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lunedì 4 novembre 2013

Se la crisi favorisce la mobilità alternativa

Se la crisi favorisce la mobilità alternativa

(Fonte:Rinnovabili.it)
 
 
 
 
La passione degli italiani per le quattro ruote contraddistingue da sempre il Belpaese. L’appeal rimane forte anche in tempi di crisi come quelli odierni, ma l’interesse assume diverse sfumature rispetto a quelle che hanno caratterizzato gli anni passati. Secondo i dati presentato giovedì dal IV Osservatorio Deloitte sull’Auto Elettrica a Milano, la mobilità nazionale sta lentamente mutando; la contingente crisi economica sta decisamente cambiando le preferenze e le abitudini di trasporto e di spesa degli italiani, nonostante l’auto privata rimanga per oltre il 60% degli intervistati il mezzo di trasporto preferito. Se da una parte l’85% del campione intervistato ha dichiarato di aver guidato meno nell’ultimo periodo a causa dell’ elevato prezzo del carburante, dall’altra c’è chi per risparmiare sui costi del carburante (50%) ha affermato che acquisterebbe un’autovettura con propulsione alternativa.


I consensi maggiori ovviamente vanno al GPL la forma d’alimentazione diversa dalla benzina più conosciuta (54%); seguono i veicoli a batteria (46%), quelli ibridi (40%) e infine i mezzi dotati di cella a combustibile (31%). A rafforzare il nuovo trend di consensi nei confronti della mobilità sostenibile c’è anche la testimonianza del 21% del campione che si vede alla guida di un “veicolo alternativo” entro 5 anni. “In effetti osservando i dati di vendita del 2013 ad oggi si registra un aumento importante delle immatricolazioni di veicoli ad alimentazione alternativa”, spiegano gli intervistatori. “Da gennaio i veicoli a metano sono aumentati del 30%, mentre la presenza delle auto ibride sul territorio nazionale è cresciuta addirittura del 141%. Per quanto riguarda invece i veicoli elettrici le auto vendute sono state 588 (+64% rispetto alle vendite registrate nello stesso periodo del 2012)”.

sabato 14 settembre 2013

Clima, energia e crisi: la posta in gioco sull'obiettivo Ue 2030

Clima, energia e crisi: la posta in gioco sull'obiettivo Ue 2030

(Fonte:QualEnergia.it-Mauro Albrizio e Francesco Ferrante)
 
 
 
 
I prossimi mesi saranno cruciali per la definizione del futuro quadro strategico europeo post-2020 su clima ed energia. I governi nazionali sono chiamati a fare le prime scelte sulla base del Libro Verde della Commissione, che traccia le possibili politiche comunitarie al 2030, in preparazione delle proposte legislative previste entro la fine dell’anno e delle decisioni da prendere al Consiglio europeo del prossimo marzo 2014.

In Europa la strada è tracciata: l’urgenza dei cambiamenti climatici in corso esige la necessità di obiettivi europei ambiziosi, coerenti e legalmente vincolanti per la riduzione delle emissioni di gas-serra, per la crescita delle energie rinnovabili e l’efficienza energetica. L’Unione europea, secondo recenti studi, entro il 2030 deve raggiungere almeno il 55% di riduzione delle emissioni per contribuire a evitare la crisi climatica. E per una reale transizione verso un sistema energetico a zero emissioni di carbonio, l'Europa entro il 2030 deve nello stesso tempo raggiungere il 45% di energia rinnovabile e tagliare il consumo di energia del 40%.

Obiettivi che il nostro governo dovrebbe sostenere con forza perché peraltro qui si gioca anche la possibile competition a livello globale. Il quadro di riferimento per il 2030 deve riflettere l’urgente bisogno di una forte azione contro i mutamenti climatici in corso. Come evidenziano persino i recenti rapporti della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, le nostre economie saranno fortemente colpite se saranno adottate politiche climatiche ed energetiche insufficienti a fronteggiare i cambiamenti climatici in corso, e invece potranno avere rilevanti benefici da politiche che imbocchino con decisione ed efficacia la strada dell’innovazione e del low carbon.

Per questo occorre un approccio coerente e ambizioso che richiede obiettivi legalmente vincolanti sia per la riduzione delle emissioni di gas-serra, che per le rinnovabili e l’efficienza energetica. Il solo obiettivo di riduzione delle emissioni di gas-serra non è sufficiente a stimolare i necessari investimenti per le rinnovabili e l’efficienza energetica. Qui si gioca una partita fondamentale e sarebbe davvero importante che per una volta nel Governo italiano prevalesse la linea più responsabile e avanzata rappresentata dal Ministero dell’Ambiente e non, come purtroppo troppo spesso accade, quella del Ministero dello Sviluppo Economico condizionata da quella parte di industria più arretrata e refrattaria all’innovazione.

