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giovedì 31 ottobre 2013

Shale gas: non conviene agli Stati Uniti secondo geologi

(Fonte:GreenStyle.it-Silvana Santo)
 
 
 
 
Lo shale gas non è una strada conveniente, almeno per l’economia USA. Lo sostiene, in controtendenza con altri studi precedenti, un gruppo di scienziati che si è riunito nei giorni scorsi in occasione del meeting annuale della Geological Society of America.

Secondo gli esperti, l’estrazione di gas di scisto e di petrolio (tight oil) ottenuti dalla frantumazione di rocce profonde non può essere considerata nel lungo periodo una tecnologia sostenibile per la produzione di energia. Quanto alla possibilità per gli Stati Uniti di diventare in questo modo un esportatore netto di petrolio, manco a parlarne.

Tra i sostenitori di questa tesi c’è anche Charles AS Hall, professore emerito presso l’Università di Scienze Ambientali e Forestali dell’Università di Stato di New York, Syracuse. Le sue ricerche, in particolare, hanno riguardato la quantità di energia necessaria per le operazioni di estrazione e, in generale, il ritorno economico assicurato dalle diverse tecnologie.

In base alle analisi condotte su due campi di estrazione di shale gas e di petrolio nel Montana e nel Nord Dakota, Hall ha concluso che, nonostante gli investimenti per la ricerca e l’estrazione siano triplicati negli ultimi dieci anni, la produzione è rimasta invariata, oppure è addirittura diminuita.

La tendenza al ribasso dei prezzi di vendita dei combustibili, infine, toglierebbe ogni dubbio residuo sulla convenienza a lungo termine del fracking.

venerdì 27 settembre 2013

Trivelle: dal WWF dossier contro la Strategia Energetica Nazionale

(Fonte:GreenStyle.it-Marco Mancini)

 
 
La situazione delle trivellazioni sul territorio italiano si fa sempre più preoccupante. Nell’ambito della campagna contro le trivelle, WWF Italia si rivolge direttamente al Governo Letta, forte delle migliaia di firme raccolte, per chiedere di fermare lo scempio che ha causato la SEN, la Strategia Energetica Nazionale.

Inaugurata dal precedente Governo Monti come una delle ultime azioni prima delle dimissioni, questa strategia mira a sfruttare il poco petrolio di pertinenza italiana ancora rimasto nel sottosuolo e nel mar Mediterraneo, al fine di garantire la sicurezza energetica al Paese. Peccato però che gli esperti convocati direttamente dal Ministero dello Sviluppo Economico abbiano stabilito che, anche se si estraesse fino all’ultima goccia di petrolio, l’Italia sarebbe autosufficiente per soltanto 7 settimane.

Dare l’autorizzazione alle trivellazioni non è nemmeno conveniente dal punto di vista economico visto che solo la metà dei progetti autorizzati paga le royalties, mentre il rischio di qualche incidente (la marea nera del 2010 nel Golfo del Messico insegna) è sempre molto elevato. Dal dossier “Trivelle in vista” realizzato dal WWF deriva una fotografia della situazione italiana molto preoccupante. Attualmente ci sarebbero:
3 istanze di permesso di prospezione (le quali occupano un’area di 30.810 kmq);
31 istanze di permesso di ricerca (14.546 kmq);
22 permessi di ricerca (7.826 kmq);
10 istanze di coltivazione (1.037 kmq);
67 concessioni di coltivazione (9.025 kmq).

A questi vanno aggiunti 396 pozzi produttivi in mare di cui 335 a gas e 61 a petrolio, 104 piattaforme di produzione, 8 di supporto e 3 di stocaggio temporaneo. Questa “colonizzazione”, come l’ha definita lo stesso WWF, riguarda principalmente il Sud Italia, dalla Sicilia alla Sardegna passando per l’Adriatico e lo Jonio, per un’estensione talmente grande da misurare quanto la Corsica.

Questa è solo una parte di quello che inizialmente era previsto dato che l’attuale ministro Zanonato ha sottratto dall’elenco altri 116 mila chilometri quadrati di aree marine pronte per essere trivellate. Per ridurre l’inquinamento marino ed evitare eventuali disastri futuri, il WWF chiede che la SEN venga definitivamente abbandonata perché, a conti fatti, non conviene né all’Italia né agli italiani.

venerdì 12 luglio 2013

Caro bolletta: colpa dei combustibili fossili, non delle rinnovabili

(Fonte:GreenStyle.it-Silvana Santo)
 
 
 
La dipendenza dai combustibili fossili e i costi occulti in bolletta: sono queste, secondo uno uno studio appena presentato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, le cause principali della eccessiva spesa energetica degli italiani, superiore del 18% rispetto alla media europea.

