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giovedì 21 novembre 2013

Onu, è rottura alla conferenza sul clima: gli ambientalisti abbandonano per protesta

Onu, è rottura alla conferenza sul clima: gli ambientalisti abbandonano per protesta

(Fonte:Repubblica.it-Antonio Cianciullo)
 
 
 
ALLA CONFERENZA Onu sul clima di Varsavia è rottura totale: gli ambientalisti hanno abbandonato per protesta i lavori dipingendo uno scenario disastroso. Mentre il mondo sperimenta in diretta il sapore del cambiamento climatico e gli eventi estremi mordono le Filippine, il Midwest americano, la Sardegna, sul ponte di comando della nave a cui è stata affidata la difesa del clima si guarda un altro film. Guidata dalla regia polacca, la conferenza Onu di Varsavia è troppo occupata ad ammirare le prospettive di crescita del carbone e dello shale gas per preoccuparsi dei disastri ambientali.

Le associazioni ambientaliste (dal Wwf a Greenpeace, da Friends of the Earth a Oxfam) e le confederazioni sindacali hanno sbattuto la porta dichiarando che i "negoziati sul clima sono una cosa molto seria e non si può trasformarli in burla". E' la prima volta che accade nella storia del negoziato che si è aperto nel 1992 a Rio de Janeiro con la firma della Convenzione per la difesa del clima: un processo che ha portato alla ratifica del protocollo di Kyoto ma che ora si infrange sul muro della gestione polacca della conferenza. "I primi due giorni della settimana decisiva, quella che si chiude domani, sono stati dedicati alla World Coal Association, cioè all'ode del carbone cosiddetto pulito, ignorando il semplice fatto che è proprio il carbone a farci pagare il prezzo maggiore in termini di vittime sia da smog sia da cambiamento climatico", accusa Mariagrazia Midulla, del Wwf.

Subito dopo questo biglietto da visita, il governo polacco ha completato il quadro delegittimando Marcin Korolec, il presidente della Conferenza: con un rimpasto gli è stata sottratta la poltrona di ministro dell'Ambiente e il dicastero che dovrebbe vigilare sulla difesa degli ecosistemi è stato affidato a uno strenuo sostenitore dello shale gas, una delle tecniche di estrazione degli idrocarburi più contestate per l'impatto ambientale che produce.

In questo quadro il Giappone ha annunciato una riduzione degli impegni volontari. Impegni volontari che a livello globale lasciano sostanzialmente inalterato lo scenario chiamato business as usual con le conseguenze precisate a chiare lettere dall'Ipcc, il gruppo di scienziati Onu che ha vinto il Nobel per la pace. In assenza di tagli rapidi e radicali delle emissioni di gas serra ci attende una crescita di temperatura devastante: attorno ai 4 gradi entro la fine del secolo. Ma per misurare il pericolo non c'è da attendere tanto: l'aumento dell'energia intrappolata in atmosfera è carburante prezioso per gli uragani che, alla varie latitudini e sotto vari nomi, stanno diventando una presenza sempre più allarmante. Un vicino con il quale è molto difficile convivere.

La trattativa ha ancora una strettoia attraverso la quale far passare la speranza di poter mantenere un pianeta più sicuro per la specie umana. Ma sul fronte politico l'Unione europea si trova piuttosto isolata (a Varsavia il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando ha ribadito l'adesione italiana alla definizione di obiettivi europei avanzati per il 2030). E la speranza finisce così per essere affidata quasi esclusivamente al mercato: le fonti rinnovabili e le politiche di efficienza conquistano spazi sempre più consistenti nei paesi a industrializzazione matura. Ma i benefici vengono completamente annullati dalla crescita impetuosa e ad alto impatto ambientale delle aree del mondo in cui la lotta contro la fame impedisce di guardare lontano. La politica a livello globale sembra essersi arresa rimandando tutti gli impegni a un piano che dovrà essere definito entro il 2015 per entrare in vigore nel 2020. Tra molti uragani.

giovedì 6 giugno 2013

Della Seta: "In Italia arretratezza dibattito su rinnovabili"

 Della Seta: "In Italia arretratezza dibattito su rinnovabili"

 (Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 Il politico ambientalista commenta per zeroEmission gli articoli contro rinnovabili, mobilità elettrica e Protocollo di Kyoto pubblicati ieri e oggi sul Corriere della Sera.
 