Per raggiungere gli obiettivi climatici europei è infatti indispensabile una forte trasformazione del sistema energetico con una significativa aumento dell’efficienza e una forte espansione delle fonti rinnovabili. Il livello di ambizione degli obiettivi climatici ed energetici deve essere coerente con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas-serra di almeno il 95% al 2050, con una condivisione degli impegni di riduzione a livello nazionale fondata sulle possibilità dei singoli Stati membri. Per questo sarebbe indispensabile un ruolo attivo dell’Italia per assicurare che l’obiettivo di efficienza energetica, insieme a quelli per la riduzione delle emissioni e per le rinnovabili, sia legalmente vincolante.

Il processo verso un’economia europea a basse emissioni di carbonio può creare nuove opportunità economiche dal punto di vista dell’occupazione, dell’innovazione e dello sviluppo di tecnologie pulite.

L’Europa ha il più grande deficit commerciale al mondo per quanto riguarda l’energia. Lo scorso anno ammontava a ben 423 miliardi di euro. Secondo recenti analisi è possibile ridurre al 2030 il consumo di combustibili fossili di 550 Mtep. Solo con il risparmio energetico si può ridurre il deficit di ben 239 miliardi di euro entro il 2030.

Un contributo importante può venire anche dal settore delle rinnovabili. Grazie al raggiungimento dell’attuale obiettivo legalmente vincolante del 20% si prevede un incremento netto del PIL europeo dello 0.25% al 2020 e dello 0.45% passando al 45% al 2030. Con un impatto occupazionale rilevante. Dagli attuali 1.2 milioni di occupati si passa a 2.7 milioni nel 2020 e 4.4 milioni nel 2030.

Insomma, come abbiamo detto tante volte, politiche efficaci contro i cambiamenti climatici, di sostegno alle rinnovabili e all’efficienza non solo comporterebbero una riduzione delle emissioni e una maggior tutela dell’ambiente e della salute, ma sarebbero anche la via migliore per affrontare la crisi economica.

lunedì 1 luglio 2013

Fotovoltaico: per ABB il mercato globale crescerà del 10%

(Fonte:GreenStyle.it-Silvana Santo)

 
 
 
Buone notizie in tema di fotovoltaico. Una rarità, negli ultimi tempi, vista la grave crisi che ha colpito il comparto in Europa e non solo. Maxine Ghavi, capo del settore solare del gruppo svizzero ABB, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt che il mercato globale dell’energia solare dovrebbe crescere fortemente nei prossimi anni e ha espresso fiducia che il fotovoltaico attraverserà un lungo periodo di stabilità.

Sarà per questo che negli ultimi mesi ABB ha ampliato le proprie attività nel fotovoltaico: in aprile, il marchio ha acquisito, per 1 miliardo di dollari, l’azienda produttrice di inverter Power-One, con sede in California. Una scelta in controtendenza, visti i sempre più frequenti casi di abbandono del comparto da parte di grandi aziende internazionali.

Inoltre, l’azienda ha recentemente annunciato l’intenzione di espandere gli impianti di produzione di inverter in Sud Africa e India, oltre a quelli già esistenti in Estonia e in Cina. Una strategia che si spiega col fatto che, sempre secondo Ghavi, il mercato globale del fotovoltaico crescerà di oltre il 10% nei prossimi anni.

Ha dichiarato il responsabile di ABB:

Con Power-One, abbiamo comprato un produttore di inverter solari. Essi rappresentano il cervello di un impianto fotovoltaico, per cui c’è un basso rischio che questi dispositivi diventino prodotti di massa relativamente economici. Certamente non vogliamo investire in pannelli solari.

giovedì 18 aprile 2013

L’Italia oltre la crisi. L’analisi e le proposte di Legambiente

 L’Italia oltre la crisi. L’analisi e le proposte di Legambiente

(Fonte:Edilportale.it-Rossella Calabrese)
Città soffocate da traffico e smog, raccolta differenziata che arranca, dissesto idrogeologico, mobilità privata ai vertici, abusivismo edilizio, disoccupazione, ecomafie che continuano a realizzare business milionari. Ma anche energie rinnovabili in aumento, meno rifiuti e gas serra, più biciclette vendute.

