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venerdì 15 novembre 2013

Sondaggio: l'80% dei CEO crede nella sostenibilità

Sondaggio: l'80% dei CEO crede nella sostenibilità

(Fonte:ZeroEmission.it)

Più di due terzi (67%) dei chief executive ritiene che le aziende non stiano facendo abbastanza per affrontare le sfide della sostenibilità globale, secondo quanto emerge da un'indagine condotta dal Global Compact delle Nazioni Unite e da Accenture, che ha raccolto le opinioni di 1.000 dirigenti aziendali sui progressi del settore privato in merito alle problematiche della sostenibilità globale. Si tratta del più ampio studio mai condotto sulla sostenibilità tra i top executive. Lo studio dimostra una maggiore consapevolezza, da parte delle aziende mondiali, delle opportunità insite nella sostenibilità. Il 78% dei CEO intervistati considera la sostenibilità la strada verso la crescita e l'innovazione, mentre il 79% ritiene che porterà un vantaggio competitivo nel proprio settore. I CEO tuttavia pensano che il clima economico e una serie di priorità dettate dalla competitività costituiscano altrettanti ostacoli alla possibilità di integrare la sostenibilità nelle rispettive aziende.

Quest'anno il 93% dei rispondenti afferma che le questioni ambientali, sociali e di governance sono importanti per il futuro della propria azienda; la stessa percentuale dello studio precedente, condotto nel 2010. Ma la quota che considera la sostenibilità molto importante è scesa dal 54 al 45% e in Europa questo parere è condiviso solo dal 34% dei CEO. L'84% è convinto che l'azienda debba affrontare le sfide che riguardano la sostenibilità, ma mette anche in evidenza una serie di ostacoli. La mancanza di risorse finanziarie è una delle principali difficoltà, indicata dal 51% dei rispondenti; il 40% afferma che le condizioni economiche hanno reso difficile l'integrazione della sostenibilità nel core business. L'impossibilità di stabilire un collegamento tra la sostenibilità e il valore aziendale è la barriera di maggiore impatto. Nel 2007 il 18% aveva riscontrato un effetto deterrente di questo fattore verso ulteriori azioni, quota salita al 30% nel 2010. Quest'anno il 37% dei CEO ha citato questo motivo e solo il 38% di loro ritiene di poter quantificare con precisione il valore aziendale della sostenibilità. Solo il 15% dei CEO rispondenti pensa che negli ultimi tre anni le aziende abbiano compiuto progressi nella trasformazione della sostenibilità in un fattore imprescindibile per i consumatori, anche se l'82% ritiene che questo processo sia cruciale per sfruttare la sostenibilità come forza trasformativa dell'economia. Quasi la metà (46%) ritiene che i consumatori considereranno sempre la sostenibilità secondaria rispetto a prezzo, qualità e disponibilità.

Sebbene il 52% dei rispondenti consideri l'interesse degli investitori come un incentivo a migliorare le procedure di sostenibilità, solo il 12% ritiene che la loro pressione sia una forte spinta motivazionale, a dimostrazione di una certa ambivalenza. Ciò nonostante solo una piccola minoranza di CEO (15%) critica la visione a breve termine dei mercati finanziari ritenendola una barriera, mentre il 69% crede che l'interesse degli investitori sarà un fattore sempre più importante alla base del loro approccio. "Come riflette lo studio sui CEO, la sfida attuale è quella di sfruttare appieno il potenziale di sostenibilità aziendale per trasformare i mercati e le società di tutto il mondo - ha dichiarato Georg Kell, Executive Director del Global Compact delle Nazioni Unite - con migliaia di aziende, dai leader di mercato alle piccole imprese, impegnate in pratiche commerciali responsabili, possiamo affermare che la questione è di grande attualità. Ora è necessario che politici, investitori e consumatori lancino i segnali giusti per stimolare il prossimo livello di azione, innovazione e collaborazione a favore della sostenibilità aziendale".