"Mi è sembrato di sfogliare un giornale di una decina di anni fa". Questo il commento di Roberto Della Seta ai due articoli a firma di Danilo Taino, pubblicati ieri e oggi sul più diffuso quotidiano di informazione nazionale, il Corriere della Sera. "Articoli anacronistici - spiega ancora Della Seta - sia sul tema dei cambiamenti climatici in atto, sia sul tema del futuro dell'energia e delle rinnovabili. Viene citato, ad esempio, Biorn Lomborg, scienziato le cui teorie hanno avuto larga visibilità molti anni fa, ma che oggi sono state ampiamente confutate". Politico e giornalista, a lungo dirigente di Legambiente, Della Seta ha scritto saggi sulla storia del pensiero e del movimento ambientalisti, nel 2007 è stato eletto nell'assemblea costituente del Partito Democratico e, nel 2008, Senatore. Nella XVI Legislatura ha fatto parte della Commissione Ambiente del Senato, dove ha ricoperto l'incarico di capogruppo del PD.

"Sono stato molto dispiaciuto di leggere un articolo come quello di Taino, perchè mi è sembrato un'altra occasione persa per fare informazione e per dire cose contemporanee sul modo migliore per affrontare sfide importanti, come quella dello sviluppo delle fonti rinnovabili e della lotta ai cambiamenti climatici - aggiunge Della Seta - definire fallimento la parabola del fotovoltaico italiano e falso e insostenibile. E' la dimostrazione di quanto sia triste e preoccupante l'arretratezza del dibattito culturale sui temi ambientali nel nostro Paese". Nonostante sia stato ampliamente smentito, non si perde occasione per dare la colpa del costo della bolletta energetica agli incentivi alle fonti rinnovabili. "Anche in questo caso si tratta di stupidaggini - risponde Della Seta - sicuramente esiste il problema dell'aggiornamento della struttura degli incentivi al fotovoltaico, ma le cose stanno evolvendo in fretta. In passato, è vero, gli incentivi sono stati spesso eccessivi, in parte perchè partiti in ritardo e senza una programmazione di lungo periodo, e questo ha magari portato a qualche incursione speculativa nel settore, ma il costo della bolletta non è attribuibile agli strumenti di incentivazione. Oggi, gli incentivi sono stati ridotti molto e dovranno accompagnare il settore alla grid parity. Si deve decidere se l'indipendenza energetica è ancora una priorità per il nostro Paese. Se sì, come crediamo tutti, allora è necessario discutere con la giusta intelligenza su quali strumenti scegliere per raggiungerla".

Secondo Della Seta, dietro questi continui attacchi alle rinnovabili, però, non ci sarebbe una volontà esplicita di fare disinformazione. "Le teorie del complotto non mi hanno mai divertito - conclude - la cosa reale, però, è la crisi che stanno vivendo molti dei grandi produttori di energia tradizionale. Con la crisi che ha diminuito i consumi energetici e con il contributo crescente delle rinnovabili, ci sono sempre più impianti termoelettrici o centrali a ciclo combinato che non lavorano. Enel, ad esempio, ha investito molto nella riconversione a carbone di centrali come quelle di Civitavecchia e Porto Tolle che oggi sono poco produttive. Diciamo che i maggiori quotidiani nazionali sono un po' lo specchio di questi malumori".

martedì 19 marzo 2013

Emissioni: l'Italia centra gli obiettivi di Kyoto

Emissioni: l'Italia centra gli obiettivi di Kyoto

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
L’Italia ha ridotto le emissioni di gas serra del 7% nel periodo 2008-2012 rispetto ai valori del 1990, riducendole di mezzo punto percentuale in più rispetto all’obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto al 6,5%. E’ quanto emerge dal Rapporto di Fondazione per lo Sviluppo sostenibile presentato recentemente. “L’aver centrato gli obiettivi di Kyoto è un segnale importante per l’Italia, l’indicazione puntuale che il percorso di decarbonizzazione dell’economia italiana è stato avviato e deve proseguire secondo le linee indicate dal piano nazionale definito dal Governo per raggiungere gli obiettivi già fissati in sede europea al 2020 e al 2030” ha affermato il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, a commento dei dati del ‘Dossier Kyoto 2013’.

