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venerdì 24 gennaio 2014

Il semestre italiano all’Ue punta sulla riforma dell’Ets

Il semestre italiano all’Ue punta sulla riforma dell’Ets

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 
La riforma del mercato delle emissioni di carbonio (Ets) e la promozione dei carburanti “puliti” saranno al centro dell’attività del semestre italiano alla presidenza europea.

È quanto emerge dalla relazione programmatica 2014 della presidenza del Consiglio, in cui sono elencate le priorità che saranno affrontate a Bruxelles sotto la guida di Enrico Letta.

Nel documento è scritto che “senza un sistema Ets europeo solido gli Stati membri potrebbero essere indotti a orientarsi verso regolamentazioni alternative, frammentarie e più costose per raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale”.

La relazione programmatica aggiunge che ''le incertezze dell'Ets dell'Ue compromettono significativamente la possibilità di collegarlo ai sistemi nascenti e di accrescere la liquidità del mercato. Al fine di ripristinare la fiducia nel mercato del carbonio è urgente una riforma strutturale dell'Ets dell'Ue''.
Il documento spiega anche che ''il governo sarà impegnato per favorire un'approvazione in seconda lettura delle proposte di modifica delle direttive sulla qualità della benzina e del combustibile diesel e sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili”.

giovedì 28 novembre 2013

Inquinamento: Cina adotta sistema di scambio delle emissioni di CO2

(Fonte:GreenStyle.it-Marco Mancini)

 
 
 
Il governo cinese si oppone sempre a qualsiasi limite all’inquinamento stabilito dai trattati internazionali, ma questo non vuol dire che approvi l’aria irrespirabile delle sue città. Il popolo non ce la fa più a vivere in città super affollate e inquinate, in cui la cappa di smog non permette né di respirare né addirittura di vedere dall’altra parte della strada. Così adesso qualcosa si sta muovendo. L’ultimo provvedimento preso, in ordine di tempo, riguarda la città di Pechino ed è l’adozione del sistema dello scambio di emissioni.

Si tratta del cosiddetto “carbon trading scheme” teorizzato qualche anno fa, ma che nessun Paese vuole adottare a livello nazionale perché molto limitante per le proprie aziende. Il sistema viene applicato attualmente solo in determinati settori e prevede l’acquisto del diritto a inquinare da parte delle industrie che, per la loro attività, sono costrette a emettere ogni anno tonnellate di CO2.

Finora il sistema era stato adottato in Cina solo dalle città di Shenzhen e Shanghai, e così Pechino diventa la terza città cinese a provarlo.

Il sistema cinese è però particolare. Esso si basa sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per unità di PIL che è stata stabilita entro il 2020 nel 40-45% rispetto all’anno 2005. Lo scambio sarà ospitato dal CBEEX (China Beijing Environment Exchange), una specie di Borsa dove al posto delle azioni vengono scambiati diritti a inquinare. In totale circoleranno 40 mila permessi al costo di 50 yuan l’uno, corrispondenti a circa 6 euro ciascuno.

La principale acquirente è la compagnia statale Sinopec Corp., che si occupa di petrolio e gas e che ha già acquistato il 50% dei permessi circolanti facendo lievitare del 2% il prezzo degli altri. L’amministrazione cittadina si augura che con questa tecnica possa mantenere basse le emissioni delle centrali energetiche.

Tutte le centrali energetiche, tranne quelle a carbone. Incredibilmente queste industrie, che secondo i dati di Greenpeace sono responsabili del 60% delle morti premature del Paese, riceveranno permessi a inquinare per un totale del 99,9% della quota di emissioni del periodo 2009-2012 e li riceveranno ogni anno fino al 2015, quando la quota scenderà al 99,5%. Gli altri produttori riceveranno quote inferiori e se vorranno inquinare di più dovranno comprare nuovi permessi.

Come sempre a farne le spese non sono i grandi colossi, ma i poveri commercianti. Per combattere l’inquinamento infatti l’amministrazione di Pechino ha costretto gli oltre 500 cuochi ambulanti dotati di barbecue a chiudere bottega perché emettevano troppo. Decisamente l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 25% entro il 2017 non si potrà avere spegnendo qualche fornello e concedendo alle grandi industrie di continuare a inquinare come prima.

lunedì 18 novembre 2013

Summit di Varsavia: le posizioni delle nazioni su clima e CO2

(Fonte:greenStyle.it-marco Mancini)

 
 
Il summit di Varsavia, un incontro organizzato dall’ONU per cercare di conciliare le varie posizioni dei Paesi mondiali sul tema della riduzione dell’inquinamento e dello sfruttamento delle risorse, entra oggi nel vivo.