Secondo il sondaggio, i CEO chiedono maggiore collaborazione tra le imprese, i governi e i politici. Il 42% degli intervistati inserisce i governi tra i primi tre stakeholder nell'ambito della sostenibilità, un aumento rispetto al 32% del 2007. L'83% dei rispondenti pensa che un maggiore impegno da parte dei governi per fornire un ambiente favorevole sarà parte integrante della capacità del settore privato di promuovere la sostenibilità. Nello specifico, l'85% chiede una politica più chiara e segnali del mercato a favore della crescita verde. Alla domanda su quali strumenti della politica privilegiare, il 55% indica norme e standard, il 43% chiede ai governi sussidi e incentivi adeguati. Un ulteriore 31% pensa a un intervento attraverso l'azione fiscale. Misure più morbide, come l'informazione e gli approcci volontari, sono sostenute solo dal 21% dei CEO.

"L'ottimismo iniziale dei CEO ha lasciato posto alla convinzione che i vincoli delle strutture di mercato e gli incentivi impediscono alle aziende di integrare la sostenibilità nel "cuore" del loro business - ha dichiarato Sander van ‘t Noordende, Group CEO, Accenture Management Consulting - molti oggi sarebbero favorevoli a un'azione di governo che sappia ridisegnare le regole del mercato. Ma prima di compiere questo passo, gli imprenditori dovrebbero riconoscere che anche nei mercati imperfetti di oggi, le aziende ad alte performance riescono a coniugare successo commerciale e sostenibile. Queste aziende stanno sfruttando la sostenibilità come occasione di crescita, innovazione e differenziazion

lunedì 23 settembre 2013

ENEA e GE Italia, insieme su efficienza energetica e sostenibilità

ENEA e GE Italia, insieme su efficienza energetica e sostenibilità

(Fonti:Rinnovabili.it)
 
 
 
Industria e ricerca fanno squadra in campo energetico. L’ENEA e General Electric Italia hanno firmato questa mattina un accordo per la promozione di iniziative congiunte nei settori dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale. Una sinergia speciale quella che prenderà il via dalla neo-intesa e che darà vita a progetti e attività dimostrative sul territorio in grado di fornire ampie ricadute in ambito industriale.

Le prime collaborazioni riguarderanno le tematiche delle Smart Cities, del recupero di calore da processi industriali (Waste Heat Recovery) e della successiva conversione in energia elettrica. L’azienda rafforzerà ulteriormente le proprie attività industriali sul territorio circa prodotti ad alta tecnologia, su cui andranno a riversarsi i contenuti scientifici e di know-how frutto della collaborazione tra ricercatori di ENEA e proprie strutture di ricerca e sviluppo, sia nazionali (ricordiamo i centri R&S di GE a Firenze e Bari) sia internazionali (in Europa e Stati Uniti).

“Le sinergie tra la General Electric Italia, – ha sottolineato Giovanni Lelli, Commissario dell’ENEA – una delle maggiori realtà industriali energetiche del nostro Paese, e l’ENEA, un organismo pubblico di ricerca che opera nei settori dell’energia e della green economy, in grado di fornire supporto tecnico-scientifico in questi settori, in particolare per la progettazione e l’ottimizzazione di processi energetici e di prodotti innovativi improntati alla sostenibilità ambientale, contribuiranno ad accrescere lo sviluppo e la competitività del sistema imprenditoriale nazionale determinando nuove opportunità occupazionali”.

lunedì 9 settembre 2013

Gse pubblica il proprio bilancio di sostenibilità 2013

Gse pubblica il proprio bilancio di sostenibilità 2013

 (Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
Il Gestore dei servizi energetici rende visibili, sul proprio sito internet, le performance ambientali, sociali ed economiche dell’azienda
 
 
 Il Gse pubblica sul proprio sito internet la terza edizione del Bilancio di sostenibilità, dedicato all'anno 2012. Il Bilancio, redatto secondo le linee Guida del GRI – G3 (Global Reporting Initiative), rappresenta lo strumento di monitoraggio, rendicontazione e comunicazione del processo di gestione responsabile intrapreso dal Gestore dei servizi energetici, che rende visibili le performance ambientali, sociali ed economiche dell’azienda.