“Certamente – ha aggiunto Clini – sul calo delle emissioni ha influito negli ultimi anni la crisi economica con la contrazione delle attività industriali, ma la tendenza alla riduzione dei gas serra era già emersa chiaramente in precedenza a testimonianza dell’efficacia delle politiche di efficienza energetica e di promozione delle energie rinnovabili avviate dall’Italia”. Secondo il ministro “Siamo davanti a una trasformazione culturale e tecnologica dei sistemi produttivi ma anche degli stili di vita. La riduzione del carico per l’ambiente delle attività civili e produttive è diventata una filosofia di sviluppo socio-economico che sta pervadendo con un virtuoso effetto domino tutta la società diventando ‘valore’, non solo etico ma anche economico e commerciale”. In base al Dossier Kyoto la media di emissioni annue dell’Italia negli ultimi cinque anni è di circa 480 milioni di tonnellate (a fronte di un limite di 483 imposto dal Protocollo). I prossimi obiettivi di riduzione fissati dalla road map europea prevedono un maggiore sforzo, per adeguarsi alle indicazioni che prevedono emissioni per 440 milioni di tonnellate di CO2 nel 2020 e per 370 nel 2030. In ambito internazionale, i paesi industrializzati soggetti agli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra, in media hanno diminuito le emissioni di circa il 9%.

venerdì 15 febbraio 2013

L’Italia centra Kyoto: emissioni di gas serra a -7%

L’Italia centra Kyoto: emissioni di gas serra a -7%

(Fonte:QualEnergia.it)
 
 
L’Italia ha centrato il target nazionale di riduzione delle emissioni di gas serra fissato dal Protocollo di Kyoto nel 6,5% rispetto al valore 1990 come media del periodo 2008-2012, addirittura arrivando a una riduzione del 7%. Questo quanto emerge dal “Dossier Kyoto 2013”, realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (vedi allegato), che traccia anche un bilancio del Protocollo, la cui storia si è conclusa con il periodo di verifica 2008-2012.

Secondo le stime della Fondazione, nel 2012 le emissioni di gas serra dell’Italia si sono attestate attorno a 465-470 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (MtCO2eq), oltre 20 milioni in meno rispetto al 2011. La media annua del periodo di verifica 2008-2012 risulta così di circa 480 MtCO2eq, pari a una riduzione di oltre il 7% rispetto al 1990, una percentuale superiore, quindi, rispetto al target posto dal Protocollo, che per l’ Italia stabiliva il limite delle emissioni medie annue 2008-2012 di 483,3 MtCO2 eq, cioè pari a -6,5% sul 1990.

Su questo risultato ha certamente pesato la crisi economica. Tuttavia, analizzando i dati degli ultimi 7-8 anni, è evidente il netto miglioramento delle performance ambientali del sistema economico nazionale. Un miglioramento confermato dagli indicatori di intensità carbonica ed energetica del PIL, che proprio negli ultimi anni registrano tassi crescenti di riduzione delle emissioni di gas serra e dei consumi energetici per unità di Prodotto interno lordo. Un’accelerazione che corrisponde al recente cambio di passo nel campo delle politiche sulle fonti rinnovabili, il cui contributo è raddoppiato in cinque anni, e sull’efficienza energetica, che ha consentito una riduzione della domanda energetica stimata tra 5 e 15 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.

“Quindici anni fa, quando fu firmato il Protocollo di Kyoto - ha osservato il Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Edo Ronchi - in Italia c’era una forte divisione fra chi sosteneva che non fosse necessario e avrebbe comportato solo costi rilevanti e chi riteneva che fosse necessario ridurre le emissioni di gas serra e che questo impegno avrebbe prodotto opportunità largamente prevalenti e non solo ambientali. Facendo oggi, molti anni dopo, un bilancio, si può dire che le analisi del partito del ‘Protocollo, costo elevato non necessario’, erano completamente sbagliate sia dal punto dal vista economico (si è raggiunto l’obiettivo senza costi insostenibili), sia ambientale (i gas serra, ormai sono tutti d’accordo, sono alla base della grave crisi climatica)”.