Il documento, presentato in occasione del convegno “I costi dell’energia in Italia”, stima che nel 2012 hanno pagato oltre 160 miliardi di euro per gas, elettricità e carburanti. La spesa energetica, complessivamente, è aumentata del 10% rispetto all’anno precedente, soprattutto a causa del rincaro dei prodotti petroliferi. Il gas naturale, in particolare, pesa sul bilancio delle famiglie (circa 300 euro/anno per famiglia), mentre il caro elettricità si fa sentire soprattutto dalle imprese.

Tra le cause principali di questa situazione, la dipendenza dell’Italia dai combustibili fossili, che coprono ben l’82% della domanda nazionale: tra il 2000 e il 2012 i prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 200%, quelli del carbone del 160% e del gas di circa il 300% sul mercato europeo. Inevitabile, dunque, che questa impennata dei prezzi si sia tradotta in una stangata sul costo dell’elettricità per famiglie e imprese della Penisola.

Un problema destinato ad aggravarsi in futuro: nei prossimi vent’anni i prezzi dei combustibili fossili, a meno che non si riduca drasticamente la domanda, rimarranno stabili o cresceranno ulteriormente. Secondo il dossier, tra l’altro, l’effetto dello shale gas USA non determinerà un calo duraturo dei prezzi sul mercato americano. Commenta Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile:

Quello energetico è uno dei settori produttivi più importanti a livello nazionale, con un giro d’affari, in crescita, attorno al 20% del PIL e quasi mezzo milione di posti di lavoro creati. Renderlo più efficiente dal punto di vista economico riducendo i costi dell’energia per il Paese richiederà, ad esempio, di intervenire sul mix energetico riducendo la dipendenza dai fossili che, negli ultimi vent’anni, è già costata al Paese 45 miliardi di euro in più, tutti soldi dati all’estero, e che se non affrontata potrebbe portare a un ulteriore aumento della fattura nazionale dell’import nei prossimi vent’anni da 3 a 12 miliardi di euro.

Al di là dei prezzi in crescita dei prodotti energetici, la Fondazione sottolinea il peso dei sussidi che in Italia vengono pagati ai combustibili fossili, attraverso agevolazioni fiscali o quant’altro, e che, a differenze di quelli per le rinnovabili, non sono esplicitamente visibili in bolletta. Questi sussidi non vengono monitorati dal Governo, ma secondo l’OCSE ammontano a 2,1 miliardi di euro l’anno su alcuni settore chiave. A questo si aggiungono ancora le esternalità a carico principalmente di nucleare e carbone.

Scagionati, invece, gli incentivi alle rinnovabili. Per quanto riguarda i costi diretti, gli incentivi alle rinnovabili elettriche raggiunto nel 2012 circa 10 miliardi di euro, il 16-17% della bolletta elettrica nazionale, ma hanno inciso sull’aumento del prezzo unitario dell’energia solo per il 33%, mentre per il 57% questo è stato causato dall’aumento dei prezzi dei fossili.

L’energia pulita, inoltre, ha determinato significativi benefici economici, come la riduzione del prezzo medio orario dell’energia elettrica (a maggio si è quasi dimezzato tra il 2006 e il 2012) e la creazione di posti di lavoro e ricchezza in generale. Da non trascurare, infine, i benefici ambientali: 70 milioni di tonnellate di CO2 risparmiate ogni anno.

martedì 9 aprile 2013

Greenpeace lancia oggi un “Piano blu per la Sicilia”

Greenpeace lancia oggi un “Piano blu per la Sicilia”

 (Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
 
Greenpeace presenta oggi il “Piano blu per la Sicilia” alla Commissione Ambiente e Territorio dell’Assemblea Regionale Siciliana, dove l’associazione è stata convocata per una nuova audizione sulle trivellazioni offshore nel Canale di Sicilia. “Non c'e più tempo da perdere: il mare e le coste siciliane sono letteralmente sotto l’assalto dei petrolieri, favoriti da un governo centrale che punta tutto sul petrolio. È ora che il governatore Crocetta scelga con decisione da che parte vuole stare portando avanti azioni concrete contro le trivellazioni in mare” ha commentato Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace Italia. Per Greenpeace bisogna avviare immediatamente, con un processo partecipato, l’elaborazione di un “Piano blu per la Sicilia” che, utilizzando l’approccio multisettoriale della Direttiva Comunitaria 2008/56 per la Strategia Marina, punti a tutelare le risorse del mare e le economie che da esse dipendono.