Nell’ambito del percorso di responsabilità sociale d’impresa, nel 2012 è stato dato particolare rilievo alle tematiche sociali; a tal fine un’intera sezione del documento è dedicata al progetto “Gse. Energie per il sociale”. Tale iniziativa, ideata e implementata da Gse a sostegno di organizzazioni non profit che operano nel settore sociale, è realizzata con il contributo delle aziende protagoniste del settore energetico nazionale, le quali si sono impegnate a collaborare pro bono fornendo prodotti e servizi.

sabato 7 settembre 2013

Donati (Green Italia): "Occorrono misure per la sostenibilità"

Donati (Green Italia): "Occorrono misure per la sostenibilità" 
 
 
 
 
L'esponente del neonato movimento politico Green Italia: "C'è un corto circuito sulle priorità del Paese, peggiorato dalla poltica delle larghe intese"
Riportare il Paese sui giusti binari, quelli dello sviluppo sostenibile. Ne è convinta Anna Donati, esponente di Green Italia, neonato movimento politico che si propone di portare all'attenzione di politici, Governo e cittadini le reali opportunità che Green economy e sostenibilità offrono per la ripresa del cosiddetto "Sistema Italia"."Il Governo ha inchiodato la politica economica italiana degli ultimi mesi al solo argomento dell'Imu, e intanto non un solo euro andrà all'ttuazione di un programma di politica industriale nazionale e per le misure per incentivare le attività di ricerca e sviluppo, sebbene le recenti linee guida del piano europeo indichino la strada da seguire agli stati membri - ha detto Donati - c'è un corto circuito sulle priorità del Paese, peggiorato dalla poltica delle larghe intese,e per il quale urgono risposte al più presto”.

“Gli annunci della Fiat di voler rilanciare tra qualche anno uno stabilimento storico con un vecchio progetto di Suv,i miliardi di euro che lo stato italiano spenderà per qualche decina di aerei da combattimento e l'insistenza sulle grandi opere come la TAV mentre non ci sono le risorse per la manutenzione della città e del territorio sono le spie – ha aggiunto Donati - di un concetto di sviluppo che mina l'economia italiana. La risposta concreta per superare la crisi sia sul piano del lavoro occupazione che su quello ambientale è unicamente la green economy, e ormai è quantomeno naif chi non sa o non vuole riconoscerlo. La scommessa non è certo la decrescita felice, ma è quella di riportare sui giusti binari una locomotiva che rischia di deragliare, e che rischia di perdere velocemente terreno nei confronti innanzitutto di un'Europa che sarà sempre più innovatrice, più efficiente sotto il profilo delle risorse, meno dipendente dai combustibili fossili, dunque, ma anche più competitiva, in grado di riconciliare la sicurezza alimentare con lo sfruttamento sostenibile delle risorse rinnovabili a fini industriali, senza rinunciare a biodiversità e protezione dell’ambiente”.

mercoledì 17 luglio 2013

Biocarburante e sostenibilità: piatto vuoto e tasche piene, ma non tutto è perduto

Biocarburante e sostenibilità: piatto vuoto e tasche piene, ma non tutto è perduto

(Fonte:Ecqualogia.it)
 
 
 
 
La questione del biocarburante è una questione molto controversa, che divide e accende gli animi di studiosi e ambientalisti.

Noi di Ambiente Bio ne abbiamo già parlato a proposito della pubblicazione del rapporto Bad Bio diffuso in occasione del Consiglio europeo dei ministri dell’Energia, che si è svolto a Cipro lo scorso anno. Un rapporto in cui si denunciava il ruolo attivo del mercato di biodiesel nell’aumento dei prezzi alimentari e nell’impoverimento delle risorse che gradualmente stanno affamando il mondo.

Oggi vogliamo invece riportate alcuni stralci di un’attenta e accurata analisi del fenomeno fatta da Lester R. Brown, noto scrittore, economista e ambientalista statunitense. Un excursus completo che analizza in maniera dissacratoria un mercato che lui stesso definisce come una delle grandi tragedie della storia. Un’analisi che, però, lascia nell’arringa conclusiva un barlume di speranza per un’apertura al cambiamento.
Secondo quanto affermato da Brown, la diffusione nel mercato del biocarburante ha iniziato la sua lenta e inesorabile crescita a partire dal 1980, per poi velocizzarsi tra il 2005 e il 2011, anni in cui il grano utilizzato per produrre carburante è passato da 41 a 127 milioni di tonnellate. Pensate che i cereali necessari per fare il pieno a un serbatoio di un SUV basterebbero per nutrire una persona per un anno intero. Addirittura, si è calcolato che il grano utilizzato come combustibile negli Stati Uniti nel 2011 avrebbe potuto alimentare circa 400 milioni di persone. Pensate che la stessa quantità riuscirebbe a soddisfare solo il 18% della domanda di carburante attuale.