Il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo è il frutto non solo di politiche e misure di settore, come quelle sugli incentivi alle fonti rinnovabili e agli interventi di efficientamento negli edifici, ma anche di più ampio processo di dematerializzazione dell’economia in corso, guidato dalla diffusione di prodotti e servizi a minore intensità di consumo di risorse ed energia, come anche a comportamenti individuali più sensibili ai temi della tutela ambientale e del risparmio. In Italia la produttività dei materiali, ossia la quantità di ricchezza generata per unità di risorsa consumata, tra il 2000 e il 2009 è cresciuta di circa un terzo, da 1,5 a oltre 2 euro per kg di materia consumata dall’economica nazionale.



Naturalmente su questo gioca un ruolo non secondario il costo crescente delle materie prime e, in particolare, dei combustibili fossili, con una fattura energetica che nel 2012 è arrivata a 65 miliardi di euro, il 4% del PIL, a causa di un costo medio dell’energia da carbone, petrolio e gas passato in appena un decennio da 200 a oltre 450 euro per tonnellata equivalente di petrolio (tep). Senza la crescita delle rinnovabili e dell’efficienza energetica l’Italia pagherebbe oggi una fattura energetica ben più salata.

Allargando lo sguardo al di fuori dell’Italia emerge che i paesi industrializzati dell’Annesso I del Protocollo di Kyoto (inclusi gli Stati Uniti, unico tra i paesi industrializzati a non aver ratificato), responsabili nel 1990 di oltre la metà delle emissioni mondiali di gas serra e soggetti ad obblighi di riduzione, tra il 1990 e il 2010 hanno diminuito le proprie emissioni di quasi il 9%: da 19 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente (GtCO2eq) a 17,3 miliardi.

È molto probabile che i dati definitivi relativi agli ultimi due anni confermeranno il rispetto dell’obiettivo finale del Protocollo, pari a una riduzione delle emissioni rispetto al 1990 di almeno 5,2% come media del periodo 2008-2012. Ciò nonostante, a causa dell’inaspettata e tumultuosa crescita dei paesi emergenti, in primo luogo la Cina, il modello del Protocollo di Kyoto è risultato inadeguato rispetto all’obiettivo principale della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici dell’Onu: la stabilizzazione delle concentrazioni in atmosfera di gas serra a livelli non pericolosi. Infatti, dal 1990 al 2010 le emissioni mondiali sono cresciute di oltre il 35%, passando da 37 a quasi 50 GtCO2eq. Se tale trend venisse confermato, entro il 2050 si supererebberogli 80 GtCO2eq, con un conseguente aumento della temperatura media terrestre di 4°C, ben oltre i 2°C indicati come soglia di sicurezza dalla comunità scientifica internazionale.

Come sarà possibile quindi raggiungere il necessario risultato consistente di riduzione delle emissioni mondiali? Non con il Protocollo di Kyoto che ha ormai chiuso la sua storia. Non sono convincenti i tentativi di tenerlo formalmente in vita da parte di un gruppo di paesi che, dopo ulteriori defezioni (compreso quello che ha dato il nome al Protocollo, il Giappone), rappresentano solo il 15% delle emissioni mondiali. L’attenzione oggi si sposta sulle trattative in corso per definire il prossimo accordo globale sul clima, da definire entro il 2015, e che presumibilmente produrrà riduzioni a partire dal 2020. Oramai archiviato il Protocollo di Kyoto, dunque, l’Italia deve guardare agli impegni che verranno, a cominciare da quelli fissati dall’Europa al 2020, su cui peraltro il paese si mostra abbastanza in asse. Ma secondo la Fondazione bisogna spingersi ancora oltre. Per incrementare il proprio contributo alla lotta ai cambiamenti climatici e diventare protagonista della crescita della green economy in Europa e nel mondo, l’Italia dovrà allinearsi alle indicazioni della Roadmap 2050 presentata dalla Commissione europea: secondo l’analisi della Fondazione ciò significherà ridurre le attuali 465/470 MtCO2eq a 440 nel 2020 e a 370 entro il 2030. Obiettivi ambiziosi ma non impossibili.

giovedì 7 febbraio 2013

Efficienza energetica, Ferrante: "Settore decisivo per il futuro"

Efficienza energetica, Ferrante: "Settore decisivo per il futuro"

