazioni; per quanto riguarda le misure di efficienza, gli eurodeputati suggeriscono di ridurre «il consumo energetico del parco immobiliare esistente dell'80% entro il 2050, rispetto ai livelli del 2010», attraverso la riqualificazione degli edifici.
Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, il testo propone una maggiore cooperazione tra gli Stati membri, per «diminuire i costi delle energie alternative e assicurare che gli investimenti siano effettuati nei settori più produttivi ed efficienti, considerando le specificità di ciascuno Stato».
In altri termini: stop agli incentivi a pioggia, sostegno alle tecnologie in grado di fornire energia pulita al minor costo possibile, integrando le diverse fonti su scala europea.
Si torna qui alla necessità di potenziare le infrastrutture, per collegare per esempio parchi eolici (tra cui quelli in cantiere nel Mare del Nord), centrali idroelettriche, impianti fotovoltaici.
 
Il peso dei combustibili fossili
Secondo la risoluzione, si dovranno stabilizzare le forniture di energia verde intermittente, come appunto quella eolica, grazie a reti più ampie in grado di gestire domanda e offerta di elettricità tra più Paesi, oltre a sistemi di stoccaggio dell'energia tra i quali gli stessi bacini idroelettrici.
 
Il traguardo è soddisfare il 55% dei consumi finali di energia con le rinnovabili nel 2050 (30% nel 2030).
Il Parlamento europeo, tuttavia, «riconosce che i combustibili fossili convenzionali sono con ogni probabilità destinati a rimanere parte del sistema energetico, almeno nel corso della transizione verso un sistema a basse emissioni di carbonio».
Il gas, in particolare, «rappresenta un modo relativamente rapido ed economico per ridurre la dipendenza da altri combustibili più inquinanti», soprattutto con l'apertura del corridoio meridionale che porterà il metano dal Caspio all'Europa.
La tecnologia Ccs (Carbon capture and storage), si legge inoltre nel documento, «sviluppata in maniera economicamente efficiente, sicura e sostenibile, dovrà essere utilizzabile su scala commerciale quanto prima possibile», per mitigare l'impatto ambientale di centrali termoelettriche e industrie pesanti come acciaierie e stabilimenti petrolchimici.