Il “Piano Blu per la Sicilia” e gli altri suggerimenti di Greenpeace indicano alla Regione Sicilia passi precisi per intervenire contro le trivelle per la tutela del mare, vero tesoro per lo sviluppo dell’economia della più grande isola del Mediterraneo. Tra i passi principali indicati nel documento: un atto di indirizzo della Regione contrario alle trivellazioni in mare; la presentazione immediata di osservazioni contrarie ai progetti di ricerca petrolifere in via di valutazione al largo della costa siciliana; un’ iniziativa politica per un sostanzioso incremento dell’imposizione fiscale alle trivellazioni off-shore, oggi irrisorio; la promozione di un uso efficiente dell’energia e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, a partire dall’aggiornamento del Piano Energetico Regionale; la richiesta al Governo Centrale di stabilire una Zona di Protezione Ecologica nel Canale di Sicilia; lo sviluppo di politiche che garantendo la tutela del mare favoriscano l’economia locale, dalla pesca al turismo.

“La situazione del mare di Sicilia è allarmante. Alcune concessioni sono vicinissime alla costa e mettono in serio pericolo non solo l’ambiente ma anche il suo patrimonio culturale e economico. Se vuole, la Regione Sicilia può intervenire per far valere la propria sovranità sul territorio e sul mare che lo circonda. Abbiamo chiesto più volte al presidente Crocetta di intervenire, ma ad oggi le associazioni sono state lasciate completamene sole in questa lotta” ha concluso Giorgia Monti. Appresa la notizia che la Northern Petroleum intende estendere le ricerche petrolifere a un’area di oltre 1.325 chilometri quadri, a poche miglia dal litorale agrigentino, lo scorso 11 marzoGreenpeace insieme a comitati locali e associazioni di categoria ha chiesto formalmente al presidente Crocetta di intervenire.

mercoledì 20 marzo 2013

ERA: Sentenza dell’Aja contro la Shell è uno spartiacque

ERA (Environmental Rights Action): Sentenza dell’Aja contro la Shell è uno spartiacque

 (Fonte:CETRITRIRES.IT)
La sentenza del 30 gennaio 2013 da parte della corte olandese, ritenendo Shell responsabile per l’inquinamento di terre coltivabili presso Ikot Ada Udo, Stato di Akwa Ibom, Nigeria, è in effetti una vittoria molto importante.

Siamo tuttavia rammaricati dal fatto che la corte abbia stabilito diversamente per quanto riguarda le aree di Goi e Oruma. I dubbi dei giudici hanno portato a concludere, infatti, che non ci fossero prove del fatto che le fuoriuscite presso Goi, Stato di Rivers, e presso le comunità Oruma, nello Stato Bayelsa, non fossero state riparate e bonificate. I soggetti querelanti di Goi e Oruma si appelleranno alla sentenza.

ERA/FoEN, in una dichiarazione rilasciata a Lagos, sostiene che questa sentenza storica e questa vittoria chiave costituiscano un precedente per la responsabilità ambientale a carico delle società madre, spesso con sede in Europa o negli Stati Uniti, che possono ora essere ritenute responsabili per i reati ambientali commessi dalle loro sussidiarie in giro per il mondo.

In questa azione legale, quattro agricoltori, supportati da Friends of the Earth, hanno trascinato la Shell di fronte alla corte olandese, a migliaia di chilometri di distanza dalle loro comunità in Nigeria, dove gli oleodotti mal funzionanti della compagnia hanno causato danni ai loro specchi d’acqua e alle loro terre tra il 2004, il 2005 e il 2006. La Shell ha costantemente negato le proprie responsabilità. Si è rifiutata di bonificare le perdite e di pagare le compensazioni.

Ora la Shell, però, non può più tenere la testa sotto la sabbia per quanto riguarda il massiccio degrado a carico della comunità di Ikot Ada Udo. Il caso, che vede come co-querelante Milieudefensie, è stato presentato nel 2008 e ha dovuto affrontare numerosi ostacoli legali, orditi verosimilmente dalla Shell, prima di arrivare a questo punto del giudizio.