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
Il senatore del Pd e vicepresidente del Kyoto club: "Il decreto sul conto termico va nella direzione giusta, ma si potrebbe fare di più specie nel campo dei certificati bianchi, che così come sono non paiono ancora abbastanza convenienti".
Rinnovabili termiche e efficienza energetica per il futuro dell'Italia. Ne è convinto il senatore del Pd Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto club, che ha presenziato all'incontro tenutosi oggi al Gse per il Coordinamento Free (Fonti rinnovabili ed efficienza energetica), il neonato soggetto che raccoglie ben 22 associazioni del settore. "Sono due i settori dove si deve giocare la sfida decisiva per raggiungere gli obiettivi europei del 20-20-20 e costruire sviluppo e occupazione: l’efficienza energetica e le rinnovabili termiche - ha detto Ferrante - il settore elettrico, nonostante tutti i danni causati dagli ultimi due governi, può presentare numeri positivi rispetto agli obiettivi da raggiungere visto che lo scorso anno con una produzione di 80 TWh l’Italia è già arrivata al 28% dei consumi totali, ma se non si implementa l’utilizzo delle rinnovabili termiche e la diffusione dell’efficienza energetica i target europei al 2020 sono irraggiungibili".

"Il recente decreto sul conto termico va nella direzione giusta - continua Ferrante - ma si potrebbe fare assai di più specie nel campo dei certificati bianchi, che così come sono non paiono ancora abbastanza 'convenienti' da stimolare il mercato . Inoltre vanno semplificate tutte le procedure per non incappare in quelle pastoie burocratiche che troppo spesso bloccano gli interventi. Infine é assolutamente necessario stabilizzare una volta per tutte la detrazione fiscale del 55% per le ristrutturazioni edilizie e migliorarlo, in modo da incentivare non solo gli interventi sul singolo appartamento, ma anche quelli sull’ intero edificio. Per affrontare nell'immediato futuro questi nodi e offrire un quadro di regole stabile e favorevole al settore giocherà un ruolo importante il Free , considerata la vasta adesione di tanti soggetti che si occupano di rinnovabili elettriche e termiche, dell'efficienza energetica, ma anche di associazioni di cittadini e di università che lo fanno già il soggetto più rappresentativo di questo settore così vitale del sistema economico del nostro Paese".

mercoledì 7 novembre 2012

Parlamento Ue vaglia progressi su lotta cambiamenti clima e Kyoto

Parlamento Ue vaglia progressi su lotta cambiamenti clima e Kyoto

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
L’Europarlamento sta esaminando la relazione della commissione sullo stato dell’arte delle politiche Europee di lotta al cambiamento climatico e di attuazione del Protocollo di Kyoto. Sotto la lente i progressi effettivi nel periodo 1990-2010
Il Parlamento Ue ha messo sotto la lente d’ingrandimento i progressi fatti in tema di lotta al “clima pazzo” e all’effettiva attuazione del Protocollo di Kyoto. In particolare, sta esaminando la relazione della commissione sullo stato dell’arte delle politiche Europee di lotta al cambiamento climatico e di attuazione del Protocollo. Nel documento è stata fatta una ricognizione sui progressi effettivi nel periodo 1990-2010, con un’analisi dell’andamento delle emissioni di gas serra negli Stati membri e un confronto tra le emissioni di gas serra del 2009 e del 2010, grazie alla collaborazione dell’Agenzia per l’ambiente. Si tratta di un testo che però guarda anche al futuro, indicando i progressi da compiere per la realizzazione degli obiettivi di Kyoto e delle misure di adattamento ai cambiamenti climatici.