La produzione di biodiesel nel mondo è distribuita in maniera abbastanza uniforme: i primi 5 produttori sono gli Stati Uniti, la Germania, l’Argentina, il Brasile e la Francia. Le colture utilizzate possono essere tra le più varie, a partire dall’olio di semi di girasole, dalla soia, mezzo di produzione principale scelto dagli Stati Uniti, alla colza, fino ad arrivare all’olio di palma. L’olio di palma, in particolare, viene prodotto principalmente nelle regioni tropicali e subtropicali, dove il raccolto genera molto più biodiesel per ettaro di quanto non facciano la soia o la colza. Il tutto, naturalmente, a discapito delle foreste tropicali. Non dimentichiamo inoltre che qualsiasi terreno dedicato alle colture per biocarburanti non è più disponibile per la produzione di cibo.

La capacità di trasformare cereali in carburante lega indissolubilmente il prezzo di questo alimento al prezzo del petrolio. Un circolo vizioso che genera un aumento dei prezzi degli alimenti contemporaneamente a una diminuzione dei terreni coltivabili. Fattori che generano fame e tensioni politiche che rendono le situazioni in alcuni Paesi quasi ingestibili.

Oltre al danno, la beffa, verrebbe da aggiungere, visto che anche i programmi di aiuti alimentari internazionali sono penalizzati e tagliati a causa dell’aumento dei prezzi.

Non solo, come abbiamo già accennato, l’Unione Europea ha come obiettivo quello di fare in modo che entro il 2020 il 10% dell’energia prodotta provenga da fonti rinnovabili, in particolar modo, biocombustibili. Questo ha portato a una corsa sfrenata ad accaparrarsi materie prime e terreni in Africa su cui produrre biocombustibile da esportare poi in Europa. Ma i problemi derivanti dal mercato dei biocarburanti non finiscono qui. Molti gruppi ambientalisti sottolineano infatti anche le emissioni nocive che la produzione di biocarburanti genera nell’ambiente. Esistono alcuni dati a supporto di questa tesi. In particolare, nel suo articolo Brown fa riferimento a uno studio condotto dal premio Nobel Paul Crutzen, chimico presso l’Istituto Max Planck in Germania, che evidenzierebbe come le emissioni di protossido di azoto sarebbero di dimensioni sufficienti da concorrere al riscaldamento globale.

Il discorso di Brown, però, non si ferma qui e tocca anche un punto che lascia un barlume di speranza in questa controversa situazione. Secondo i dati riportati dallo scrittore, sembrerebbe che la produzione di etanolo negli USA abbia raggiunto un picco nel 2011 per poi calare del 2 per cento nel 2012, con un probabile ulteriore calo previsto per quest’anno.

Inoltre, l’uso di carburanti per auto sarebbe sceso dell’11 per centro tra il 2007 e il 2011, segno di un cambiamento nella popolazione: secondo Brown, infatti, i giovani non sarebbero più car-oriented come i genitori.

Se questo cambiamento venisse accompagnato da investimenti nel settore delle auto elettriche e degli impianti eolici per generare l’energia necessaria a far muovere questi mezzi, la soluzione potrebbe essere più vicina di quanto ci aspettiamo. Anche perché la tecnologia è già pronta per affrontare una sfida del genere. Il problema è capire se il mercato vuole o meno raccoglierla.

martedì 16 luglio 2013

Green economy e crescita, i numeri danno ragione alla sostenibilità

Green economy e crescita, i numeri danno ragione alla sostenibilità

(Fonte:Rinnovabili.it)
 
 
 