È un bilancio comunque di crisi quello tracciato da “L’Italia oltre la crisi, edizione 2013”, il rapporto realizzato da Legambiente in collaborazione con l’Istituto Ambiente Italia, che ha analizzato gli ultimi dieci anni di “non governo” del territorio e di politiche sociali attraverso una serie di indicatori sociali e ambientali per poi avanzare proposte concrete per avviare un’economia low carbon attenta alle persone e ai territori.

Il nuovo rapporto è stato presentato martedì a Roma, alla presenza di Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente, Edoardo Zanchini, vice presidente Legambiente, Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd, Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia, e i Deputati Giulio Marcon e Gea Schirò.

“Questa crisi è figlia di politiche scellerate che hanno considerato l’ambiente come un freno per lo sviluppo economico o un lusso da rinviare a tempi migliori - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Dalla crisi che sta attraversando il Paese invece si potrà uscire solo con idee differenti e con il coraggio di cambiare sul serio”. “Oggi c’è una sola ricetta per uscire dalla crisi - ha proseguito -, ed è quella di una Green economy che incrocia le domande e i problemi dei territori, i ritardi del paese e le paure del futuro, le risorse e le vocazioni delle città e che vuole rimettere al centro la bellezza italiana”.

“Forse addirittura più grave della crisi economica è la mancanza di idee per cambiare la situazione attuale, per restituire una speranza ai precari, ai giovani senza lavoro, a chi vive in città inquinate - ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini -. Non possiamo accontentarci di un dibattito politico senza sbocchi tra tagli alla spesa pubblica e agli investimenti e promesse su Imu, Iva e Irpef. C’è invece bisogno di un cambiamento radicale. Servono risorse per la ricerca, la cultura, l’istruzione e per la messa in sicurezza del territorio in modo da dare all’Italia gli strumenti per uscire dalla crisi. Non è un sogno, ma una prospettiva lungimirante che passa per l’aumento della fiscalità sulle risorse energetiche, togliendo tutti i sussidi alle fonti fossili, in modo da ridurla sul lavoro, e per una tassazione finalmente adeguata e trasparente sulle risorse ambientali e i beni comuni (dal consumo di suolo ai materiali di cava, all’imbottigliamento di acque minerali alle spiagge), spingendo sul ripristino della legalità e fermando lo sperpero di denaro pubblico destinato a inutili e devastanti grandi opere”.

“Misurata sugli 8 indicatori quantitativi dell’Agenda Europa 2020 - ha dichiarato Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia -, l’Italia mostra una forte debolezza rispetto a molte altre società europee soprattutto sul fronte dell’inclusione sociale e della costruzione di una "economia della conoscenza” fondata sull’innovazione tecnologica e scientifica. Ma anche una (inattesa) opportunità sotto il profilo ambientale. Noto - e peggiorato - risulta il gap con gli altri paesi nella spesa in ricerca e sviluppo e nella presenza di industrie e servizi ad alto contenuto tecnologico. Ed è preoccupante che questo avvenga anche nei settori dove oggi l’industria italiana è tra i leader europei: nelle energie rinnovabili (ha il 13% del fatturato europeo ma genera meno del 6% dei brevetti)”.

Limitandoci ad alcuni dei temi affrontati nello Studio, emerge che nel 2012 è proseguita la discesa dei consumi energetici nazionali. La crisi economica e le condizioni meteorologiche sono importanti fattori della riduzione ma la riduzione è anche il segno dell’introduzione di misure di efficienza energetica che hanno portato i consumi a valori inferiori a quelli del 2000. Il petrolio resta ancora la principale fonte (37,5%), essenzialmente per gli usi come carburante. Il 35% dei consumi derivano dall’impiego di gas naturale mentre il 13,3% è dato dalle rinnovabili e il 9% dall’uso di carbone.

Nel bilancio energetico nazionale cresce la produzione da fonti rinnovabili, quasi raddoppiata rispetto a 10 anni orsono. Nella produzione elettrica nazionale, al 2012 le fonti rinnovabili valgono per il 28% della produzione e sono ancora in rapidissima crescita la produzione eolica (+34%) e quella fotovoltaica (+72%).

Per quel che riguarda l’annoso problema (tutto italiano) dell’abusivismo edilizio, grazie ai reiterati annunci di condono edilizio e alla scarsa attuazione della politica degli abbattimenti, il fenomeno è passato dalle 25 mila infrazioni del 2001 alle 27 mila attuali mentre il business totale delle ecomafie è aumentato dai 14,3 miliardi di euro del 2001 ai 16,6 miliardi di euro del 2011.