Mentre la Royal Dutch Shell Plc aveva sostenuto di non poter essere ritenuta responsabile per l’azione della propria sussidiaria in Nigeria, quest’ultima, la Shell Petroleum Development Company Nigeria Ltd, insisteva di non poter essere processata dal tribunale dell’Aja per questioni derivanti dalle autorità nigeriane.

Nel 2009, la magistratura olandese si è dichiarata competente per valutare il caso. Lo scorso ottobre, la corte olandese ha ottenuto le prove complete sulla cui base si fonda la sentenza di oggi, che dichiara la Shell colpevole di non aver riparato le fuoriuscite di petrolio che hanno causato la distruzione delle terre dei quattro agricoltori.

“Dichiarare la Shell colpevole degli sversamenti di Ikot Ada Udo è encomiabile, ma vogliamo vedere come la Shell celebrerà la conclusione errata a cui è giunta la corte scagionandola dalla distruzione ambientale di Goi e Oruma. Il loro disprezzo per il benessere delle comunità che soffrono a causa degli impatti dello sconsiderato sfruttamento petrolifero del Delta del Niger è ormai leggendario. Le perdite a Ikot Ada Udo sono durate mesi, su terreni agricoli, alla luce del sole, e la Shell ha ancora il coraggio di combattere per evitare la colpevolezza. È giusto ed equo che venga ritenuta responsabile per questo crimine” dichiara Nnimmo Bassey, Direttore Esecutivo di ERA/FoEN.

“Questa vittoria per i contadini di Ikot Ada Udo ha creato un precedente, sarà un passo importante, in quanto le multinazionali potranno essere ritenute più facilmente responsabili per i danni provocati nei paesi in via di sviluppo. Ci aspettiamo che altre comunità ora esigano che la Shell paghi per l’attacco al loro ambiente”.

Fino ad ora questo è stato estremamente problematico, per le difficoltà con le quali si possono citare in giudizio queste compagnie nei loro paesi d’origine, a causa di una legislazione spesso non avanzata o propriamente applicata.

Godwin Uyi Ojo, Direttore dei Programmi e dell’Amministrazione di ERA/FoEN, ha aggiunto “Mentre ci congratuliamo per la sentenza della corte olandese, è arrivato il tempo in cui i paesi occidentali approvino leggi che costringano le compagnie ad applicare i medesimi standard di responsabilità ambientale sia nei paesi d’origine sia all’estero”.

“Le argomentazioni della Shell di fronte a prove incontrovertibili hanno dimostrato ancora una volta i diversi standard con cui le compagnie petrolifere trattano le fuoriuscite accidentali in Nigeria rispetto all’inquinamento in Europa o Nord America. Siamo ancora ottimisti, però, che questa sentenza storica inciti più comunità a cercare giustizia” ha sottolineato Ojo.

lunedì 18 marzo 2013

Obama vuole finanziare le rinnovabili con il petrolio e il gas

Obama vuole finanziare le rinnovabili con il petrolio e il gas

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, cerca di mettere una pezza alla situazione venutasi a creare in seguito alla mancata riconferma degli sgravi fiscali alle industrie attive nelle energie rinnovabili. La proposta avanzata da Obama al Congresso è molto semplice: finanziare eolico, fotovoltaico e le altre energie verdi (ma anche le auto elettriche e le fuel cell) con i ricavi provenienti da gas e petrolio.

La cifra chiesta dal Presidente USA è consistente: 2 miliardi di dollari in dieci anni. Soldi che, però, sarebbero destinati a finanziare la ricerca e non la produzione vera e propria. Parlando all’Argonne National Laboratory, istituto che fa ricerca proprio sulle batterie per i veicoli elettrici, Obama ha detto:

Dopo anni che se ne discute, siamo pronti a prendere il controllo del nostro futuro energetico. Produciamo oggi più petrolio che negli ultimi 15 anni, ne importiamo meno che negli ultimi 20 anni.
Abbiamo raddoppiato la quantità di energia rinnovabile che produciamo da fonti come il vento e il sole, con decine di migliaia di buoni posti di lavoro prodotti.