Da quanto emerge dalla relazione “L’obiettivo di Kyoto 2008-2012 è vicino: le emissioni totali di gas serra nell’Ue a 27 sono state inferiori del 15% ai livelli del 1990. Rispetto al 2009 le emissioni sono aumentate del 2,4%, recuperando in parte la diminuzione considerevole registrata quell’anno a causa della recessione economica (meno 7,3%). Facendo astrazione del calo eccezionale del 2009, le emissioni di gas serra si mantengono nel 2010 sul percorso discendente generale imboccato nel 2004”. Inoltre, dai dati provvisori per il 2012 emerge che le emissioni di gas serra dell’Ue a 15 e dell’Ue a 27 sono in quell’anno diminuite del 3,6 e del 2,5% rispetto al 2010. Le proiezioni delle emissioni totali di gas serra indicano che l’Ue a 15 è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi del protocollo di Kyoto, e forse anche per superarli.

mercoledì 24 ottobre 2012

Kyoto: l'Europa supererà l'obiettivo, ma l'Italia no

Kyoto: l'Europa supererà l'obiettivo, ma l'Italia no

 
(Fonte:QualEnergia.it)
 
 
L'Europa supererà il target di riduzione delle emissioni cui si è impegnata con il protocollo di Kyoto, scendendo dell'8% rispetto ai livelli del 1990 entro fine anno, anche se alcuni Paesi, tra cui l'Italia, sono ancora in ritardo rispetto ai propri obiettivi nazionali e così dovranno pagare. Anche verso l'obiettivo comunitario – meno 20% al 2020 – la strada dell'Unione sembra relativamente in discesa: in uno scenario senza sforzi aggiuntivi per quell'anno, si arriverebbe a meno 19%. Si stima che metà degli Stati membri riuscirà a superare i propri obiettivi nazionali solamente con le riduzioni di CO2 attuate "in casa".
Nell'ultimo anno, infatti, complice un inverno mite e una crescita economica modesta, le emissioni europee sono diminuite di un ulteriore 2,5%. Lo dicono gli ultimi dati dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) raccolti nel report ‘Approximated EU greenhouse gas inventory: early estimates for 2011 che va ad aggiornare il documento che registra l'andamento delle emissioni ‘Greenhouse gas emission trends and projections in Europe 2012.

Dal 1990, a fronte di una crescita complessiva del Pil del 48%, le emissioni della UE a 27 si sono ridotte del 17,5% (aviazione internazionale esclusa). Quelle della UE a 15 (che ha firmato il Protocollo di Kyoto) sono scese del 13,5%.

Dal 2010 al 2011, con una crescita del Pil dell'1,5%, le emissioni dell'Europa a 27 si sono ridotte appunto del 2,5% (del 3,5% considerando la UE a 15), soprattutto grazie al settore residenziale e commerciale. I gas serra emessi dai settori coperti dall'Emission Trading Scheme europeo (ETS) – industrie energivore e produzione elettrica - sono infatti scesi dell'1,8% contro il meno 3% di quelli esclusi.

Le riduzioni più marcate nell'ultimo anno (vedi immagine sotto, clicca per ingrandire) si riscontrano a Cipro (-13% avendole però aumentate del 43% dal 1990) e in Belgio, Finlandia e Danimarca (-8%). A livello assoluto il calo più rilevante sono i 36 milioni di tonnellate di CO2 equivalente emessi in meno in Gran Bretagna, seguiti dai 24 della Francia e dai 17 Mton della Germania.




In Italia le emissioni nell'ultimo anno sono diminuite del 2,2%, pari a 11 milioni di tonnellate di CO2eq, e dal 1990 sono scese del 5,6%, per 29 milioni di tonnellate. Siamo dunque indietro rispetto all'obiettivo nazionale per Kyoto: -6,5% rispetto al 1990 entro la fine del 2012 (sotto le riduzioni nei vari Paesi dal 1990, clicca per ingrandire).



Come dett,o sono scese nettamente le emissioni nei settori esclusi dall'ETS: -3% considerando tutta l'Unione Europea e -3,8%, contando solo l'Europa a 15. Si è dunque sulla strada per superare l'obiettivo per la prima fase di Kyoto, anche se alcuni singoli Stati non stanno tagliando abbastanza e resta da vedere quanto dovranno far ricorso a quei crediti esterni che potranno ottenere fino al 2015, per raggiungere gli obiettivi nazionali. Alcuni Paesi - fa notare l'EEA con riferimento esplicito all'Italia - devono ancora dotarsi di un piano adeguato per ottenere questi crediti.

lunedì 12 dicembre 2011

Clima, cosa si è deciso a Durban


FONTE (Qualenergia.it –Giulio Meneghello)

Domenica mattina il mondo si è svegliato con un nuovo accordo sul clima. Al termine di due settimane di negoziati, concluse con una notte insonne di trattative convulse, infatti, le circa 190 nazioni riunite alla Conferenza sulle nazioni unite sul clima di Durban sono giunte ad un risultato all'alba di ieri.