 
In Europa sono circa 5,6 milioni i posti di lavoro direttamente connessi all’economia verde. Questo uno dei dati emersi durante il convegno “Green economy e crescita. Nuova economia e sviluppo sostenibile”.
Puntare sull’economia verde come antidoto alla crisi e volano di crescita: parole già sentite fin troppe volte in questi ultimi tempi, ma che ancora stentano ad avere la fiducia necessaria da parte dei decisori politici. A convincere però, potrebbero essere i numeri presentati durante il convegno “Green economy e crescita. Nuova economia e sviluppo sostenibile” che si è tenuto nella sede del CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola e media Impresa). Come spiegato nell’intervento del responsabile dipartimento Ambiente e Competitività della Cna, Tommaso Campanile, già in alcuni settori dell’economia votati alla sostenibilità – vedi il comparto delle energie rinnovabili o dell’efficienza energetica – , la crisi è stata vissuta con la nascita di nuove imprese e l’aumento degli occupati.

E se in Europa sono attualmente circa 5,6 milioni i posti di lavoro direttamente connessi all’economia verde, in Italia la strada appare ancora lunga. Tra il 2009 e il 2012 solo il 23,6% delle imprese nazionali con almeno un dipendente (quasi 360 mila), ha deciso di investire in tecnologie e prodotti green; si tratta di imprese che presentano caratteristiche di innovazione e di esportazione notevolmente al di sopra di quelle ancorate a modelli “vecchi”.
“Ai problemi inediti che questa crisi terribile sta ponendo a tutti bisogna trovare risposte inedite”, ha affermato Sergio Silvestrini, Segretario Generale della Cna. “E la sostenibilità, l’innovazione, la green economy rappresentano sicuramente risposte inedite”.

Secondo quanto riportato da Campanile il 38% delle imprese che realizzano eco-investimenti hanno, infatti, introdotto innovazioni di prodotto o di servizio nel corso del 2011, mentre nel caso delle altre imprese tale impegno strategico ha interessato una quota pari appena al 18%. Uno dei settori più esemplificativi è di certo quello della produzione energetica green: nel comparto delle energie rinnovabili il mercato è rappresentato da circa 85.000 imprese, coinvolte nel settore in qualità di piccoli produttori, installatori e manutentori, con circa 200.000 occupati. Il CNA ha inoltre elaborato alcune proposte puntuali per una riconversione dell’economia sul modello della green economy riguardanti sei temi:

  • 1) Una riforma fiscale green
  • 2) Investimenti per “infrastrutturale” il Paese
  • 3) Abolizione del SISTRI
  • 4) Semplificazione – Think small first
  • 5) Politiche di vantaggio e revisione del sistema di incentivazione
  • 6) Una nuova rappresentanza e un polo ambientale per le imprese green

lunedì 17 giugno 2013

Autogrill sostenibile: da Benetton punto ristoro amico dell’ambiente

(Fonte:GreenStyle.it-Claudio Schirru)
 
 
 
Realizzare un autogrill “green” è possibile secondo Gilberto Benetton. La dimostrazione è da pochi giorni sotto gli occhi di tutti, da quando è stata presentata la nuova struttura “Villoresi est” realizzata lungo l’autostrada Milano-Laghi.

Caratteristiche principali del nuovo autogrill, presentato dal presidente della società omonima Benetton, il tetto captante, che consente un risparmio energetico in termini di riscaldamento e condizionamento pari al 45%. La nuova struttura prevede anche un sistema di raccolta delle acque di falda che permetterà una riduzione annua delle risorse idriche consumate di oltre 22mila metri cubi.

Attenzione per l’ambiente che si esprime anche attraverso il ricorso, per quanto riguarda l’interno dell’edificio centrale, a legna PEFC (con certificazione di provenienza da boschi gestiti con criteri di sostenibilità) e materiali eco-compatibili.