Entro il 2020 gli USA, nelle intenzioni di Obama, dovrebbe raddoppiare l’energia elettrica rinnovabile prodotta dal sole, dal vento e con la geotermia. È però lo stesso Obama a mettere in guardia dai potenziali rischi derivanti dal taglio ai sussidi pubblici:

Uno dei motivi per cui mi sono opposto ai tagli è che essi non fanno differenza tra i programmi inutili e gli investimenti vitali. Non si taglia il grasso, si aggrediscono le ossa e i muscoli.
A causa dei tagli nei prossimi due anni non inizierà nessuna nuova ricerca. Non ci possiamo permettere di perdere queste opportunità mentre il resto del mondo corre avanti.

Ecco, allora, l’idea di prendere i soldi dall’industria petrolifera che, negli Stati Uniti, non è mai stata più in salute. Grazie al boom del fracking, infatti, gli USA potrebbero presto diventare indipendenti a livello energetico se non addirittura un esportatore netto di energia.

L’idea di finanziare l’energia del futuro tramite i ricavi di quella del passato, poi, potrebbe persino convenire alla lobby petrolifera americana: ne avrebbe un notevole ritorno d’immagine in un periodo in cui è osannata per i nuovi posti di lavoro creati, ma allo stesso tempo, indicata da ambientalisti, artisti e comitati locali come il male assoluto a causa dei forti rischi derivanti dall’uso del fracking.

Strategia energetica nazionale: la bufala del gas e petrolio italiano

Strategia energetica nazionale: la bufala del gas e petrolio italiano


(Fonte:Ecqualogia.it)
 
La strategia energetica nazionale non è solo timida con le rinnovabili ed arrendevole con il carbone, ma è anche millantatrice a proposito dei possibili aumenti di produzione nazionale di gas e petrolio.

Per il quasi ex ministro dello sviluppo, la produzione di idrocarburi nazionali deve naturalmente essere “sostenibile”. Cosa significhi non ce lo spiega esattamente, visto che si lamenta delle limitazioni alle trivellazioni off shore e bontà sua ci fa sapere che rinuncerà al facking. CIò che è invece del tutto intollerabile è la manipolazione dei dati. Parlando di idrocarburi, si dice che “le risorse potenziali ammontano a 700 Mtep“, valore ritenuto definito “largamente per difetto” poichè l’attività esplorativa si è ridotta al minimo nell’ultimo decennio. 
Non si sa bene dove il ministro (o i suoi spin doctors dell’ENI forse) si sia sognato tutto questo eldorado fossile. Il grafico in alto confronta la produzione storica con le aspettative strategiche, mostrando un’improbabile inversione di tendenz. Secondo i dati BP , le italiche riserve al 2011 erano valutate solo 265 Mtep (187 di petrolio e 78 di gas). Nel 2006 erano stimate ancora meno, 190 Mtep; gli ultimi sei anni hanno visto quindi un rialzo delle stime pari a 75 Mtep.


Secondo gli stessi dati del ministero dello sviluppo, nel 2006 le riserve erano pari a 244 Mtep (110 petrolio, 134 gas). Queste riserve sono “calcolate convenzionalmente come somma delle riserve (recuperabili) certe col 50% delle probabili e con il 20% delle possibili“.

La cifra di 700 Mtep include quindi il 100% delle probabili e il 100% delle possibili; un’operazione scorretta, sia dal punto di vista geologico che etico-politico. Non si può millantare ciò che non si ha! L’oscillazione delle cifre

Se fosse possibile estrarre tutte le riserve riportate da BP, avremmo una quantità di idrocarburi pari a 22 mesi di consumi italiani.

Non è meglio lasciare questi fossili dove sono e pensare al futuro?


sabato 2 marzo 2013

Alaska, caccia al petrolio: Shell rinuncia alle trivellazioni per tutto il 2013

Alaska, caccia al petrolio: Shell rinuncia alle trivellazioni per tutto il 2013

(Fonte:Ecqualogia.it)
 
 
Lo sforzo di dare agli Stati Uniti una nuova fonte di petrolio nazionale ha subito una battuta d'arresto ieri, quando la Royal Dutch Shell PLC ha annunciato che sospenderà le perforazioni offshore di petrolio nel Mar Glaciale Artico per il 2013. Mentre la sua attività, l'anno scorso, ha coinvolto il Mare Chukchi al largo della costa nord-occidentale dell'Alaska e il Mare di Beaufort, a Nord. Lo scrive Huffington Post.