Non è purtroppo l'accordo che servirebbe per evitare il peggio in quanto a riscaldamento globale (si veda anche l'editoriale di Gianni Silvestrini). Sulle riduzioni della CO2, infatti, in sintesi si può dire che “si è deciso che si deciderà”: gli impegni verranno definiti entro il 2015 e messi in pratica dal 2020. Tempi che, come mostrano vari studi, sono incompatibili con l'obiettivo di tenere il riscaldamento entro i 2 °C.

Tuttavia la piattaforma approvata ieri a Durban segna alcuni passi avanti storici: il fatto che, per la prima volta, tutti i paesi, sia ricchi che in via di sviluppo, accettano di assumersi impegni legalmente vincolanti a tagliare le emissioni e che nazioni come gli Usa accettino di mantenere in vita il trattato di Kyoto per altri 5 anni.

L'accordo raggiunto all'alba di ieri (in allegato il comunicato finale, qui tutti i documenti e qui le conferenze stampa) prevede infatti di adottare “un nuovo protocollo o altro strumento legale o esito condiviso dotato di forza legale” per ridurre la CO2 che impegni tutti i paesi. Lo si dovrà approntare, si legge, “il più presto possibile e non oltre il 2015” e dovrà entrare in vigore entro il 2020. Come si può notare si tratta di una sorta di scatola vuota: gli impegni sono ancora tutti da definire e soprattutto non si è trovato un accordo per specificare meglio cosa si intenda “per strumento legale o esito condiviso dotato di forza legale”. Una debolezza che si aggiunge alla dilazione nel tempo dell'impegno: come dicevamo, la scienza è chiara sul fatto che per stare sotto ai 2 °C le emissioni dovrebbero già iniziare a calare dal 2020, mentre stando alla piattaforma stabilita ieri a Durban per quell'anno, bene che vada, avremo forse un accordo per ridurla in futuro.

Nel frattempo, il Protocollo di Kyoto, che impegna a tagliare le emissioni i soli paesi di prima industrializzazione e sarebbe dovuto scadere a fine 2012, verrà rinnovato per una seconda fase, dal 2013 al 2017. Una decisione che soddisfa la richiesta di paesi in via di sviluppo come la Cina e che ha tra i vantaggi quello di avere già un impianto legale pronto e applicabile. Quanto sarà efficace questa nuova fase del protocollo di Kyoto però resta da vedere: i nuovi impegni di riduzione dovranno essere definiti entro il 1° maggio 2012 e tre importanti nazioni che avrebbero dovuto tagliare la CO2, Russia, Giappone e Canada, si sono tirati fuori dal protocollo.

L'altra questione fondamentale entrata nella piattaforma di Durban, è poi quella del Green Climate Fund, il fondo “verde” da 100 miliardi di dollari pensato alla Conferenza di Copenhagen per aiutare i paesi poveri nelle azioni di mitigazione e adattamento. A Durban si sono indicati i paesi nei quali verrà messo in opera entro il 2012, si è stabilito un comitato di controllo, ma non si è fatta chiarezza sulla copertura del fondo. Cioè, non si è ancora capito da dove verranno i soldi: una proposta di ricavare fondi dalla tassazione delle emissioni dai trasporti internazionali non è sopravvissuta nella versione finale del testo. Da definire resta anche il meccanismo di mercato di compensazione delle emissioni che si adotterà nel trattato post-protocollo di Kyoto. Ci si penserà nei prossimi dodici mesi per portare delle proposte alla Cop 18 in Quatar, a fine 2012. Si tratta, ricordiamo, di dare stabilità al mercato della CO2 e correggere le molte distorsioni dei meccanismi di compensazione attualmente in vigore con il protocollo di Kyoto, come il Clean Development Mechanism o CDM. A proposito di CDM, da Durban arriva una decisione sul fatto che i progetti di cattura e sequestro della CO2 possano ottenere crediti tramite il meccanismo: saranno ammessi, ma il 5% dei crediti verranno pagati solo dopo che si sarà verificato che in 20 anni non ci sono state fughe di CO2 dai depositi sotterranei.