(Fonte:Qualenergia.it-Giulio Meneghello)

Uno spiraglio di luce importante in un periodo molto teso dei rapporti commerciali sul mercato mondiale del fotovoltaico. Come sappiamo, in un contesto in cui i produttori di moduli FV sono costretti a vendere sottocosto o a fallire, nell'occhio del ciclone da mesi c'è l'accusa di dumping nei confronti dell'industria cinese, che controlla circa metà del mercato mondiale. Solo grazie ai generosi aiuti di Stato da Pechino – specialmente finanziamenti a tassi agevolati e rimborsi dell'IVA sull'export - i cinesi riuscirebbero a praticare i prezzi stracciati contro i quali l'industria occidentale non riesce a competere.
Accogliendo questa tesi, a fine maggio - al termine della seconda fase dell'indagine partita dalla segnalazione di Solarworld Usa e altre 6 aziende - il Dipartimento per il Commercio Usa ha deciso nuovi salati dazi sull'import di celle made in China. Saranno finalizzati a ottobre con effetti retroattivi e sono di circa il 31% per i prodotti delle 61 società cinesi che esportano nel Paese. La Cina - che anche per difendersi dal protezionismo ha di recente innalzato il proprio obiettivo nazionale sul FV - dal canto suo annunciato un'indagine anti-dumping che durerà un anno sul polysilicon importato dagli Usa e su quello importato dalla Corea del Sud, e, in un'iniziativa separata, ha individuato 6 tipi di aiuti pubblici Usa che violerebbero le regole del WTO.
Ma a preoccupare il colosso asiatico, più che il fronte americano, è appunto quello che minaccia di aprirsi in Europa, da cui il sollievo che leggiamo su China Daily per l'accordo tra Merkel e Wen Jiabao. A fine luglio, infatti, Solarworld - assieme ad altre aziende - ha chiesto alla Corte di giustizia europea di intervenire contro quella che considera concorrenza sleale da parte cinese. Entro metà settembre i giudici dovranno decidere se aprire un'investigazione e, in caso lo facessero e questa riconoscesse il dumping cinese, nuovi dazi potrebbero essere applicati retroattivamente.
Se ciò avvenisse per l'industria cinese sarebbe un colpo molto più duro rispetto a quello ricevuto dagli Usa: il mercato europeo assorbe circa il 70% della produzione cinese. Proprio i timori per futuri dazi europei nei giorni scorsi avevano fatto scendere il valore delle azioni di giganti cinesi come Yingli e SA Solar. Ma il protezionismo potrebbe rivelarsi un boomerang anche per l'Europa e per la Germania in primis. A rimetterne, oltre a consumatori e installatori, che vedrebbero aumentare il prezzo dei moduli, i produttori di macchine utensili e silicio per il fotovoltaico, che patirebbero le probabili contromosse cinesi. Due categorie di aziende molto presenti in Germania che fornisce macchine e il 20% del silicio importato in Cina. Forse proprio questo ha portato la sihnora Merkel alla decisione di buon senso di voler di evitare lo scontro commerciale.
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