Il presidente di Shell, Marvin Odum, ha spiegato che la società ha deciso di prendersi una "pausa" nelle trivellazioni per preparare le attrezzature e le navi per il prosieguo in futuro. "Abbiamo fatto progressi in Alaska, ma si tratta di un programma a lungo termine che stiamo perseguendo in modo sicuro e misurato", ha spiegato. Per poi aggiungere: "La decisione di fare una pausa nel 2013 ci darà tempo di garantire la disponibilità di tutte le nostre attrezzature e delle persone che hanno lavorato con noi l'anno scorso".

I gruppi ambientalisti si oppongono aspramente alla perforazione artica, perché è a rischio il ricco ecosistema che ospita le balene in via di estinzione, gli orsi polari, i trichechi e le foche. A maggior ragione perché la zona viene continuamente martellata dai cambiamenti climatici, con il ghiaccio marino che in estate continua a sciogliersi a ritmi record. Le associazioni, poi, insistono sul fatto che le compagnie petrolifere non hanno dimostrato la capacità di ripulire una fuoriuscita di petrolio nelle acque ostruite dal ghiaccio.

"Questa è la prima decisione buona che abbiamo visto da Shell", ha dichiarato Mike LeVine, portavoce dell'Alaska per il gruppo ambientalista Oceana. "Data la disastrosa stagione del 2012, le nostre agenzie governative devono approfittare di questa occasione per rivedere il modo in cui vengono prese le decisioni sulle nostre risorse marine e di riconsiderare l'impegno per la trivellazione di petrolio nel Mar Glaciale Artico".

sabato 19 gennaio 2013

Energia fotovoltaica più economica di quella prodotta col diesel

Energia fotovoltaica più economica di quella prodotta col diesel

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)

Secondo l’International Renewable Energy Agency (Irena) il costo del KWh elettrico prodotto dai pannelli fotovoltaici è già inferiore a quello del KWh prodotto dai generatori diesel a gasolio. E questo sia se consideriamo il fotovoltaico di piccola scala, sia quello industriale su grandi superfici. Questo rende il solare fotovoltaico competitivo dove non c’è accesso alla rete elettrica e bisogna produrre in loco l’energia consumata.

I dati sono raccolti nel report “Renewable Power Generation Costs in 2012″ e mostrano come altre fonti rinnovabili siano già oggi competitive rispetto alle classiche grandi centrali elettriche alimentate a combustibili fossili. Eolico onshore, alcune biomasse, il piccolo idroelettrico e il geotermoelettrico, infatti, hanno oggi costi di produzione nella fascia 5-15 centesimi di dollaro al KWh tipica dei grandi impianti termoelettrici.

L’idroelettrico di grandi dimensioni, invece, è addirittura più economico restando sotto la soglia dei 5 centesimi. Verso i 16-18 centesimi al KWh troviamo la fonte rinnovabile più vicina alla grid parity: l’eolico offshore.

Questi risultati sono basati su analisi nuove e originali dei costi degli 8000 impianti di generazione rinnovabile presi in considerazione. Il report mette in luce come i costi di produzione dell’energia pulita siano talmente tanto in calo da stravolgere i tradizionali canoni economici su cui abbiamo fino a oggi basato il nostro sistema energetico.

Rispetto alle centrali a olio combustibile (cioè petrolio quasi per nulla raffinato), le rinnovabili sono già più economiche. A volte anche significativamente più economiche. Per gli impianti non collegati in rete, come detto, sono già lo standard economico di riferimento.

giovedì 6 settembre 2012

Nuova piattaforma per ENI e EDISON in Sicilia!

Trivellazioni petrolio in Sicilia: nuova piattaforma per ENI e Edison.