A questi si aggiungono le altre dotazioni per quanto riguarda l’area esterna alla struttura principale, dove saranno presenti colonnine per la ricarica veloce delle auto elettriche. Un progetto che ha preso il via nel 2007 con la fase di progettazione e che ha visto un investimento complessivo da parte del gruppo Benetton di circa 15 milioni di euro.

mercoledì 27 marzo 2013

Legambiente chiede sostenibilità anche nella spesa pubblica

 Legambiente chiede sostenibilità anche nella spesa pubblica

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
L'associazione scrive una lettera ai neo presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso, affinchè si facciano promotori di un cambiamento concreto all'insegna dell'ecologia e della sobrietá nei consumi
"La sobrietá nelle istituzioni può esprimersi in tanti modi. Aumentare la sostenibilitá ambientale attraverso una buona e corretta gestione della spesa pubblica è uno di questi". Questo ha scritto Legambiente ai neo presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso, affinchè si facciano promotori di un cambiamento concreto e significativo, all'insegna dell'ecologia e della sobrietá nei consumi. "Da cinque anni le amministrazioni pubbliche italiane sono invitate ad introdurre criteri ambientali e sociali negli appalti pubblici relativi a beni, servizi e opere. Lo prevede il piano d'azione per la sostenibilitá ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione (Piano d'azione nazionale per il Green public procurement) che il nostro Paese, nel quadro di una specifica politica europea volta a rafforzare l'uso degli appalti pubblici per raggiungere obiettivi strategici di carattere ambientale e sociale, ha approvato con il decreto interministeriale n. 135 dell'11 aprile 2008".

"Ma se ad oggi oltre un centinaio di enti territoriali hanno adottato azioni sistematiche di Green Public Procurement, l'amministrazione centrale è ancora in forte ritardo. Nell'esprimervi le nostre felicitazioni per la vostra elezione e l'apprezzamento per le novitá che avete giá voluto introdurre - si legge nella lettera firmata dal direttore generale di Legambiente Rossella Muroni - vi sottopongo una possibile iniziativa di cui potreste farvi promotori nell'ambito dei bilanci delle istituzioni che rappresentate: attuare il piano d'azione per la sostenibilitá ambientale, il cui obiettivo è arrivare al 50% di acquisti verdi".

venerdì 19 ottobre 2012

Italia 27esima per la Sostenibilità

Sostenibilità, Italia 27esima: “Piazzamento poco lusinghiero”

(Fonte:ZeroEmission.it)
 
 
Secondo uno studio promosso da Sap, nel confronto Pil/competitività sostenibile presente, l’Italia è al 27° posto, su circa 40 Paesi esaminati. “Riconfermate difficoltà delle nostre aziende nell’integrare sostenibilità nei loro modelli di business”
Non ci fa una bella figura l’Italia quando si parla di sostenibilità nelle imprese. Lo conferma il risultato che emerge dallo studio “Tempi insostenibili”, realizzato in collaborazione tra Rga (società di consulenza), Sap (azienda che si occupa della produzione di software) e la rivista Green Business. Secondo la classifica basata sul confronto tra Pil e competitività sostenibile l’Italia si piazza al 27esimo posto su 40 Paesi esaminati. Non è certo un piazzamento onorevole, fa notare Carlo Cici, partner Rga: “Nonostante l’Italia abbia un Pil tra i primi 10 Paesi oggetto di analisi conquista un poco lusinghiero 27esimo posto nel ranking della competitività sostenibile, riconfermando le difficoltà delle nostre aziende nell’integrazione della sostenibilità all’interno dei loro modelli di business”.

Considerando i 17 indicatori su cui si basa l’indice di sostenibilità costruito da Rga, i fattori fortemente critici per la competitività sostenibile del nostro Paese sono in particolare 3: accountability e trasparenza dei consigli di amministrazione, che vedono l’Italia al penultimo posto prima dell’Egitto e al 134esimo sui 144 Paesi considerati dal World Economic Forum; investimenti nella formazione e sviluppo delle persone nelle aziende, per i quali siamo penultimi, sempre prima dell’Egitto, e 123esimi per il WEF; meritocrazia nel top management, dove il nostro Paese è terzultimo prima di Egitto e Bangladesh e al 113esimo posto nella classifica del Wef. Lo stesso Cici, nel precisare che l’indagine è stata condotta su 50 aziende italiane, conferma come “la sostenibilità sia un fattore di successo sul mercato. L’adozione di un modello di competitività responsabile contribuisce alla creazione di un vantaggio competitivo, favorendo inoltre l’attrazione di talenti e la creazione del consenso”.