In tema di dissesto idrogeologico, se fino al 2000 le alluvioni e le frane coinvolgevano mediamente 4 regioni ogni anno, negli ultimi dieci anni il numero di territori coinvolti è raddoppiato, passando a 8. Così come sono aumentati i fenomeni meteorici che prima risultavano eccezionali. Nel contempo però la prevenzione tarda ad arrivare. Negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino (PAI), per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro. Decisamente troppo pochi se si considera quanto invece sono costati, in termini di danni, i dissesti che si sono verificati nel corso degli anni. Nell’ultimo ventennio i danni da frane ed alluvione corrispondono a circa 30 miliardi di euro (fonte: Ispra) e solo negli ultimi tre anni lo Stato ha speso circa un milione di euro al giorno per coprire solo parte dei danni provocati su tutto il territorio.

L’Italia oltre la crisi però guarda avanti e presenta una serie di idee e proposte per mettere in moto gli interventi indispensabili per cambiare il futuro.

1) Ridisegnare la fiscalità per spingere l’innovazione ambientale e creare lavoro
Fare delle emissioni di CO2 il criterio per ridefinire accise e Iva che gravano su impianti da fonti fossili, autoveicoli, prodotti e consumi; in questo modo si premia l’efficienza energetica e si spingono gli investimenti, generando nuove risorse da utilizzare per ridurre la tassazione sul lavoro. Rivedere canoni e tasse sull’uso dei beni comuni, intervenendo sui regimi di tutela, per uscire dallo scandalo della gestione di cave, sorgenti di acque minerali, discariche, spiagge. In modo da fermare gli abusi, ridurre gli impatti, premiare l’innovazione; recupero urbano invece del consumo di suolo. Per recuperare miliardi di Euro da utilizzare per interventi di riqualificazione ambientale e edilizia.

2) Fermare le ecomafie
L’ecomafia è la zavorra che impedisce concretamente alla Green economy di esprimere tutte le sue potenzialità. Sanzioni penali adeguate, misure preventive e patrimoniali, obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, ravvedimento operoso o, addirittura, non punibilità se l’artefice del danno all’ambiente si autodenuncia e poi bonifica l’area interessata: ecco quanto prevede la proposta di legge di Legambiente per l’inserimento dei delitti contro l’ambiente nel codice penale.

3) Rilanciare gli investimenti per rimettere in moto il Paese
Tornare a investire per rilanciare l’economia e creare lavoro fermando la politica di tagli trasversali e indiscriminati: le risorse per contrastare il dissesto idrogeologico, investire in ricerca e green economy, realizzare bonifiche partendo dai siti orfani, acquistare treni e autobus, si possono reperire cambiando le priorità di spesa e intervenendo con coraggio sulla spesa pubblica, dove vi sono enormi sperperi di risorse in mala gestione, grandi opere, sussidi alle fonti fossili, armamenti.

4) Premiare l’autoproduzione energetica da rinnovabili e la riqualificazione del patrimonio edilizio
La rivoluzione energetica è già in corso con una produzione arrivata al 28% dei consumi elettrici nel 2012, ma oggi si deve fare un passo avanti per aiutare famiglie e imprese premiando l’autoproduzione da fonti rinnovabili e la gestione di impianti efficienti e puliti attraverso smart grid private e facilitando lo scambio con la rete. Tutti interventi oggi vietati che aprirebbero prospettive straordinarie di riduzione dei consumi da fonti fossili; puntando alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio quale scenario per far uscire dalla crisi il settore delle costruzioni con nuove politiche che diano certezze agli investimenti per ridurre i consumi energetici nelle ristrutturazioni degli alloggi e dei condomini secondo il modello inglese del ‘green deal’.

5) Mettere al centro le città
Solo investendo nelle città l’Italia può riuscire a muovere un’innovazione che non rimanga un concetto vago e astruso. Ed è la qualità e quantità del welfare, dal trasporto pubblico agli asili, dall’istruzione alla cultura, a determinare la competitività di una economia e di un territorio. Per questo serve una regia e una politica nazionale, per non perdere le risorse dei fondi strutturali europei 2014-2020 e realizzare finalmente interventi di riqualificazione ambientale e sociale delle periferie, per la casa e la mobilità sostenibile.