Iniziato l’11 novembre scorso, mai come quest’anno il summit COP diventa decisivo per il futuro dell’ambiente mondiale. Soprattutto viste le posizioni che sembrano sempre più inconciliabili tra le nazioni che vogliono fare la loro parte e quelle che invece non ne vogliono sapere, giustificandosi con la crisi economica che non consente limitazioni al mercato. Queste le posizioni al momento:
  • Europa: La posizione europea è come sempre la più conciliante. Connie Hedegaard, Commissario Europeo per il Clima, chiede unità a tutti i Paesi nonostante la difficile situazione economica, per confermare gli impegni presi sul taglio delle emissioni della CO2 e magari anche migliorando gli impegni. La richiesta che i principali attori in questione fanno è di prendere impegni precedenti al 2020, ma già entro il 2015, puntando su risparmio energetico, rinnovabili, eliminazione degli HFC (gas fluorurati), modifica dei sussidi alle fonti fossili e nuovi limiti alle emissioni del settore trasporti.
  • Stati Uniti: Gli States continuano con la loro teoria di non intervento sul mercato. Non vogliono porre limiti troppo stringenti alle emissioni, pur riconoscendo l’importanza di questa finalità. Per questo promuovono la ricerca sul cosiddetto carbone pulito e sui sistemi di recupero e stoccaggio della CO2. Continua inoltre la politica dello shale gas che Obama non sembra intenzionato ad abbandonare. La road map futura prevede di mandare in “pensione” le centrali più vecchie e sostituirle con quelle più efficienti. L’unico obiettivo posto al 2015 è la chiusura di 205 centrali a carbone obsolete.
  • Cina: La posizione della Cina è molto vicina a quella degli Stati Uniti, con la differenza che, al posto dello shale gas, si punta maggiormente su rinnovabili e nucleare. Il carbone resta però centrale. L’idea del governo cinese è di aprire 3 centrali al mese da qui al 2022. Dopo il 2015 però il piano energetico quinquennale potrebbe essere rivisto.
  • India: L’India non vuol sentire nemmeno nominare le limitazioni alle emissioni. Anzi, nonostante siano stati avviati importanti progetti in particolare sul solare, il suo futuro sarà basato sul carbone, tanto che, secondo le previsioni, nel giro di pochi anni diventerà il secondo Paese importatore al mondo.
  • Giappone: Dopo il disastro di Fukushima il Paese nipponico rivede al ribasso le sue previsioni. Visto che sta facendo a meno del nucleare, che da solo copriva il 30% del fabbisogno energetico nazionale, il dover attingere a petrolio e carbone per garantire elettricità alla sua popolazione costringe il Governo giapponese ad abbassare i limiti alle emissioni. Entro il 2020 porrà il limite ad appena il 3,8% rispetto all’anno 2005 (la richiesta iniziale era il 20% rispetto al 1990). Praticamente l’apporto alla causa sarebbe nullo.
  • Australia: Nemmeno l’Australia ha intenzione di porre limiti alle emissioni. Punterà su un mix di rinnovabili e carbone, ma il Governo ha annunciato di voler abrogare la carbon tax.
  • Agenzia internazionale dell’energia (IEA): Oltre alle nazioni ci sono anche gli organismi internazionali da considerare. La IEA si oppone alla limitazione dei combustibili fossili e in particolare proprio sul carbone, in quanto è convinta che la richiesta in tutto il mondo di questo combustibile sia destinata a salire almeno fino al 2035. Con tutte le emissioni che ciò comporta. Anche se è favorevole allo sviluppo delle rinnovabili, la IEA continua ad appoggiare il mercato dei fossili. Semmai l’impegno si deve spostare, secondo l’agenzia, sui metodi di produzione dell’energia attraverso il carbone che, se fossero più efficienti, ridurrebbero ugualmente le emissioni.

A poco serviranno gli appelli degli scienziati che dimostreranno come stiamo sforando il tetto dell’innalzamento della temperatura di 2 gradi e che, di questo passo, il riscaldamento globale sarà catastrofico. L’unico punto su cui quasi tutte le nazioni concordano è di investire in tecnologie meno inquinanti.

Di porre limiti alle emissioni non se ne parla nemmeno. Dopotutto il fatto che ci saranno il 30% di Ministri dell’Ambiente in meno rispetto agli altri meeting del passato (65 membri in meno rispetto a Doha) la dice lunga sulla posizione di molti Paesi sui temi ambientali.

lunedì 14 gennaio 2013

Emissioni: ancora pochi investimenti nella prevenzione

Emissioni: ancora pochi investimenti nella prevenzione

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
Le imprese continuano a effettuare investimenti per rimuovere l'inquinamento dopo che questo è stato prodotto, anzichè integrare i propri impianti con tecnologie più pulite che contribuiscono a proteggere l'ambiente dagli effetti negativi del processo produttivo. Questo è ciò che rileva il rapporto "Gli investimenti per la protezione dell'ambiente delle imprese industriali" pubblicato dall'Istat e relativo all'anno 2010 secondo il quale in quell'anno gli investimenti per il trattamento dell'inquinamento a valle dei processi produttivi, il cosidetto 'end-of-pipe', 1,4 miliardi di euro, sono ancora la componente più rilevante degli investimenti per la protezione dell'ambiente, con un incidenza del 74,8% sul totale, contro il 25,2% degli investimenti integrati, 485 milioni di euro, collegati a tecnologie più avanzate.

Il segmento delle piccole e medie imprese realizza una quota più elevata di investimenti integrati sul totale degli investimenti ambientali (36,8%) di quella realizzata dalle grandi imprese (22,6%). In termini assoluti nelle piccole e medie imprese si registra una diminuzione della spesa in investimenti integrati (-11,6% rispetto al 2009), mentre nelle grandi la spesa èin aumento (+ 26,8% rispetto al 2009). 'incidenza della spesa per la gestione dei rifiuti è diminuita (11,2% contro 12,4% del 2009) mentre risultano complessivamente in crescita (dal 38,6 al 39,8%) le spese nelle attività di protezione e recupero del suolo e delle acque di falda e superficiali, nell'abbattimento del rumore, nella protezione del paesaggio e protezione dalle radiazioni e nelle attività di ricerca e sviluppo finalizzate alla protezione dell'ambiente.