(Fonte:GreenStyle.it-Peppe Croce)
L’estate è la stagione delle coincidenze. Mentre Greenpeace solcava i mari siciliani con il suo "No Trivelle Tour" per dire no alle trivellazioni petrolifere offshore nel Canale di Sicilia, contemporaneamente l’industria e il Governo preparavano la nuova espansione della produzione di petrolio proprio nel delicato tratto di mare tra la Sicilia e Malta.
A fine luglio, infatti, Edison ha depositato al Ministero dell’Ambiente i documenti per ottenere la VIA al progetto di costruzione di una nuova piattaforma petrolifera al largo della costa iblea, nel mare ragusano. Proprio dove già oggi c’è la Vega A, infatti, Edison vorrebbe costruire la Vega B, piattaforma quasi gemella che serve per mettere in produzione la seconda parte della concessione petrolifera C.C6.EO. Il campo Vega, infatti, è costituito da due sacche di petrolio non collegate tra loro e che devono essere trivellate separatamente.
Tutto questo, è bene notarlo, era già previsto nel progetto originario di sviluppo del campo Vega datato 1984. A quasi trent’anni di distanza, quindi, Edison (insieme al suo partner al 40% nella concessione ENI) vorrebbe completare l’opera costruendo la seconda piattaforma. E può farlo, visto che il campo Vega si trova a qualche centinaio di metri dal limite delle 12 miglia previsto dalla sanatoria Passera sulle trivelle offshore.
C’è da chiedersi, invece, se nella costruzione della seconda piattaforma verrà coinvolto il Consorzio CEM (del quale fa parte anche la Coemi, azienda di famiglia dell’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo) che si occupò pochi anni fa di trasformare la petroliera Leonis nella struttura che oggi serve a trasferire il petrolio dalla piattaforma alle navi petroliere più piccole che, a loro volta, lo portano in raffineria. I dettagli operativi della futura Vega B li spiega Pietro Dommarco, autore del libro “Trivelle d’Italia”, su Altraeconomia:

Per mettere in funzione la Vega B serve “bucare” altro fondale marino. Si comincerà con 4 pozzi ma, in caso di risultati positivi, potrebbe subentrare la necessità di perforarne altri, fino a 24. L’obiettivo è produrre 6400 barili di greggio al giorno. Un quantitativo che, moltiplicato per i 21 anni del progetto totale, fornisce una stima dieci volte superiore a quella preventivata. I conti non tornano e i risultati potrebbero rivelarsi scarsi, ma comunque sostenibili dal punto di vista economico. Del resto è quello che avvenne anche per la Vega A, per la quale si stimavano 7000 barili di greggio giornalieri e più, oggi scesi a 3000.

Tornando agli strani allineamenti estivi, invece, va notato come la bozza della Strategia Energetica Nazionale redatta ad agosto (a pochi giorni dalla presentazione dei documenti del progetto da parte di Edison ed ENI) dal Governo Monti preveda lo sviluppo delle attività petrolifere nell’ "offshore ibleo". Cioè esattamente dove Edison ed ENI hanno intenzione di piazzare la nuova piattaforma.
Tutto ciò, oltre che essere curioso, non mancherà di irritare le altre aziende petrolifere che vorrebbero bucare il Canale di Sicilia: per quale motivo il ministro Corrado Passera ha inserito in un documento strategico ufficiale del Governo italiano un progetto specifico (perché di questo si tratta: il Governo che benedice la piattaforma Vega B ancor prima di concederle la Valutazione Ambientale) lasciando fuori tutti gli altri?
In ogni caso il progetto è ormai depositato e c’è tempo per presentare le proprie osservazioni solo fino al 25 settembre. Il Comune di Modica, che ha una frazione marittima sul Canale di Sicilia ed è sede del Tribunale dove si svolge il processo contro Edison per la vecchia piattaforma (l’accusa è quella di aver iniettato nei pozzi acque di sentina e altri rifiuti senza l’autorizzazione del Ministero), si è già detto contrario alla costruzione della Vega B. Antonello Buscema, sindaco di Modica, ha dichiarato:

È necessario che le istituzioni del nostro comprensorio concordino un’azione comune di contrasto all’iniziativa di raddoppio della piattaforma Vega, che peraltro sembra fare da battistrada alla costruzione di nuove piattaforme nel Canale di Sicilia, per le quali risultano già in corso le pratiche autorizzative. Ed è necessario che lo facciano sia nelle sedi nelle quali viene data formalmente ai nostri Enti la facoltà di esprimersi, sia attraverso un’azione di mobilitazione che deve sin da subito vederci in prima linea come classe politica, sensibilizzando il Ministero e la Regione (che dovrà esprimersi insieme a noi) rispetto al punto di vista del nostro territorio.
Dopo aver convintamente aderito all’appello lanciato da Greenpeace contro le perforazioni nel Canale di Sicilia, è arrivato il momento di sostenere con atti concreti la nostra posizione, che tocca due argomenti fondamentali per il nostro futuro.